Di
Silvia Ronchey, scrittrice colta quanto sensibile, avevano letto “L’enigma di
Piero”, vasto romanzo-dissertazione sulla Flagellazione, un enigma che sfida tuttora
la curiosità degli studiosi e sul quale il nostro Dante Piermattei ha proposto
ipotesi illuminanti. Ora ci capita in mano il suo testo dedicato a una figura
enigmatica quanto emblematica, Ipazia: “Fu matematica e astronoma, sapiente
filosofa, influente politica, sfrontata e carismatica maestra di pensiero e di
comportamento. Fu bellissima e amata dai suoi discepoli, pur respingendoli
sempre. Fu fonte di scandalo e oracolo di moderazione.” Filosofa platonica vissuta
nel quarto secolo e fatta trucidare per ordine o per istigazione del vescovo
Cirillo, che vedeva compromessa dal magistero di Ipazia la supremazia culturale
del cristianesimo emergente, anche come potere politico, dopo l’editto costantiniano
del 313 che ne aveva fatto la Religione di Stato.
La
Ronchey è una bizantinista che sa lavorare sui documenti, una studiosa e
ricercatrice inappuntabile, tanto che dedica oltre la metà del volume a
documentare e postillare quanto ha raccontato. Che in definitiva è molto poco.
Di Ipazia sappiamo e continuiamo a sapere pochissimo, salvo le ragioni di supremazia
politica e ideologica che l’hanno condotta al “martirio”: torturata, accecata, lapidata
“a colpi di tegola, tagliandone poi il cadavere a pezzi, bruciati in un’orgia
di cannibali” (H.Duchesne) e infine data alle fiamme, un compendio di atrocità
più unico che raro. La Ronchey ne indaga le ragioni e ne esplora i contesti, e non
solo della vicenda personale ma anche della lunga “fortuna” – chiamiamola così -
del personaggio nel corso dei secoli, volta a volta letto come vittima dell’oscurantismo
cattolico, icona di laicismo, precorritrice delle istanze femministe eccetera,
per tutti i secoli successivi e sino al secolo scorso. Quel che resta del suo
pensiero è estremamente esiguo. Perché esigui sono i testi e i documenti in
proposito, circa il contenuto filosofico della sua lezione e la sua storia interiore. Al personaggio è
stato dedicato anche un film, “Agorà” (2009) di Alejandro Amenadar. Di
particolare interesse ci sembra l’evocata vicenda della sua immagine speculare
cristiana: Santa Caterina d’Alessandria, come lei nata e vissuta ad Alessandria
d’Egitto, culla della rinata o perdurante cultura ellenica, come lei filosofa e
sapiente, come lei vergine, bellissima e vanamente concupita e come lei martire.
Che si tratti di un “doppione”, creato e diffuso per esigenze agiografiche,
come avallato da Paolo VI che ne rimosse il culto?
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