domenica 20 novembre 2016

IO E MARIO B.



Friulano, alto come un longobardo, inappuntabile nella sua divisa da portiere – giacca, pantaloni e cappello, il tutto di colore nero filettato in oro - Mario fu per molti anni il portiere del grande stabile di viale Mazzini a Roma, in cui abitai per alcuni anni e che ospitò ancor più a lungo la mia produzione. Aveva il portamento di un ex-carabiniere qual era stato, di estrema fiducia e affidabilità, il legittimo autorevole rappresentante di un bel palazzo Liberty. Sua moglie, piccola e di una cortesia un po’ ruvida, al bisogno faceva le iniezioni in giro per il condominio mentre suo figlio – nato a Roma, romanizzato e un po’ pigro – cresceva in attesa di sistemazione che suo padre, grazie alle benemerenze acquisite nel palazzo, sarebbe riuscito prima o poi a procurargli. Tutto iniziò così: dovevo girare una breve scena di un mio telefilm in cui una ragazza varcava il cancello di un’imponente residenza e chiedeva un certo recapito al portiere. Mi sembrò naturale girarlo sotto casa e che il portiere lo facesse lui. E Mario interpretò se stesso. Evidentemente ci prese gusto. Così anche per me divenne una specie di tradizione acquisita inserirlo nei miei film sotto varie specie. Se doveva dire brevi frasi gli facevo recitare alcuni numeri e poi provvedevo a doppiarlo. La cosa più singolare è che ci fu una sorta di incredibile “crescendo” nel prestigio dei ruoli che gli affidai, debbo dire con un gusto al limite del sadico, quasi una dimostrazione che anche l’abito può fare il monaco, sempre che chi lo veste abbia il fisico adatto. Vediamo se mi ricordo le principali prestazioni di Mario: fu il severo prefetto di Ferrara, poi un magnate olandese pronto a ricettare quadri rubati, e ancora un alto ufficiale nazista... E ogni volta, poco dopo le riprese, compariva in portineria la foto in cornice di Mario nella sua ultima prestazione artistica. Ma il regalo più grande che potevo fargli fu quanto feci interpretare a lui, ex-carabiniere ma neppure appuntato – almeno credo - , il ruolo di un colonnello dell’Arma. Fu una sorta di promozione ardita quanto impossibile che lo riempì d’orgoglio. Con Mario finì tutta una generazione di portiere friulani, arrivata a Roma negli anni Trenta o giù di lì: distinti e di tutta affidabilità quanto dignitosi, disponibili ma non servili. Oggi i portieri sono in buona parte scomparsi. Le regole e gli obblighi sindacali li hanno fatti diventare un dispendioso accessorio per ricchi e palazzi di lusso mentre i piccoli condomini – specie quelli di relativa entità – hanno deciso di farne a meno. I restanti sono extra-comunitari oppure rumeni e albanesi. Con Mario è scomparsa una tipologia irrepetibile. 
(Leandro Castellani)





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