martedì 17 ottobre 2017

IL GIORNO PERDUTO



Come  ogni mattino, svegliandosi si era rivolto al calendario, uno di quelli all’antica da sfogliare giorno per giorno, con i grandi numeri stampati in rosso vivo. Il 20 luglio? Strano, gli sembrava che dovesse essere il 19. Controllò l’agenda, per verificare gli impegni della giornata e organizzarsi.  No, era proprio il 20. Ma non era ieri che  aveva preso parte alla riunione di presidenza, e poi tutti insieme la sera a cena allo Spaghetto Selvaggio? Non  poteva sbagliarsi. E ieri era appunto il 18. E allora perché oggi era il 20? Ma non doveva essere il 19? Che fine aveva fatto il 19?  Telefonò a uno degli amici della presunta sera prima. Controllò il diario aziendale. Nessun dubbio. Ieri era il 18 ed oggi il 20 luglio, anniversario del famoso attentato fallito a Hitler. Ci avevano fatto anche un film con Tom Cruise protagonista. Ma allora? E il 19 che fine aveva fatto? Si era perduto un giorno. Forse lo aveva passato a letto in coma profondo? Oppure era svanito nei sogni? Ma sui calendari e sull’agenda ne sarebbe rimasta traccia. Passò l’intera giornata a cercar di ricostruire se stesso, nel tentativo di recuperare quelle preziose ventiquattr’ore. C’era una sola soluzione, suggeritagli dai romanzi di fantascienza di cui era un vorace lettore: quel giorno lo avevano fatto scomparire i marziani, dopo averlo rapito e condotto via attraverso i sentieri segreti del cielo per visitare luoghi e pianeti proibiti. Forse avevano fatto esperimenti sul suo corpo per proseguire nella conoscenza di quella razza anomala a cui apparteneva. Infatti non ricordava di avere quel foruncolino sulla guancia destra, prossimo a esplodere espellendo la sua goccia di sangue o di pus. Che fosse spuntato e maturato in quel lasso di tempo scomparso? E la faccia da rasare? Non c’erano dubbi, era una barba di due giorni. Ma in fondo che cos’è un giorno? Giorno più giorno meno.
Eppure lo coglieva la nostalgia di quel giorno perduto, o meglio un’irrequietezza profonda, un’agitazione interiore che dal cervello  gli scendeva allo stomaco: quante cose avrebbe potuto fare in quel giorno perso? Tutto ciò che si era ripromesso di fare da tanto tempo e aveva sempre rimandato: rintracciare Luisa, la sua vecchia ragazza, quasi fidanzata. Oppure decidere finalmente di dare inizio al grande romanzo che gli avrebbe sicuramente procurato l’immortalità: aveva tutto l’incipit in testa, attendeva solo qualche ora vuota per stenderlo giù. O ancora rivedere i genitori che abitavamo lontano. Gliel’aveva promessa una visita fuori ordinanza, fuori dalle due previste a Natale e per la Festa del Santo. O ancora, passeggiare. Quanto tempo era che non passeggiava? Andare al mare e fare il bagno, magari prendendo in affitto un pattino, che dalle sue parti chiamavano moscone. Se ancora c’e n’era uno non spodestato dagli orribili pedalò in plastica rossa. Un giorno tutto per sé, da centellinare, ora dopo ora, minuto dopo minuto. E invece niente. Glielo avevano rubato. Avrebbe potuto protestare. E con chi? Con il Governo, è ovvio. Perché si era trattato sicuramente di un bieco trucco o di una  losca manovra del Governo per evitare uno sciopero o una manifestazione di piazza, o semplicemente per arrivare un giorno prima alla scadenza della Legislatura agli sgoccioli.
Nel rovello che non riusciva ad abbandonarlo passavano le ore. Quando si distolse dall’incubo cominciava già ad imbrunire: il 20 luglio stava volgendo al termine e lui si ritrovava solo, orbato da un giorno di vita e con il rimorso di averne sprecato un altro. Ma il 21 luglio sarebbe stato tutto diverso. Il 21 sarebbe stato il giorno della sua resurrezione. Oppure sarebbero tornati i marziani e al risveglio sarebbe stato un assolato, torrido 22 luglio!   
(Leandro Castellani)

mercoledì 11 ottobre 2017

DIARIO DI LAVORO - 4



(1961) Edizione e testi italiani (non accreditati) di numerosi programmi, fa cui: “Berlino” di Edward Murrow, “Hong Kong” di Stanley Flink, “Iran” di Edward Murrow e Winston Burdett, “Felice America!” di Henry Salomon e Richard Hanser, “Una serata con Jonesco”, ecc. Supervisione all’edizione definitiva e allestimento e testi delle presentazioni di Ettore Della Giovanna.

