Era un vecchio romanzo di
avventure che lui non aveva mai letto. Si era limitato a vederne le
illustrazioni e le foto del film che ne avevano tratto. Ma pensava si trattasse
della storia dell’ultimo pellerossa sopravvissuto alla sua tribù distrutta
dagli invasori e costretto a una resistenza solitaria. Chissà poi se era così.
Pensava di esserlo anche lui un ultimo di un mondo, o meglio di una civiltà
perduta. Quella della gente onesta,
proba, che viveva del proprio lavoro e amava la famiglia. Non aveva mai
corrotto nessuno e nessuno si era mai provato a corromperlo. Non gli era mai
venuto lo sghiribizzo di avere avventure sentimentali fuori matrimonio, di
sognare il divorzio, di arrampicarsi lungo le strade di una carriera felice, a
volte fortunata, ma sempre conquistata. Ed ora si era ridotto a vivere nel cerchio
delle sue mura, dentro la sua casa, da dove usciva una volta al giorno per fare
il giro dell’isolato e tener in moto le gambe, tra facce che lo ignoravano e
passanti che lo evitavano. La sua famiglia non era più fortunata di lui. Sua
moglie limitava le uscite a una spesa frettolosa nei supermercati a prezzo
ridotto e la spesa doveva durare in media tutta una settimana. Suo figlio,
giovane laureato disoccupato, sognava al computer, anzi non sognava più, non
sperava più in un ”posto” che sapeva non sarebbe piovuto dal cielo. E nemmeno
dagli annunci. I debiti si accumulavano, con le banche, con i professionisti,
con i bottegai. Eppure loro tre di casa erano tre valori: nel mondo dello
spettacolo potevano ancora fare faville. Ma erano stati esclusi o si erano
autoesclusi dal gioco. All’inizio facevano un po’ paura proprio per la loro
bravura nonchè per la propria onestà. Poi erano stati dimenticati. O meglio
avevano dimenticato lui. Molti dei suoi coetanei che contavano erano trapassati
nel novero dei più. I superstiti erano pensionati di lusso in qualche paradiso
fiscale. L’ultimo dei Mohicani era lui e pensava lo avessero dato per morto da
anni, Non gli avrebbero fatto nemmeno il necrologio. E allora? L’ultimo dei
Mohicani sognava la tribù distrutta, quel mondo pieno di bisonti e di cavalli
selvaggio dove la caccia non era un duello all’ultimo sangue fra cacciatori ma
un’avventura degna di essere ricordata in uno di quegli acquarelli colorati da
appendere in salotto. Sognava quel mondo
trascorso, sognava – per dirla col Gozzano – “le cose che potevano essere e non
sono state”. Ma riusciva ancora a sperare.
(Leandro Castellani)
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