Nel 1988 ebbi il piacere, nonché
ovviamente l’onore, di ricevere dalle mani di Carlo Bo il Premio Frontino-Montefeltro
per l’anno del cinema.
Ricordai allora, bel breve ringraziamento
improvvisato, come dalle stesse mani avessi ricevuto, ahimè troppi anni prima,
la mia laurea. E direi che nel senatore Carlo Bo, presidente di giuria e
relatore, non feci fatica a ravvisare quelle costanti che avevo ammirato nel
professor Carlo Bo, rettore e docente.
Quel nulla consentire al facile, al
superfluo, all’orpello, alla retorica. Quel suo rigore, nel far lezione come
nello stilare una nota critica, nel recensire come nell’impostare un articolo
di terza pagina. Il rigore della fedeltà a un ideale di cultura da non
svendere.
Ricordo le sue esemplari lezioni di
Letteratura francese, forse non particolarmente brillanti nell’esposizione, ma
quanto sottili! Un paziente e sapiente itinerario alla scoperta dell’idea
centrale, del nucleo ispiratore dell’opera in esame; una spirale di successive
approssimazioni che stringeva l’essenziale sempre più dappresso, sino a
svelarlo, come una conquista. Per la cronaca il corso verteva sul Don Giovanni
di Molière. (…)
L’Università di Urbino, “libera” in senso
sostanziale, creativo, inventivo – al di là di eventuali future collocazioni
richieste dai tempi – è opera e creatura di Carlo Bo. Non per nulla lo chiamano
scherzosamente – ma senza ironia – il Duca.
Letterato e insieme capitano d’industria,
critico come un marchigiano e accorto come un ligure. Sicuro e immediato nel
giudizio di uomini e cose, nonostante quell’apparente olimpica impassibilità.
(…)
Il tutto in un’Urbino sbigottita e lunare,
da conquistare con le “corriere” o con un trenino da Far West, meravigliosa nel
suo isolamento geografico che metteva a dura provala sua ansia motivata di
protagonismo.
Un paese magico, oggi felicemente
riscoperto da maree di turisti, intatto forse anche per merito di quella
lezione di consapevolezza che dalla cattedra di Carlo Bo calava giù per i
vicoli, ad apprendere come vecchio e nuovo potessero trovare un arduo ma
esaltante convivere. Come il paesaggio di Giovanni Santi e Timoteo Viti
potesse, al di là dell’idillio, costituire una ricchezza da non disperdere.
E oggi, al di là di ogni idillio, resta
una realtà di cui, allievo riconoscente, mi sento di dare atto a un Maestro.
(L.C. – “Un paese magico” in “Per Carlo
Bo, 25 gennaio 1991”
a cura di G.Tabanelli, Editrice Montefeltro, pp.225-227)