DIARIO DI LAVORO - 3



(1961) PATRIA MIA - cinque docum.tv su personaggi risorgimentali: (Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Cavour e, non firmato, Gioberti). Regia di Nelo Risi. Testi di Enzo Forcella. Fotografia Eugenio Thellung. Musica Daniele Paris. Aiuto regia Leandro Castellani e Liliana Cavani. BN

Seguii Nelo Risi, sempre assieme a Liliana Cavani, e stavolta sin dalla fase della sceneggiatura, anche per un successivo ciclo di documentari dedicati a grandi figure del Risorgimento. Mi vennero affidate persino alcune riprese, a cominciare da un’unica inquadratura, quella finale dell’episodio Mazzini: il grande monumento a lui dedicato in faccia al Circo Massimo. (…)
Durante il mio apprendistato, Nelo Risi mi spedì in Francia per realizzare, con un operatore reperito in loco, alcune immagini utili a illustrare il soggiorno parigino di Vincenzo Gioberti. Mi comprai un bel libro fotografico della Ville Lumière per studiare luoghi e inquadrature. E scelsi l’androne e le scale di una vecchia casa della Rive gauche, non ancora restaurata e rimessa a nuovo grazie alla Legge Malraux. Per inciso, casa e androne figureranno più tardi anche in un film di Truffaut. (…)
Ero giunto a Parigi in treno, dopo una prima tappa a Plombières, dove mi attendeva un giovane operatore un po’ spaurito, arrivato da Nancy, col quale avrei dovuto fissare alcune immagini per raccontare lo storico incontro fra Cavour e Napoleone III.

DIARIO DI LAVORO - 2



VITA BREVE ED EROICA DI IPPOLITO NIEVO - doc.tv, soggetto di Mauro Morassi e Nelo Risi; regia di Nelo Risi. Aiuto regia Leandro Castellani e Liliana
Cavani. BN – in onda 23 ottobre 1960
Pier Emilio Gennarini – patron dei nuovi assunti in RAI - volle affiancare me e Liliana Cavani al valido documentarista Nelo Risi, un amico milanese, sia pure di tendenze ideologiche certo non affini alle sue, il quale aveva ricevuto l’incarico di realizzare una “minibiografia“ da premettere allo sceneggiato di Vaccari sulle “Confessioni di un Italiano”, ribattezzate “La pisana”. La premessa avrebbe riguardato appunto la “Vita breve ed eroica di Ippolito Nievo”. L’incarico non poteva non entusiasmarmi. Seguire la ricerca del materiale iconografico, poi le riprese, nel Friuli, a Udine, nel castello di Colloredo, e poi il montaggio, l’edizione e così via…

domenica 8 ottobre 2017

LA BALLATA DELLO SCHIOPPO E DELLA CROCE



(due racconti fra storia e leggenda)
Punto di riferimento della narrativa popolare, sino a mezzo secolo fa o forse più, il cantastorie era il divulgatore delle vicende più appetite dalle piazze di mercato come dalle veglie contadine. Racconti fatti di parole e strofette, talvolta suffragate da un cartellone e da un foglietto volante. Ed erano fatti di sangue e d’amore, nefandezze e delitti, nonché vite esemplari di briganti e di santi.
Rievocando, con sensibilità aggiornata, i modi di questa vecchia  narrativa popolare l’autore narra e “canta” due “vite ribelli” a metà fra l’ottocento e i primi del secolo scorso: un  brigante che terrorizza i territori del Papa-re - una sorta di Robin Hood made in Italy, audace, coraggioso, sfrontato, ribelle – e, altrettanto ribelle anche se in altra accezione, un profeta messianico fondatore di una repubblica di eguali.
Due storie ispirate a personaggi veramente esistiti (il bandito Tommaso Rinaldini detto Mason dla Blona e il “profeta” David Lazzaretti detto “il Cristo dell’Amiata”) ma reinventate di sana pianta e narrate con la libera fantasia di un moderno cantastorie. Una lettura gradevolissima e coinvolgente.

