Friulano,
alto come un longobardo, inappuntabile nella sua divisa da portiere – giacca,
pantaloni e cappello, il tutto di colore nero filettato in oro - Mario fu per
molti anni il portiere del grande stabile di viale Mazzini a Roma, in cui
abitai per alcuni anni e che ospitò ancor più a lungo la mia produzione. Aveva
il portamento di un ex-carabiniere qual era stato, di estrema fiducia e
affidabilità, il legittimo autorevole rappresentante di un bel palazzo Liberty.
Sua moglie, piccola e di una cortesia un po’ ruvida, al bisogno faceva le
iniezioni in giro per il condominio mentre suo figlio – nato a Roma, romanizzato
e un po’ pigro – cresceva in attesa di sistemazione che suo padre, grazie alle
benemerenze acquisite nel palazzo, sarebbe riuscito prima o poi a procurargli.
Tutto iniziò così: dovevo girare una breve scena di un mio telefilm in cui una
ragazza varcava il cancello di un’imponente residenza e chiedeva un certo recapito
al portiere. Mi sembrò naturale girarlo sotto casa e che il portiere lo facesse
lui. E Mario interpretò se stesso. Evidentemente ci prese gusto. Così anche per
me divenne una specie di tradizione acquisita inserirlo nei miei film sotto
varie specie. Se doveva dire brevi frasi gli facevo recitare alcuni numeri e
poi provvedevo a doppiarlo. La cosa più singolare è che ci fu una sorta di
incredibile “crescendo” nel prestigio dei ruoli che gli affidai, debbo dire con
un gusto al limite del sadico, quasi una dimostrazione che anche l’abito può
fare il monaco, sempre che chi lo veste abbia il fisico adatto. Vediamo se mi
ricordo le principali prestazioni di Mario: fu il severo prefetto di Ferrara,
poi un magnate olandese pronto a ricettare quadri rubati, e ancora un alto
ufficiale nazista... E ogni volta, poco dopo le riprese, compariva in
portineria la foto in cornice di Mario nella sua ultima prestazione artistica.
Ma il regalo più grande che potevo fargli fu quanto feci interpretare a lui,
ex-carabiniere ma neppure appuntato – almeno credo - , il ruolo di un
colonnello dell’Arma. Fu una sorta di promozione ardita quanto impossibile che
lo riempì d’orgoglio. Con Mario finì tutta una generazione di portiere
friulani, arrivata a Roma negli anni Trenta o giù di lì: distinti e di tutta
affidabilità quanto dignitosi, disponibili ma non servili. Oggi i portieri sono
in buona parte scomparsi. Le regole e gli obblighi sindacali li hanno fatti
diventare un dispendioso accessorio per ricchi e palazzi di lusso mentre i piccoli
condomini – specie quelli di relativa entità – hanno deciso di farne a meno. I
restanti sono extra-comunitari oppure rumeni e albanesi. Con Mario è scomparsa
una tipologia irrepetibile.
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