ANNA IDENTICI
C’è
un certo feeling fra me e la musica, non tanto quella seriosa, importante dei
concerti, la cosiddetta musica sinfonica o classica, eccezion fatta per il melodramma,
o meglio l’opera lirica, che è un amore nato nell’infanzia, non unico residuo della
mia formazione fanese. Ma feeling con la musica cosiddetta leggera, o popolare,
da ballo, fate voi. Più volte nel mio lavoro ho utilizzato, in qualità d’attori,
cantanti di musica leggera. In fondo un cantante sa mettere a punto un suo stile
nell’approcciare la gente, sa muoversi, esternare i suoi sentimenti.
Ho
lavorato con cantanti e gruppi orchestrali nelle mie serate di liscio (Vai col liscio, 1974), ho amato far
comporre le mie colonne da musicisti cosiddetti “leggeri”, ho avuto fra i miei
interpreti Dallara, Svampa, Brivio e Patruno. E poi Claudio Baglioni, Patsy
Kensit, Aldo Donati, Edoardo De Angelis e la Schola cantorum… Appartiene alla serie
l’incontro con Anna Identici.
Volevo
un volto diverso, non consumato dagli sceneggiati televisivi, per il
personaggio di Gisella Floreanini, ministro dell’assistenza nella repubblica
dell’Ossola, ardente partigiana dei miei Quaranta
giorni di libertà (1974). Mi rivolsi per suggerimenti alla mia amica Ivanka
Veltroni e lei mi parlò di Anna: “perché non vedi Anna, è una ragazza
sensibile, brava”.
Di
Anna Identici, già valletta televisiva di Mike Buongiorno, avevo nell’orecchio
il ritornello della canzone di Sanremo ’68 (Quando
m’innamoro…) e l’immagine, analoga a tante altre di quel periodo: capelli
corti, a caschetto con frangetta, gonna a sfiorare il ginocchio, vezzi consueti
nel muovere le mani. Ma da quel Sanremo il tempo era passato non invano.
Attraverso una vita vissuta e combattuta Anna aveva abbracciato le canzoni
civili, si era schierata politicamente a sinistra, si era sposata. Ci
incontrammo e la presi in carico immediatamente. Con la Floreanini c’entrava
poco, anzi niente. Quella era una donna forte, robusta, ben piazzata e Anna era
uno scricciolo, ma uno scricciolo con un’ammirevole, conquistata forza
interiore che sapeva anche far risalire in superficie.
Interpretò
molto bene il suo personaggio, al quale lo legava una identità ideologica, e
inoltre cantò la meravigliosa canzone di Bertero e Guarnieri che costituiva non
la sigla – che era la celeberrima “Verde”
dei fratelli De Angelis – ma la ballata posta al centro di ogni puntata, a
illustrare lo spirito dello sceneggiato meglio di un’eventuale pleonastica
scena di maniera. Dopodiché – ahimè - il cinema è come il famoso Grand’Hotel di
Vicki Baum: “gente che va gente che viene”. La vita ci unisce e la vita ci
divide. Ed è questo il bello del nostro lavoro. O la sua tristezza.
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