PASSIONE ventidue grandi storie d'amore



Siamo tutti più o meno travolti dalle passioni, quelle di serie A ma anche quelle di serie B e C  e fino alla Z: per una squadra di calcio, una collezione di sottobicchieri da birra, la ricerca delle pizzerie, la visita ai musei o altro. Ma siamo tutti sfiorati dalla grande passione, quella delle storie d’amore immortali, esaltate dai poeti – primo in classifica Dante, seguito a ruota da Shakespeare – oppure dai pittori, dai romanzieri, dai musicisti, dai cineasti... Questo libro di poesie - o chiamatele filastrocche che è meglio - ne illustra ventidue, assortite fra Bibbia, romanzi celebri, poemi epici, tragedie, melodrammi lirici, e lo fa in modo irriverente e con il dovuto umorismo: ci sono i precursori Adamo ed Eva e poi Paolo e Francesca, Giulietta e Romeo, Renzo e Lucia, Cesare e Cleopatra, Sansone e Dalila, e tante celeberrime opere liriche, dalla Traviata a Rigoletto, da Carmen alla Cavalleria rusticana… Ad ogni poesiola segue una nota, un po’ dotta e un po’ divertiva: le due cose possano anche andare assieme. Un libretto da leggersi in un soffio, per confermare le nostre passioni  e divertircisi sopra…
Per illustrare i testi di Castellani, Festina Lente Edizioni ha chiamato a raccolta 32 noti cartoonist di diversa provenienza ed esperienza professionale.


mercoledì 4 ottobre 2017

DIARIO DI LAVORO, 1



Diario di lavoro - 1
Comincio la pubblicazione del mio “diario di lavoro”, nei settori della comunicazione e dello spettacolo, numerando i post di archivio e iniziando dal più vetusto, cioè dal remoto 1960.

I SABATI DI “CLASSE UNICA”: 1.L’evoluzione del western;        2.Tradizione e avanguardia nel cinema russo. Testi radiofonici di L.C. (non accreditato) trasmessi in febbraio.

Scrissi anche due conversazioni radiofoniche non firmate, sul Western e sul grande Cinema sovietico. Sentirle leggere alla Radio fu gratificante: apprezzai in particolar modo la voce di uno speaker, con cui avrei avuto rapporti di lavoro e di amicizia negli anni successivi. Si chiamava Riccardo Cucciolla.

venerdì 8 settembre 2017

PINOCCHIO IL GIORNO DOPO




“Com’ero buffo quand’ero burattino!” Già, ormai quel periodo buio se l’era lasciato alle spalle. Avrebbe avuto la vita felice che la buona fata gli aveva promesso. Non supponeva che all’arrivo della prima missiva, tramite Servizio Postale, indirizzata al signor Pinocchio Di Geppetto, appena tre giorni dopo la sua trasformazione, sarebbero iniziate le noie. L’Istituto Scolastico lamentava la sua reiterata assenza, di cui incolpava il genitore trascurato. Ma c’era ben altro: a che titolo si era esibito presso il teatrino del commendator Mangiafuoco? Precario, contratto a progetto, cococò? Dov’era la sua partita IVA, il versamento dei contributi e tutto il resto? A quale ufficio aveva esibito denunce, moduli, ricevute e cartacce varie? E i cinque zecchini a che titolo li aveva incamerati? Aveva evaso le tasse? Le trattenute e tutto il resto? E dov’era il contratto di lavoro stagionale per il periodo in cui aveva prestato servizio da cane presso il contadino? La tassa di soggiorno per la permanenza al villaggio turistico dei balocchi?
I giandarmi, gli odiati giandarmi se li vedeva già fuori dell’uscio, assieme all’ufficiale giudiziario, alla polizia tributaria, agli ispettori del lavoro eccetera eccetera.
Pinocchio raggiunse di nuovo la dimora eterea della Fata dai capelli turchini e implorò l’immediato ripristino alla precedente condizione esistenziale, cioè il ritorno all’età felice del burattiname. Sì, di legno, voleva essere tutto e interamente di legno, con buona pace di babbo Geppetto a cui peraltro avrebbe risparmiato tante preoccupazioni e nuovi guai che, alla sua età, potevano essergli fatali.

