mercoledì 29 luglio 2020

CARLO BO - piccola antologia personale


Nel 1988 ebbi il piacere, nonché ovviamente l’onore, di ricevere dalle mani di Carlo Bo il Premio Frontino-Montefeltro per l’anno del cinema.
Ricordai allora, bel breve ringraziamento improvvisato, come dalle stesse mani avessi ricevuto, ahimè troppi anni prima, la mia laurea. E direi che nel senatore Carlo Bo, presidente di giuria e relatore, non feci fatica a ravvisare quelle costanti che avevo ammirato nel professor Carlo Bo, rettore e docente.
Quel nulla consentire al facile, al superfluo, all’orpello, alla retorica. Quel suo rigore, nel far lezione come nello stilare una nota critica, nel recensire come nell’impostare un articolo di terza pagina. Il rigore della fedeltà a un ideale di cultura da non svendere.
Ricordo le sue esemplari lezioni di Letteratura francese, forse non particolarmente brillanti nell’esposizione, ma quanto sottili! Un paziente e sapiente itinerario alla scoperta dell’idea centrale, del nucleo ispiratore dell’opera in esame; una spirale di successive approssimazioni che stringeva l’essenziale sempre più dappresso, sino a svelarlo, come una conquista. Per la cronaca il corso verteva sul Don Giovanni di Molière. (…)
L’Università di Urbino, “libera” in senso sostanziale, creativo, inventivo – al di là di eventuali future collocazioni richieste dai tempi – è opera e creatura di Carlo Bo. Non per nulla lo chiamano scherzosamente – ma senza ironia – il Duca.
Letterato e insieme capitano d’industria, critico come un marchigiano e accorto come un ligure. Sicuro e immediato nel giudizio di uomini e cose, nonostante quell’apparente olimpica impassibilità. (…)
Il tutto in un’Urbino sbigottita e lunare, da conquistare con le “corriere” o con un trenino da Far West, meravigliosa nel suo isolamento geografico che metteva a dura provala sua ansia motivata di protagonismo.
Un paese magico, oggi felicemente riscoperto da maree di turisti, intatto forse anche per merito di quella lezione di consapevolezza che dalla cattedra di Carlo Bo calava giù per i vicoli, ad apprendere come vecchio e nuovo potessero trovare un arduo ma esaltante convivere. Come il paesaggio di Giovanni Santi e Timoteo Viti potesse, al di là dell’idillio, costituire una ricchezza da non disperdere.
E oggi, al di là di ogni idillio, resta una realtà di cui, allievo riconoscente, mi sento di dare atto a un Maestro.
(L.C. – “Un paese magico” in “Per Carlo Bo, 25 gennaio 1991” a cura di G.Tabanelli, Editrice Montefeltro, pp.225-227)

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