martedì 15 novembre 2016

IO ED EDUARDO



EDUARDO
(1900-1984)

Filmai quella che sarebbe stata la sua ultima intervista. Con Claudio Donat Cattin, coautore, ci eravamo recati alla villetta di Velletri per registrare un breve intervento da inserire in un programma dedicato alla “terza età”: L’Italia dei capelli grigi (1984). Ma il previsto breve intervento divenne una lunga, lunghissima conversazione, che finì per fornire materia a un autonomo programma di circa un’ora: Eduardo, l’arte d’invecchiare,  in onda il 19 ottobre 1984.
Arte d’invecchiare. Perchè anche la vecchiaia di Eduardo, vivace e creativa, era diventata arte, già diviso fra Senato, lezioni universitarie e altre attività, come la registrazione audio della sua traduzione in “napoletano antico” de La tempesta di Shakespeare.
Incontrai un Eduardo ben diverso da quella di una consolidata “mitologia” che lo voleva burbero, astioso, arcigno, in una parola “antipatico”. Conobbi un Eduardo “simpatico”, disteso e sereno, lo sguardo nascosto dietro gli spessi occhiali abbrunati, che amava raccontare e raccontarsi, che anzi se la prendeva con quel tipo di vecchiaia stizzosa e insofferente da lui stigmatizzata molti anni prima nel poco conosciuto Uno coi capelli bianchi.
Ma poi, negli intervalli e soprattutto dopo il termine delle riprese, mi raccontò tanti episodi della sua vita. Del sodalizio con Totò. Del successo del film Napoli milionaria, che aveva fornito ad Antonio De Curtis i primi stentati riconoscimenti della critica “seria”, fragile contrappeso alla tristezza di vedersi così spesso svenduto, e “a cottimo”. In una fase in cui gli incassi dei troppo inflazionati film di Totò avevano cominciato a scendere, lo spregiudicato produttore che lo aveva sotto contratto in esclusiva, ritenne utile commissionare a Eduardo una sceneggiatura “nobile”, in grado di ripetere il miracolo di Napoli milionaria. Così Eduardo, per la gioia di Totò, aveva cominciato a lavorare a Le voci di dentro. Ma nel frattempo gli incassi dei “filmetti” del Principe De Curtis avevano ripreso a salire e il cinico produttore aveva ritenuto ormai superfluo impegnarlo in un’operazione “colta”. Con vivo dolore da parte di Totò. (Quella sceneggiatura diverrà, qualche anno più tardi, il film, diretto e interpretato da Eduardo, Spara più forte… non capisco).
Mi sconcertò questo insistente parlare di cinema da parte di qualcuno che aveva pronunciato incontestabili dichiarazioni di ostilità nei confronti della cosiddetta Settima arte. Ma Eduardo fu esplicito: dopo le prime prove di attore-regista il cinema lo aveva conquistato a tal punto da essere disposto a sacrificargli il teatro. E aveva pensato sul serio di abbandonare definitivamente il palcoscenico per la macchina da presa. Lo disamorò l’ambiente, la necessità dei compromessi, il venir continuamente a patti, il doversi districare fra megalomani, lestofanti e imbroglioncelli. A parte qualche sporadica e “disamorata” incursione, optò definitivamente per il teatro perché solo in teatro si sentiva padrone, gestore unico, responsabile totale delle scelte e dei risultati, da ogni punto di vista, creativo e produttivo… Rimase il rammarico.

Quell’incontro con Eduardo si protrasse a lungo, sotto lo sguardo amorevole di sua moglie Isabella. Mi mostrò, sul camino del soggiorno, un piccolo gruppetto in ceramica che gli era molto caro, raccattato anni prima in un mercatino: un trofeo di piccoli Pulcinella intrecciati fra loro a formare una sorta di  piramide. Mi scrisse una dedica lusinghiera sul suo libro O’ canisto.
Per me quell’incontro chiudeva un ciclo. Giovanissimo avevo visto per la prima volta Eduardo al teatro Rossini di Pesaro, veicolato dalla vicina Fano grazie alla scassata Cinquecento del mio amico Luciano Anselmi, compagno di “filodrammatica” e scrittore “in fieri”. Lo spettacolo era Bene mio core mio. Rimasi folgorato a tal punto, dal personaggio e dal mondo di Eduardo, che mi affrettai a reperire nella Biblioteca della mia città tutti i numeri della rivista “Il Dramma” che contenevano sue commedie. E su Eduardo e il personaggio scrissi un lungo saggio che pubblicai su una rivista studentesca e che, di fatto, mi valse la chiamata alla redazione romana. E a Roma non avrei mancato neppure uno dei suoi spettacoli, dalle diverse edizioni di Natale in casa Cuppiello alla contrastata “prima” di Eduardo senza Eduardo, De Pretore Vincenzo, con una giovane meravigliosa Valeria Moriconi, mia corregionale. Dunque quell’intervista filmata e la lunga chiacchierata che ne era seguita, per me chiudeva “in bellezza” un arco della vita, una  storia. 
 (Leandro Castellani)



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