(L.C. "Dracula a Roma", Opposto ed. 2006)



lunedì 4 settembre 2017

AMARSI A GRADARA



Se vi interessa incontrare i protagonisti della più famosa "love story" del pianeta - dopo quella di Romeo e Giulietta, naturalmente - cercate di transitare, ma non prima di mezzanotte, sotto il lato est delle mura di Gradara, la parte più vecchia e incontaminata del vecchio Castello.
Gradara, in provincia di Pesaro ma a pochi passi dalla romagnola Cattolica, è una delle mete più frequentate dal turismo adriatico. Dunque non provateci durante l'estate, quando le note fragorose delle discoteche seminate nei dintorni, le gincane  automobilistiche al chiaro di luna o i cori dei turisti tedeschi inneggianti al vino e alla piadina sarebbero in grado di neutralizzare anche i gemiti dei fantasmi più volonterosi.
Invece, nelle notti d'inverno, quando la nebbia si trasforma in brina e il respiro in nuvola di fumo, non è improbabile che riusciate a udire distintamente i lamenti di Paolo e Francesca, intrecciati in un unisono d'amore. Riprova indiscutibile che il dramma cantato da Dante avvenne proprio qui, nonostante i dubbi insinuati da qualche storico puntiglioso. La "prova fantasma" è la più convincente.
Ma procediamo con ordine. Siamo nel secolo tredicesimo. Francesca, figlia di Guido da Polenta, è una fanciulla dolcissima e  bellissima,  che  si  affaccia  a  quel  mare di sentimenti tremori
speranze e sogni in cui naviga l'adolescenza. La vogliono sposa a un Malatesta, la potente famiglia che domina Rimini e la Romagna. Ma il Malatesta prescelto ad impalmare l'eterea fanciulla ravennate è un essere deforme e ignobile, Gianciotto, brutto nel corpo e cattivo nell'anima, come vuole la migliore tradizione favolistica, una sorta di ripetizione casalinga dello shakespeariano Riccardo III. Consapevole della sua scarsa avvenenza, Gianciotto ritiene più opportuno indicare il fratello Paolo, famoso invece per la sua bellezza, quale latore della richiesta ufficiale alla corte di Ravenna.
Dal solito spioncino, immancabile in ogni castello medioevale, Francesca riesce a spiare il bel Paolo a colloquio col genitore.
- Chi è quel giovane così leggiadro?, chiede arrossendo alla fedele nutrice. E la fedele nutrice, svanita e un po' ruffiana come tutte le nutrici, risponde:  - Ma è il Malatesta, venuto a chiedere la tua mano!
Francesca cade nell'equivoco - contatti diretti fra i due giovani non sono previsti dallo sbrigativo cerimoniale dell'epoca - e riserva immediatamente un'ampia porzione del suo cuore all'incantevole cavaliere.
Concluse per procura le nozze, Francesca raggiunge il Castello di Gradara e scopre l'inganno. Il suo sposo non è il bel giovane intravisto dallo spioncino della reggia paterna ma il bieco e deforme Gianciotto.
Glissiamo sulla luna di miele, presumibilmente agghiacciante, e arriviamo al cuore del dramma. Ci soccorre Dante: "amor che a nullo amato amar perdona..."
Paolo il bello ha la sciagurata idea di proporre come sollazzevole passatempo per la misera cognata la lettura degli amori di Lancillotto e Ginevra, una sorta di "soap opera" dell'epoca, potremmo dire. Il libro - è inevitabile - funziona da miccia e da scintilla, e i due giovani scoprono l'amore.
Scoppia il dramma. Gianciotto fiuta il tradimento. Ci sarà stato il solito Jago a sobillarlo? La storia non lo dice. Fatto sta che il marito cornificato finge una partenza, torna indietro, si apposta dietro l'uscio della camera fatale, sorprende i due amanti.
Per sottrarsi al pugnale del fratello, Paolo si getta dalla finestra ma rimane impigliato al ferro dell'imposta, Gianciotto gli è addosso, Francesca si frappone fra i due e accoglie la pugnalata in pieno petto. Poi il gobbo assassino finisce anche il fratello rivale...
All’epoca la storia dovette far scalpore se Dante, assiduo frequentatore della casa Da Polenta, ne fu così impressionato da riservarle uno dei momenti più alti e suggestivi della sua Divina Commedia.
Per secoli la tradizione ha ritenuto teatro del delitto il castello di Gradara, dove vi mostreranno ancora la camera di Francesca, l'ingresso segreto, l'uscio dell'agguato, la finestra e così via.
Ma c'è di più. Nel 1790 fu rinvenuto nel castello lo scheletro di una donna ricoperta di gioielli e vesti preziose: era Francesca? Francesca!, decretò il popolo, fugando ogni dubbio. E Paolo? Non voleva la tradizione che i due amanti fossero stati sepolti nella stessa tomba? E se poi qualche malvagio li avesse separati? Troverebbero piena giustificazione i periodici lamenti notturni dei due infelici innamorati che invocano la riunificazione!
La prova incontrovertibile che vuole Gradara sede della tragedia sono proprio quei lamenti - lamenti d'amore, è fuori discussione - che di tanto in tanto, quando tacciono le discoteche, si elevano strazianti dagli spalti. E se una notte o l'altra apparissero anche i fantasmi, completi di ricche vesti, oppure avvolti in un lenzuolo svolazzante o, meglio ancora, nudi come mamma li fece, stando alla tavola illustrata del Dorè? La locale benemerita pro-loco offrirebbe sicuramente una lauta ricompensa al fortunato... visionario.



