Se il suo pensiero avesse seguito un sentiero diritto,
a mo’ di Einstein, chissà che mete avrebbe raggiunto! Ma il suo pensiero era
ondivago, si fermava a ogni passo, un fiore, un ricordo servivano a farlo
divergere. Ora ad esempio si era fermato sulla grande quercia che aveva sempre
visto là, in campagna davanti a casa sua, sin dai giorni della sua infanzia. La
quercia gigante intaccata e rosa dagli anni, ma soprattutto dal bacucco, il
verme che ne stava distruggendo il cuore come fosse un’argilla docile in cui
penetrare, da divorare dall’interno, senza mai affacciarsi in superficie. Il
bacucco (cerambice?) scavava i grandi tronchi sino a farli fragili, esposti
alle intemperie e ad ogni vento. Ecco, finchè il grande corpo malato della
pianta resisteva ancora avrebbe voluto scalarla la sua grande quercia, salirci
sopra, a imitazione di quel Barone rampante di cui aveva scritto Calvino.
Costruirci la sua casa, un semplice giaciglio in cui trascorrere la notte,
cullato dalla luna, e poi il giorno scaldato dal sole, saltando da branca a
branca per vedere la campagna e il mare, ma senza mai scendere a terra. Mai
più. Ma temeva le formiche. Molti anni prima che l’odiato bacucco si accingesse
a vincere la sua battaglia, ma dall’interno, scavando le sue trincee segrete,
la quercia era stata invasa dalle formiche. A migliaia, anzi a milioni, avevano
disegnato una serie di percorsi partendo dalle sue potenti radici sino a
raggiungere quasi la sommità, facilitate dall’edera che aveva ricoperto il
tronco. C’era voluta una battaglia feroce che lui aveva intrapreso usando rimedi
naturali anti-afidi e poi polveri insetticide e forti getti d’acqua, ma era
servito a poco perché l’altra minaccia, quella segreta del bacucco, non era
estirpabile, simile a quelle malattie dell’uomo che vengono definite
incurabili. Una tempestosa notte d’inverno, qualche anno fa, anzi molti anni
fa, era stato svegliato da un rumore potente che sembrava un urlo di tempesta,
un conato di tuono, un colpo di cannone: era una delle tre grosse banche, in
cui si era sviluppata la pianta nel corso dei secoli, che non aveva retto agli
anni o agli agguati del bacucco ed era crollata travolgendo e schiacciando le
giovani piante che avevano avuto l’ardire di crescerle intorno. Era corso ai
ripari, recidendo la cancrena e curando la ferita, cospargendola di unguenti
come avrebbe fatto con un corpo umano. E la quercia aveva resistito e la
primavera successiva erano spuntati nuovi rami molto fragili, le foglie sempre
più rade, gialle e diafane. Quanti anni ancora, o forse quanti secoli, avrebbe
resistito la grande quercia? Certamente più di lui, avrebbe raccontato la sua
storia ai suoi figli e nipoti. Se il suo pensiero fosse stato come quello di
Einstein gli sarebbe piaciuto seguire la vicenda della sua quercia nel futuro
prossimo e in quello remoto, quando sarebbe cambiato il mondo e forse sarebbero
arrivati i marziani a salvarlo. Ma già lui non era Einstein e il pensiero aveva
abbandonato la sua quercia per disperdersi in nuovi rivoli.
(Leandro Castellani)
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