Anni
Settanta. Lo conosco, giovane dinoccolato “capellone”, negli studi della RCA
sulla Tiburtina, all’uscita dal Grande Raccordo anulare di Roma. Studi di
registrazione ma anche cenacolo di nuove esperienze, frequentato sia da
musicisti e cantanti arrivati che da principianti, quelli della mitica covata
RCA, ritenuti sicure promesse ma in attesa di un contratto per una “lacca”, un
45 giri, una tournée promozionale in qualche sperduta balera di qualche
sperduto paese.
Avevo
chiesto al responsabile del settore colonne musicali un “nome nuovo” che
potesse cantarmi la sigla di coda - musica del M° Fabio Fabor e parole mie –
per lo sceneggiato Orfeo in paradiso (1971).
Il dottor Cantini mi propose Claudio, una sicura promessa, e mi passò il suo
primo e unico long playing, con la foto
bianco e nero in copertina di un ragazzo occhialuto e grassoccio. E Claudio
cantò Qualcuno con una voce
volutamente roca, rasposa come una grattugia: era ancora alla ricerca di un suo
stile e ci teneva a non essere banale, a distinguersi dalle cento voci “per
benino”…
Passa
un anno e ricorro ancora a Cantini per la sigla del primo film-tv prodotto da
mia moglie Maria Grazia e da me, Ipotesi
sulla scomparsa di un fisico atomico (1972), film che alterna due linee
narrative: la storia di due giovani in puro clima sessantottino (da noi il
sessantotto durò qualche anno di più: sempre ritardatari questi italiani!) e la
ricerca di Ettore Majorana, scienziato scomparso in circostanze misteriose nel
1938. In neanche due anni Claudio è diventato magro e capelluto: oltre a fargli comporre e cantare la sigla di coda
lo impegno in una scena di giovani contestatori antinucleari. In onda con
ottimi risultati, Ipotesi viene replicato più volte e dal 2014 è anche un DVD.
Poi
ci fu il mio libro (Dossier Majorana,
1974) e più tardi ancora il plagio del medesimo – lusinghiero, ma sempre plagio
- ad opera di Leonardo Sciascia. Proprio per pubblicizzare il libro dello
scrittore siciliano il mio film ottenne l’onore dell’ennesima replica, ma -
attenzione! - accorciato di quasi dieci minuti per esigenze di palinsesto… E
saltò proprio la scena che immortalava la prestazione del Baglioni attore.
Credo sia andata definitivamente perduta.
Rivedo
Claudio nel 1975 durante la sua esibizione alla mitica Bussola di Viareggio: ha
abbandonato la chitarra per il pianoforte. Mi trovo là perché sto registrando
due concerti, con Gloria Gaynor e con la grande Sarah Vaughan.
Nuovo
incontro più di dieci anni più tardi, in occasione del Don Bosco (1988) per il quale speravo che Claudio mi scrivesse la
musica. L’idea lo allettava molto ma ormai doveva dividersi fra registrazioni e
concerti in tutto il mondo, e non se ne fece nulla.
Nel
1991 allestisco il galà finale per il Prix
Italia, al Teatro Rossini di Pesaro. Baglioni è fra i cantanti che partecipano
allo spettacolo. Ma è in un momento di stanca, rischia di ripetersi, la gente
si annoia un po’. Niente paura: ben presto ripartirà alla grande e oggi, con il
volto scavato e i capelli candidi, è un mito, anche lui.
Tutto
qui. Una simpatica persona, un artista sensibile, intelligente, un po’
incontentabile e irrequieto, a cui dobbiamo la canzone italiana del secolo, Piccolo grande amore.
(Leandro Castellani)
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