domenica 16 luglio 2017

UNA FICTION ?



Se dovessi scrivere una fiction per la televisione italiana non saprei da che parte cominciare. La prima tentazione sarebbe quella di pescare fra la lista dei personaggi noti, appena defunti o addirittura vivi. Un Papa, non c’è che l’imbarazzo della scelta, purchè ci si limiti al nostro secolo o a quello appena trascorso. Cosa faceva il Papa attuale, o uno di quelli defunti da non troppo, a sei anni, a dieci, a diciotto, a ventisei, a trentacinque? Come nella vecchia agiografia di Jacopo da Varazze, dove i grandi santi sono già santi appena nati o subito dopo e, dalla più tenera età, si portano in capo, con motivato orgoglio, la loro brava piccola inossidabile aureola. Lasciando in pace Papi e Santi,  ci sarebbero i politici: la giovinezza di De Gasperi, o quella di Togliatti, oppure la vita di Pertini (strano che a Pertini non ci abbia ancora pensato nessuno). Stilisti e stiliste già abbondantemente praticati. Poi i sindacalisti, i capitani d’industria, qualche poeta purchè sufficientemente “maledetto”. Di pittori italici attuali o recenti, molto conosciuti a livello popolare non ce ne sono, quindi lasciamo stare la filiera. Si potrebbe provare con Guttuso, ma chi se lo ricorda?
E allora libriamoci sull’onda della pura invenzione. Una fiction di quelle interminabili, a puntate, bissabili o triplabili negli anni a venire purchè sostenute da prevedibile successo e da adeguata promozione. Tentiamo.
Una giovane extracomunitaria approda sui nostri lidi. Nel naufragio dello zatterone, pilotato da un bieco scafista, che tentava di traghettare una messe di clandestini sino alle acque italiane, sono morti suo marito e i suoi due figlioletti. In preda alla disperazione, la giovane libica si è gettata a nuoto ed è quasi riuscita a toccar la riva. Poi le forze le son venute meno ma è stata sollecitamente soccorsa da un pescatore con la sua barchetta, debitamente fornita di lampara.
Così la ragazza sfugge alle procedure d’identificazione, controlli medici, avvolgimento in copertina argentata e via di seguito. Il pescatore la trasferisce nella sua piccola capanna situata fra gli scogli siculi dove ospita anche un suo cugino del continente che si è recato da lui per dimenticare una delusione amorosa.
La ragazza - il volto debitamente incorniciato dallo shador -  è sfinita, sofferente. Il giovane ospite, che sta studiando medicina ed è prossimo alla laurea, vincendo la naturale ritrosia della ragazza, le presta le prime cure.
Intanto nel porto di Lampedusa lo zatterone, salvato in extremis dalla motovedetta nostrana, ha sbarcato i malconci superstiti. Si fa strada fra i corpi macilenti dei migranti un giovane disperato alla ricerca di sua moglie. Credendolo morto, dopo la perdita dei due piccoli, la donna si è gettata in mare ed è scomparsa fra le onde. Può essersi salvata, ha toccato terra, qualcuno l’ha vista?  
Sino a qui ci siamo. Quale programmista televisivo, quale critico letterario se la sentirebbero di non gradire una vicenda attuale, con gli esuli disperati, gli italiani ospitali, l’accoglienza immediata e l’integrazione a un passo: insomma una storia politically correct e anche commovente…
