martedì 28 luglio 2020

IL MAESTRO DALLA MANONA - piccola antologia personale


Se la terna Inferno-Purgatorio-Paradiso fa tutt’uno con Dante, se dire “la Gioconda” è dire Leonardo, per me, e sin dalle prime apparizioni di cui ho personale memoria, l’Arabita è Enzo Berardi, un Enzo che poco aveva a che vedere con il laborioso artigiano con bottega-laboratorio dalle parti dell’Ospedale, perché quello stesso artigiano, alto, segaligno e robusto, alla guida della sua orchestra, proletaria nei componenti e negli scombinati strumenti, diventava un folletto scanzonato e malizioso, un puck di quasi due metri, un grande bambino dinoccolato, un’invenzione poetica. Il cilindro, la marsina rossa, il pomo del comando passavano in subordine. Su tutto e tutti quella grande mano bianca che Enzo agitava a imporre e scandire il ritmo, a rinforzare la sarabanda dei crescendo, a troncare o prolungare la coda dei finali. Il “maestro dalla manona” dirigeva non solo i musicanti piazzati alle sue spalle ma tutta la gente, il pubblico, gli spettatori delle piazze e del suo Carnevale. Credo che il pifferaio di Hamelin avesse un analogo carisma, ma Berardi non lo sfruttava per condurre la fitta sequela al disastro bensì a quella contagiosa e sbrigliata allegria che sa anche di sberleffo. Perchè la sua strampalata “arabita” era anche una satira delle orchestre serie, professionali, pur mettendo a frutto la sapiente vena musicale di alcuni dei suoi componenti, fra cui un orologiaio, un macellaio, un arrotino, un tappezziere… tutti musicisti di vaglia che sul palco diventavano festosi tarantolati, briosi ossessi…
Nel 1976 ebbi una fortuna insperata: dovevo riprendere la scena di un mio telefilm collocata e inserita nella grande festa di fine stagione che si svolgeva nella piazza davanti al Kursaal di Cattolica. E chi mi trovai sul palco? Enzo Berardi con la sua arabita, la grande orchestra proletaria della mia Fano. Enzo, con la sua grande mano bianca, con quel volto serio che si apriva alla follia, mentre arringava musici e folla non risparmiando la sua voce di instancabile imbonitore-cantore. Ho già detto in altra occasione che, per me, il genuino spirito di Fano è rappresentato dai due fratelli Berardi: Enzo, concreto e folle; don Guido, santo e visionario. C’è tutta Fano: la “genialesa”, la modestia, lo spirito, la serietà e il rigore mascherati da sana follia… Questo è l’Enzo Berardi che ricordo con ammirazione e un po’ d’affetto, l’artigiano che sapeva trasformarsi nel re delle invenzioni musicali, arringare orchestra e folla con la sua mano, grande come la sua fantasia.
(L.C. in S.Clappis – Storia della Musica Arabita, Fano 2018)


1 commento:

  1. Negli anni Cinquanta abitavo in Vua MuraSangallo, dietro le scuole commerciali e affacciandomi dalla finestra su retro che dava su Via malvezzi, la Musica Arabita la sentivo, anzi si puo dire che l'ho vista in parte costruire. Infatti quasi sotto la mia finestra c'era la falegnameria, "la butega" de "Ghigna el falegnam", dove lui insieme a vari altri, con martello, sega, chiodi, colla e altro, trasformavano vecchie caffettiere, canne,spugne,barattoli, vasi da notte, manici di scopa ed altro, in strani strumenti ritmici (spesso la falegnameria era anche il luogo delle prove musicati). Lui "Ghigna" suonava "el petin", un grande pettine dove poneva davanti della carta velina e ci soffiana, come delle "scoreggine", emettendo il suono di una roboante trombetta. La musica Arabità, quale componente integrante del Carnevale di Fano, quale proprietà di fantasia, di invenzione, di ingegno della nostra gente che insegnanti, dirigenti scolastici e soprattutto pubblici potrebbero far conoscere e promuovere nelle scuole e in tanti luoghi della città, quale proprietà creativa che altre realtà ci invidiano.
    Alfredo Pacassoni

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