martedì 1 novembre 2016

DRACULA A ROMA



Forse fu la visione dei tristi sconfinati nuovi cimiteri, fra cui quello di Prima Porta a Roma, a  ispirarmi il raccontino che ha dato il via e il titolo a una mia raccolta di storie molto brevi. Lo ripropongo oggi, il giorno dei morti:
In ossequio alle disposizioni del regolamento vampiresco, Dracula si svegliò a mezzanotte precisa. Dopo il trasferimento dal vecchio cimitero del Verano al nuovo maxicimitero di Primaporta, la sua bara era stata sistemata in un angusto loculo di cemento, neanche lo spazio necessario per sollevarne agevolmente il coperchio.
Facendo forza sulle proprie estremità il quasi defunto riuscì a sfondare il riquadro di marmo che chiudeva la sua nicchia personale e uscì all'aperto.
Una sfacciata luna piena illuminava una lunga teoria di loculi, del tutto simili al suo, disposti ordinatamente su cinque livelli. E a destra e a sinistra si profilavano a perdita d’occhio intere vie piene di scaffalature come quella da cui era appena uscito. Il nuovo cimitero della Capitale, un’interminabile monotona geometria cementizia di loculi, senza segni di distinzione, monotona come la morte.
Camminò a lungo attraverso quella rete di arterie surreali nella vana speranza che qualche visitatore notturno, possibilmente giovane e in carne,  gli proponesse un collo da mordicchiare, una vena da suggere. Ben presto sentì sopraggiungere quella strana ma abituale sensazione di formicolio che dagli alluci saliva lungo il tricipite, i ginocchi, il quadricipite sino a raggiungere l’inguine e salire ancora: stava iniziando la sua consueta trasformazione da distinto gentiluomo a voluminoso pipistrello alato.
Il vampiro prese quota, distese le membrane alari, planò a lungo sull’immenso distesa di cemento. Ma al suo primo raid aereo nella zona non si sentiva troppo in forze, aveva il fiatone, cominciava a stancarsi. E niente carburante, cioè niente sangue fresco in vista.
Si avvicinava l’ora di tornare. Avvertì di nuovo il previsto formicolio di fine corsa, compì un perfetto atterraggio e, abbandonate le fattezze da chirottero, fu di nuovo il solito stanco e attempato signore in abito nero. Non gli restava che individuare la sua cuccia e mettersi a nanna sino alla prossima nottata.
Si mise a cercare il loculo che conteneva la sua bella bara foderata di raso cremisi, made in Transilvania. Ma qui cominciavano i guai! Come fosse stata impresa facile! Si era dimenticato di prender nota della numerazione, orizzontale e verticale, come quella di un cruciverba. Cercò, cercò ma invano. Tutti uguali quei loculi, vuoti o chiusi da un muro, come occhiaie di un Argo senza confini.
L’alba si avvicinava e al di là dell’alto muro di cinta avvertiva già il primo traffico dei fornitori in marcia verso il cuore della metropoli. E lui continuava disperatamente a cercare…   

Continua ancora a cercare la sua casa, giorno dopo giorno e notte dopo notte. Non ha più provato quello strano formicolio, foriero della consueta trasformazione. Ha perso il gusto del sangue. Continua a cercare la sua tomba per trovare riposo, lui, vecchio stanco Dracula della Metropoli. Qualche pio visitatore lo incrocia distratto e lo scambia per un barbone.

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