Da questo momento la mia fiction seguirebbe due vicende parallele. Quella della giovane libica esausta e disperata, soccorsa e guarita dal laureando che riesce a rimetterla in sesto restituendole nel contempo la forza di vivere, e quella del marito alla disperata ricerca di sua moglie. Con i relativi sviluppi: fra la giovane libica e il promettente laureando in medicina nasce un tenero sentimento che potrebbe preludere a qualcosa di più, come le puntate successive potrebbero incaricarsi di raccontare. E intanto, nel campo di prima accoglienza, il marito trova conforto in una fanciulla compaesana e co-salvata: insieme decidono di abbandonare il campo per cercare un lavoro saltuario nel paese ospitale.
Come autore di fiction saprei benissimo cosa fare, quali personaggi introdurre via via:  una giovane infermiera, un esoso datore di lavoro, un bieco caporale arruolatore di disperati, un poliziotto comprensivo ma fino a un certo punto, un sindaco compiacente, un criptoterrorista… E poi lancerei il personaggio del marito con annessa amica alla ricerca di lavoro in un vero e proprio road movie risalendo l’Italia e toccando di preferenza le regione fornite di generose e comprensive “film commission”, la Puglia, le Marche, su su sino al Piemonte.
Ma come scrittore con la Esse maiuscola sarei in serio imbarazzo: troppo stereotipi, troppi luoghi comuni, troppi passaggi obbligati, troppi occhiolini strizzati all’uopo.
Eppure debbo proseguire, non fosse altro che per terminare questa specie di bislacco raccontino. Come mi comporto? Faccio ricongiungere moglie e marito libici spezzando le due tenere storie d’amore che mi sono già fiorite sulla tastiera del computer? Troppo crudele e anche un po’ troppo “lieto fine”. Faccio proseguire le due nuove storie d’amore? La libica che si trasforma via via nella raffinata ed esotica consorte del medico alla moda, abbandonando shador e tradizioni? Ma poi un bel giorno una libica-doc che funge da badante al vecchio nonno dello sposo le ricorda le sue origini, la sacra religione dell’Islam, il tradimento della sua cultura, un’integrazione troppo a buon mercato. Che farà la giovane sposa? Riconquisterà il suo ripudiato shador?
Sull’altro versante avrei da seguire la vicenda dell’ex-marito che continua il suo difficile esodo su e giù per lo stivale prima di spostarsi in Germania, in Francia o in altro paese comunitario. Per lui la vita è dura. Un extracomunitario “cattivo” gli propone la facile via del vizio. Spacciare droga. Si fatica poco e si guadagna bene. Il giovane tentenna, starebbe quasi per aderire, ma....
Una retata. L’innocente ex-marito viene arrestato come spacciatore. In galera. La trama mi si complica nel cervello. E se a difenderlo dalle accuse accorresse l’angelo dei migranti, cioè l’avvocatessa degli extracomunitari, che poi sarebbe quella giovane paladina a suo tempo naturalizzatasi italiana grazie al matrimonio con un medico? Insomma la sua ex-moglie?
E se il buon clandestino cadesse nelle grinfie di un Iman “cattivo” che recluta terroristi da spedire nei luoghi caldi, l’Irak, la Siria, o per compiere atti di terrorismo nei paesi dell’Occidente?
E se inventassi anche qualche protagonista nostrano per arricchire il cast e non farne soltanto un racconto di extracomunitari? Che so: il figlio di un datore di lavoro rapito? Da chi? Perché? Un ricatto, una vendetta? Mi ci vorrebbe l’ispirazione. O meglio d’ispirazione ce ne ho anche troppa. Ci vorrebbe il coraggio di battere altre storie: perché non dedicarsi a una bella vicenda alla Jane Austen per esempio. Con trepide fanciulle da marito e stagionati rubacuori… Sicuramente mi divertirei di più. Ma non è proprio il caso. A quelle ci pensano già le telenovelas. 
(Leandro Castellani)

