Come
nel caso di Omero, anche per Shakespeare ci si è chiesti più volte - quando la
stampa cosiddetta popolare, oltre a raccontarci tutto degli amori di Tizia o di
Caio sprecava qualche trafiletto per i cosiddetti “enigmi della storia” - come
mai facesse un attorucolo da seconde parti, nato in quel d’Albione, a comporre
i testi più profondi e sconvolgenti dell’universo drammaturgico di tutti i
tempi. E si sono sparati i nomi più probabili e improbabili per spiegare
l’enigma: ma no, quell’attorello era un semplice prestanome, un impostore, un
tale che metteva in scena opere non sue,
scritte da altri, gente istruita o titolata o entrambe le cose, impossibilitati
per censo o ritrosia a firmare i propri parti. E si son prodotti fior di nomi:
Francis Bacon che era un filosofo, Christopher Marlowe che era un drammaturgo resuscitato sotto altra identità,
o altri: Robert Devereux, William Stanley, Edward de Vere, Giovanni Florio. E
invece no. La puntuale, documentatissima e monumentale biografia di Ackroyd
Peter fa piazza pulita di queste e analoghe fantasiose illazioni e di William
ci racconta vita e miracoli. William Shakespeare (1564-1616) era proprio lui,
uomo di teatro sino al midollo, drammaturgo sublime e squisito poeta. Una
storia in qualche senso sconcertante: un attore-regista-impresario, creatore di
compagnie e di luoghi e imprese teatrali, che arraffa spunti e storie dove
capita e le trasforma, con arte e fiuto sopraffino, in prodigiose macchine di
teatro, tornandoci sopra ad ogni nuovo allestimento, arricchendole o
modificandole, e inoltre mettendo mano a scritti altrui o accettando
collaborazioni. Una vita ordinaria e straordinaria insieme perché Shakespeare fu non soltanto un uomo di
cultura e di teatro, ma anche un uomo d’affari scaltro e competente che sapeva
come investire e far fruttare il suo denaro. Il libro è una biografia
completa ed esaustiva che ci parla della prassi teatrale, dei gusti del
pubblico, dei teatri e della vita artistica di allora, delle rappresentazioni a
Corte di fronte alla regina Elisabetta e al re Giacomo, ma anche e soprattutto
di fronte a un pubblico borghese e plebeo. Un’opera affascinante e originale,
che si legge come un romanzo impegnativo e insieme uno squarcio di storia. De
tenersi vicino, al capezzale, si diceva un volta.
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