EDUARDO
(1900-1984)
Filmai quella che sarebbe stata la sua ultima
intervista. Con Claudio Donat Cattin, coautore, ci eravamo recati alla villetta
di Velletri per registrare un breve intervento da inserire in un programma
dedicato alla “terza età”: L’Italia dei capelli grigi (1984). Ma il
previsto breve intervento divenne una lunga, lunghissima conversazione, che
finì per fornire materia a un autonomo programma di circa un’ora: Eduardo,
l’arte d’invecchiare, in onda il 19
ottobre 1984.
Arte d’invecchiare. Perchè anche la vecchiaia di
Eduardo, vivace e creativa, era diventata arte, già diviso fra Senato, lezioni
universitarie e altre attività, come la registrazione audio della sua
traduzione in “napoletano antico” de La tempesta di Shakespeare.
Incontrai un Eduardo ben diverso da quella di una
consolidata “mitologia” che lo voleva burbero, astioso, arcigno, in una parola
“antipatico”. Conobbi un Eduardo “simpatico”, disteso e sereno, lo sguardo
nascosto dietro gli spessi occhiali abbrunati, che amava raccontare e raccontarsi,
che anzi se la prendeva con quel tipo di vecchiaia stizzosa e insofferente da
lui stigmatizzata molti anni prima nel poco conosciuto Uno coi capelli
bianchi.
Ma poi, negli intervalli e soprattutto dopo il
termine delle riprese, mi raccontò tanti episodi della sua vita. Del sodalizio
con Totò. Del successo del film Napoli milionaria, che aveva fornito ad
Antonio De Curtis i primi stentati riconoscimenti della critica “seria”, fragile
contrappeso alla tristezza di vedersi così spesso svenduto, e “a cottimo”. In
una fase in cui gli incassi dei troppo inflazionati film di Totò avevano
cominciato a scendere, lo spregiudicato produttore che lo aveva sotto contratto
in esclusiva, ritenne utile commissionare a Eduardo una sceneggiatura “nobile”,
in grado di ripetere il miracolo di Napoli milionaria. Così Eduardo, per
la gioia di Totò, aveva cominciato a lavorare a Le voci di dentro. Ma
nel frattempo gli incassi dei “filmetti” del Principe De Curtis avevano ripreso
a salire e il cinico produttore aveva ritenuto ormai superfluo impegnarlo in
un’operazione “colta”. Con vivo dolore da parte di Totò. (Quella sceneggiatura
diverrà, qualche anno più tardi, il film, diretto e interpretato da Eduardo, Spara
più forte… non capisco).
Mi sconcertò questo insistente parlare di cinema da
parte di qualcuno che aveva pronunciato incontestabili dichiarazioni di
ostilità nei confronti della cosiddetta Settima arte. Ma Eduardo fu esplicito:
dopo le prime prove di attore-regista il cinema lo aveva conquistato a tal
punto da essere disposto a sacrificargli il teatro. E aveva pensato sul serio
di abbandonare definitivamente il palcoscenico per la macchina da presa. Lo
disamorò l’ambiente, la necessità dei compromessi, il venir continuamente a
patti, il doversi districare fra megalomani, lestofanti e imbroglioncelli. A
parte qualche sporadica e “disamorata” incursione, optò definitivamente per il
teatro perché solo in teatro si sentiva padrone, gestore unico, responsabile
totale delle scelte e dei risultati, da ogni punto di vista, creativo e
produttivo… Rimase il rammarico.
Quell’incontro con Eduardo si protrasse a lungo,
sotto lo sguardo amorevole di sua moglie Isabella. Mi mostrò, sul camino del
soggiorno, un piccolo gruppetto in ceramica che gli era molto caro, raccattato
anni prima in un mercatino: un trofeo di piccoli Pulcinella intrecciati fra
loro a formare una sorta di piramide. Mi
scrisse una dedica lusinghiera sul suo libro O’ canisto.
Per me quell’incontro chiudeva un ciclo.
Giovanissimo avevo visto per la prima volta Eduardo al teatro Rossini di
Pesaro, veicolato dalla vicina Fano grazie alla scassata Cinquecento del mio
amico Luciano Anselmi, compagno di “filodrammatica” e scrittore “in fieri”. Lo
spettacolo era Bene mio core mio. Rimasi folgorato a tal punto, dal
personaggio e dal mondo di Eduardo, che mi affrettai a reperire nella
Biblioteca della mia città tutti i numeri della rivista “Il Dramma” che
contenevano sue commedie. E su Eduardo e il personaggio scrissi un lungo saggio
che pubblicai su una rivista studentesca e che, di fatto, mi valse la chiamata
alla redazione romana. E a Roma non avrei mancato neppure uno dei suoi spettacoli,
dalle diverse edizioni di Natale in casa Cuppiello alla contrastata
“prima” di Eduardo senza Eduardo, De Pretore Vincenzo, con una giovane meravigliosa
Valeria Moriconi, mia corregionale. Dunque quell’intervista filmata e la lunga
chiacchierata che ne era seguita, per me chiudeva “in bellezza” un arco della
vita, una storia.
(Leandro Castellani)
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