venerdì 18 novembre 2016

IO E LUCIANO EMMER



LUCIANO EMMER
(1918-2009)

Maestro di fantasia, di estrosità, di leggerezza, Emmer era stato uno degli autori più promettenti degli anni Cinquanta e oltre, regista di commedie dove l’osservazione acuta, talvolta un po’ amara, non rinunciava mai a una sana spolverata di umorismo. In seguito, in parte travolto da peripezie sentimentali un po’ arruffate nonchè da un certo aristocratico distacco verso il mestiere, era stato completamente fagocitato dalla macchina pubblicitaria. Un veloce e imprevedibile creatore di “caroselli” e spot assortiti. La tv lo aveva cooptato, quasi suo malgrado, per alcune inchieste.
Quando lo conobbi lavoravo al “secondo canale Rai” come programmista. Avevo l’incarico di redigere i soggetti per il settore inchieste, fra cui Noi e l’automobile, una ricognizione sull’auto come oggetto di consumo ma anche di culto, status symbol eccetera, inchiesta affidata poi, per la realizzazione, a un giornalista, Franco Bandini, e ad un regista, Luciano Emmer. In fase di montaggio (1962) fui incaricato di scrivere il commento parlato e collaborare alla messa a punto finale. Prima di accettare i miei testi-prova e ricorrere al mio aiuto, Emmer aveva sbrigativamente “scartato” una serie di firme ben più blasonate della mia. Motivo personale di orgoglio.    
Così conobbi l’estroso, talvolta collerico, irruente, difficile Luciano Emmer di cui ammiravo l’opera cinematografica, dai documentari d’arte degli anni Cinquanta – memorabile quello su Picasso - alle commedie, tutte all’insegna di un bonario cosiddetto neorealismo che non disdegnava il bozzetto (Domenica d’agosto 1950, Parigi è sempre Parigi 1951, Le ragazze di Piazza di Spagna 1952), sino all’intenso quanto sottovalutato La ragazza in vetrina, 1960.  
Essendomi già assuefatto alle presenze alquanto prevedibili dei registi televisivi, Emmer mi sconcertò per la sua libertà creativa. L’uso spericolato e disinvolto della macchina da presa, la ricchezza degli spunti e delle invenzioni, in breve la sua fantasia. Incontentabile, disincantato e perfezionista, tiranneggiava la sua docile montatrice abituale, avvezza a quegli scatti repentini, perché tagliasse, tagliasse, tagliasse. Vidi cadere sotto la mannaia della “pressa Catozzo” spunti e sequenze che a me sembravano magnifiche. Ma Luciano era incontentabile. Arrivava in moviola a notte inoltrata e tagliava, tagliava, tagliava. Anche i pezzi semiumoristici che avevo scritto per gli interventi “in campo” di Franco Bandini – interventi che dirigevo personalmente - subirono spesso la stessa sorta e vennero ridimensionati al massimo. Un lavoro difficile, ma utilissimo per me, giovane apprendista, in certo senso autodidatta.
A quell’epoca Emmer non dirigeva più film ma era il massimo inventore-regista di “caroselli” – ne realizzò ben 2750 - nei quali aveva coinvolto Totò, Mina, Walter Chiari, Dapporto, Fabrizi, Panelli e tanti altri, nonchè di comunicati commerciali di varia stazza. Lui, uomo dalle decisioni creative a tempi serrati, giudicava con intelligente ironia la cocciuta presunzione e la spocchia artistica di alcuni ex-colleghi di studi e di lavoro. Definiva un certo regista nordico di mediocre statura “la piccola vendetta lombarda” o anche, facendo il verso al romanzo di Luciano Zuccoli e riferendosi all’attrice procace divenuta sua consorte, “le cosce più grandi di lui”.
Mi volle accanto per un nuovo singolarissimo documentario-inchiesta sul palio di Siena (Bianco rosso celeste,1963), lavoro che svolsi nottetempo, non remunerato, sottraendomi agli altri impegni ufficiali, solo per il piacere di apprendere standogli vicino e di assorbire da una personalità così dirompente trucchi e segreti. Successivamente rimanemmo in sporadici ma buoni rapporti: gli piacquero molto le sequenze iniziali del mio Delitto di regime, con quegli squadristi che – come commentò lui - sembravano veri tanto erano inconsapevolmente “ridicoli”.
Lo incontrai per l’ultima volta nel 2003, nei mitici studi ex-De Paolis, dove giravo Incantesimo mentre lui stava provinando Sabina Ferilli per il suo ultimo rientro nel cinema, L’acqua…il fuoco. Un Emmer che mi aveva rivisto e salutato con la solita scherzosa affabilità, molto emaciato e invecchiato, ma sempre giovane e disponibile a rimettersi in gioco e ricominciare da capo. Gli dissi - presenti alcuni suoi e miei collaboratori - che lo consideravo il mio maestro e lui si schernì con una battuta umoristica. 
(Leandro Castellani)

Nessun commento:

Posta un commento