lunedì 28 novembre 2016

IO E ANNA IDENTICI



ANNA IDENTICI

C’è un certo feeling fra me e la musica, non tanto quella seriosa, importante dei concerti, la cosiddetta musica sinfonica o classica, eccezion fatta per il melodramma, o meglio l’opera lirica, che è un amore nato nell’infanzia, non unico residuo della mia formazione fanese. Ma feeling con la musica cosiddetta leggera, o popolare, da ballo, fate voi. Più volte nel mio lavoro ho utilizzato, in qualità d’attori, cantanti di musica leggera. In fondo un cantante sa mettere a punto un suo stile nell’approcciare la gente, sa muoversi, esternare i suoi sentimenti.
Ho lavorato con cantanti e gruppi orchestrali nelle mie serate di liscio (Vai col liscio, 1974), ho amato far comporre le mie colonne da musicisti cosiddetti “leggeri”, ho avuto fra i miei interpreti Dallara, Svampa, Brivio e Patruno. E poi Claudio Baglioni, Patsy Kensit, Aldo Donati, Edoardo De Angelis e la Schola cantorum… Appartiene alla serie l’incontro con Anna Identici.
Volevo un volto diverso, non consumato dagli sceneggiati televisivi, per il personaggio di Gisella Floreanini, ministro dell’assistenza nella repubblica dell’Ossola, ardente partigiana dei miei Quaranta giorni di libertà (1974). Mi rivolsi per suggerimenti alla mia amica Ivanka Veltroni e lei mi parlò di Anna: “perché non vedi Anna, è una ragazza sensibile, brava”.
Di Anna Identici, già valletta televisiva di Mike Buongiorno, avevo nell’orecchio il ritornello della canzone di Sanremo ’68 (Quando m’innamoro…) e l’immagine, analoga a tante altre di quel periodo: capelli corti, a caschetto con frangetta, gonna a sfiorare il ginocchio, vezzi consueti nel muovere le mani. Ma da quel Sanremo il tempo era passato non invano. Attraverso una vita vissuta e combattuta Anna aveva abbracciato le canzoni civili, si era schierata politicamente a sinistra, si era sposata. Ci incontrammo e la presi in carico immediatamente. Con la Floreanini c’entrava poco, anzi niente. Quella era una donna forte, robusta, ben piazzata e Anna era uno scricciolo, ma uno scricciolo con un’ammirevole, conquistata forza interiore che sapeva anche far risalire in superficie.
Interpretò molto bene il suo personaggio, al quale lo legava una identità ideologica, e inoltre cantò la meravigliosa canzone di Bertero e Guarnieri che costituiva non la sigla – che era la celeberrima “Verde” dei fratelli De Angelis – ma la ballata posta al centro di ogni puntata, a illustrare lo spirito dello sceneggiato meglio di un’eventuale pleonastica scena di maniera. Dopodiché – ahimè - il cinema è come il famoso Grand’Hotel di Vicki Baum: “gente che va gente che viene”. La vita ci unisce e la vita ci divide. Ed è questo il bello del nostro lavoro. O la sua tristezza.
 

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