Innamorato della musica e della danza (da quella dei
miei idoli Fred Astaire e Gene Kelly a quella dei romagnoli “alla Casadei”),
non avevo mai coltivato rapporti stretti con la cosiddetta “danza classica” o
“balletto” sino a quando, nel lontano 1981, mi proposero una serie di quattro
programmi su una figura di danzatrice del tutto originale, divisa fra
esibizioni e insegnamento, Liliana Cosi.
Naturalmente fui
costretto a prepararmi a ritmi forzati studiando il metodo Cecchetti e le
regole che presiedono a questa forma d’arte: figure e posizioni di base. E poi
Petipa, Diaghilev, Balanchine… Ma anche
questo è il bello del mio lavoro ed ecco perchè forse non ho mai voluto
racchiudermi nelle strettoie di un solo “genere”, fiction, documentario e così
via…
Il nome di Liliana Cosi non mi era certamente
sconosciuto. La sua biografia parla da sé: migliore allieva della Scuola di
Ballo della Scala nel 1958, studia successivamente al Teatro Bolscioi di Mosca
e in quella capitale, nel 1965, debutta al Palazzo del Cremino con il Lago dei Cigni, poi è a Parigi, poi
ancora prima ballerina alla Scala nel 1968 (a 27 anni) e guest-artist con 130
spettacoli in tutte le capitali dell’URSS, tournée con Nureyev, esibizioni in
ogni parte del mondo eccetera eccetera.
Successo, glorie, trionfi, onorificenze. Ma a questa
eterea danzatrice tutto questo non basta più. Nel 1977, al culmine della carriera, decide di dare un
giro di boa alla sua vita e fonda nella sua città d’elezione, Reggio Emilia, l’Associazione
Balletto Classico con finalità di arte e di cultura, per diffondere
capillarmente, ad un pubblico più vasto, l’arte del balletto, e per dar vita a
nuovi spettacoli per “saziare la sete di bellezza che il mondo
sente”.
Mi presento a Reggio Emilia
e faccio conoscenza con questa delicata artista tutta consacrata alla sua vocazione
ed ai suoi allievi.
Ricordo che da ragazzo mi
raccontarono l’aneddoto di quel circense che, convertito a Dio, era stato
sorpreso in chiesa mentre faceva le sue acrobazie davanti all’altare. Ripreso
dal sacerdote aveva risposto candidamente: è quello che so fare meglio, è il
solo modo di pregare che conosco. Ecco, Liliana mi dette l’impressione che
nella danza classica avesse trovato insieme l’ideale e anche il modo di
esprimere la sua spiritualità, la sua profonda religiosità, vorrei dire la sua
voglia d’infinito. Ed è anche per questo che prendeva così sul serio la sua
arte, come una missione di bellezza “ad majorem Dei gloriam”. Mi sembrò una
scopert: un’artista sublime e insieme un personaggio imprevedibile. Seguii la
sua scuola, alla quale prodigava i suoi insegnamenti assieme al suo partner
artistico Marinel Stefanescu ballerino e coreografo: anche della danza faceva
un strumento di promozione umana dei ragazzi e delle loro famiglie.
Con Liliana Cosi credo di
essere rimasto in sintonia negli sporadici successivi incontri con le sue
creazioni ed i suoi allievi. E con lo spirito che anima la sua arte e i suoi
spettacoli.
(Leandro Castellani)
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