Forse fu la visione dei tristi
sconfinati nuovi cimiteri, fra cui quello di Prima Porta a Roma, a ispirarmi il raccontino che ha dato il via e
il titolo a una mia raccolta di storie molto brevi. Lo ripropongo oggi, il
giorno dei morti:
In
ossequio alle disposizioni del regolamento vampiresco, Dracula si svegliò a
mezzanotte precisa. Dopo il trasferimento dal vecchio cimitero del Verano al
nuovo maxicimitero di Primaporta, la sua bara era stata sistemata in un angusto
loculo di cemento, neanche lo spazio necessario per sollevarne agevolmente il
coperchio.
Facendo
forza sulle proprie estremità il quasi defunto riuscì a sfondare il riquadro di
marmo che chiudeva la sua nicchia personale e uscì all'aperto.
Una
sfacciata luna piena illuminava una lunga teoria di loculi, del tutto simili al
suo, disposti ordinatamente su cinque livelli. E a destra e a sinistra si
profilavano a perdita d’occhio intere vie piene di scaffalature come quella da
cui era appena uscito. Il nuovo cimitero della Capitale, un’interminabile
monotona geometria cementizia di loculi, senza segni di distinzione, monotona
come la morte.
Camminò
a lungo attraverso quella rete di arterie surreali nella vana speranza che
qualche visitatore notturno, possibilmente giovane e in carne, gli proponesse un collo da mordicchiare, una
vena da suggere. Ben presto sentì sopraggiungere quella strana ma abituale sensazione
di formicolio che dagli alluci saliva lungo il tricipite, i ginocchi, il
quadricipite sino a raggiungere l’inguine e salire ancora: stava iniziando la sua
consueta trasformazione da distinto gentiluomo a voluminoso pipistrello alato.
Il
vampiro prese quota, distese le membrane alari, planò a lungo sull’immenso
distesa di cemento. Ma al suo primo raid aereo nella zona non si sentiva troppo
in forze, aveva il fiatone, cominciava a stancarsi. E niente carburante, cioè
niente sangue fresco in vista.
Si
avvicinava l’ora di tornare. Avvertì di nuovo il previsto formicolio di fine
corsa, compì un perfetto atterraggio e, abbandonate le fattezze da chirottero, fu
di nuovo il solito stanco e attempato signore in abito nero. Non gli restava
che individuare la sua cuccia e mettersi a nanna sino alla prossima nottata.
Si
mise a cercare il loculo che conteneva la sua bella bara foderata di raso
cremisi, made in Transilvania. Ma qui cominciavano i guai! Come fosse stata
impresa facile! Si era dimenticato di prender nota della numerazione,
orizzontale e verticale, come quella di un cruciverba. Cercò, cercò ma invano.
Tutti uguali quei loculi, vuoti o chiusi da un muro, come occhiaie di un Argo
senza confini.
L’alba
si avvicinava e al di là dell’alto muro di cinta avvertiva già il primo
traffico dei fornitori in marcia verso il cuore della metropoli. E lui
continuava disperatamente a cercare…
Continua
ancora a cercare la sua casa, giorno dopo giorno e notte dopo notte. Non ha più
provato quello strano formicolio, foriero della consueta trasformazione. Ha
perso il gusto del sangue. Continua a cercare la sua tomba per trovare riposo,
lui, vecchio stanco Dracula della Metropoli. Qualche pio visitatore lo incrocia
distratto e lo scambia per un barbone.
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