venerdì 24 luglio 2020

EL CIRCUL - piccola antologia personale


Quand’ero bambino, gli eccitanti pomeriggi della domenica si dividevano, per me e per gli altri bambini fanesi, fra le orge cinematografiche del “Gentili” e quelle teatrali del “circul”.
Le prime non mi tingevano troppo, favorito deal fatto di poter frequentare altri cinema gratis, dato il mestiere di mio padre, allora esercente del “Boccaccio”. Le poche incursioni che feci al “Gentili” bastarono a stamparmi in testa il ricordo di orde indiavolate di ragazzini che commentavano vecchie e rigatissime pellicole con grida e schiamazzi. L’usura del film o i colpi di rivoltella dei cow-boys provocavano il frequente spezzarsi della pellicola, e le imprese degli eroi dello schermo si saldavano senza soluzione di continuità con quelle dei ragazzi caracollanti fra le poltroncine schiodate.
Ma il “circul” mi conquistava, era la rivelazione di un mondo diverso, il mondo del teatro, di una finzione vicina e tangibile, non remota e intangibile come quella del cinema.
Perché si chiamasse “circolo San Paterniano”, chi l’avesse fondato e così via, non so, Altri ne avranno indagato a fondo origini e decorso. Quando lo conobbi io, era già stato fagocitato dalla nuova struttura dell’Azione Cattolica. Ma c’era ancora, semiautonomo o comunque appendice di tutto rispetto, il teatrino Alessandro Manzoni, con tanto di galleria, poltroncine, palco con il sipario di velluto rosso e la buca per il suggeritore. Insomma un teatro vero. Gli spettacoli si susseguivano con una certa frequenza, io almeno ne ricordo diversi negli anni dell’immediato dopoguerra. E vi assistevo ammirato. Soprattutto le “comiche” con Hermes Valentini nei panni di Brigidino, e gli esilaranti duetti fra Stanlio e Ollio, cioè fra Gianfranco Casanova e Garè. Un sentito grazie a questi tre idoli, diciamo idoletti, della mia infanzia, per tanti magici pomeriggi, più ancora per avermi fatto conoscere la grande bocca aperta del teatro.
(Leandro Castellani – “Fano graffiti”,  Circolo J.Maritain 1983, pp.47-48)

Quel teatro restò agibile per quasi un secolo. Lo ricordo bene anch’io, negli anni del secondo dopoguerra. Ci si andava a vedere i drammi lacrimosi che insegnavano la morale o, meglio ancora, i buoni sentimenti. Lacrime a iosa ma temperate dalla comica finale. Scuola e banco di prova per i talenti artistici della città. Resistette a lungo, il palcoscenico sempre più polveroso, le assi sempre più tarlate, le poltroncine sempre più logore a mostrare impudicamente le loro interiora di stoppa. Fu travolto dal boom che, negli anni sessanta, inquinò anche la Chiesa. Ma questa è un’altra storia.

Nessun commento:

Posta un commento