martedì 20 giugno 2017

CRONACHE DAL GALANTARA - FINE



cronache dal Galantara, 6
Cammina cammina...  dicevano le vecchie fiabe che continuavano così: e finalmente... Eccomi all’ultima cronaca da Galantara, scritta appena la sera prima della mia dismissione (26 maggio 2017), quando mi sembrava ormai di vivere come in apnea. Un mese e mezzo abbondante dal mio ricovero e dalla “caduta”. Ho la mia brava stampella e il passo un po’ indeciso, ma – come cantava Mina – l’importante è è è...è finire. Consumo le mie ultime ore in apnea - come ho già detto. Dall’ampia finestra mi specchio nel verde intenso delle piante secolari e in un cielo azzurro che, spesso e volentieri si arricchisce di un pennello di nuvole, a rovinare ogni volta il fine settimana di chi  può permetterselo. A me importa poco, tanto il mio orizzonte è costante. Apnea riguardo a quanto succede nel mondo “fuori”: l’ennesimo attentato dell’Isis, stavolta particolarmente bieco perché specula sulla presenza di minori a un concerto inglese di una loro beniamina, e poi il solito barcone o gommone  di “migranti” fatto apposta per affondare e attendere i provvidenziali ma ritardatari soccorritori; Trump visita Roma: toccata e fuga da un accigliato pontefice e la bella figlia biondina che visita la comunità di Sant’Egidio, vestita come si deve, con classe e modesta distinzione. Turbolente manifestazioni in Brasile, dove il sogno di una democrazia più umana, che fu quello di Don Paolo Tonucci e di tanti volonterosi, è ancora una volta rimandato al mittente. Ma questi ed altri avvenimenti, captati a spizzichi da una tv aperta durante le pause conviviali e un livello sonoro troppo basso per me, mi giungono ovattate, come facenti parte di un altro pianeta o perlomeno di un altro continente. Domani mi ritufferò, anzi sarò costretto, a ritrovarmi e rituffarmi fra problematiche private, casalinghe, domestiche, nazionali e internazionali. E vabbene così!!!

lunedì 19 giugno 2017

CRONACHE DAL GALANTARA, 5



cronache dal Galantara, 5
Stavolta tocca a una recensione. Ho visto, grazie al solito “Fire” di Amazon, un film gentilmente offerto da Nexflit, e cioè “Marie Antoinette”, opera dell’infanta del patriarca dei cinepadrini, cioè Sofia Coppola. L’ho abbordato con un po’ di timore: come avrebbe condito la giovane italo-americana la vicenda risaputissima della grande vittima del Terrore nonché uno dei personaggi più intriganti nell’epopea della Rivoluzione francese? Sua la sceneggiatura – dell’infanta voglio dire - ma appoggiata sul libro dell’ottima storica inglese Antonia  Fraser. E invece niente paura: l’approdo della giovanissima austriaca fra le tassative regole e il rigorosissimo cerimoniale della corte più collaudata d’Europa viene narrata con dovizia di mezzi ma anche con inappuntabile suggestiva precisione. Belle le ambientazioni nelle quali  Versailles la fa da padrone, altrettanto belli i costumi firmati da Milena Canonero, una delle poche,  se non l’unica costumista, a saper abbinare correttezza storica, ingegno e un pizzico di fantasia. Sequenze di cerimoniale che talora ricordano - ma in una versione “alla grande” - la meticolosità dei cerimoniali eternati da Rossellini nel suo primo telefilm francese. Un mondo rutilante quanto oppressivo si muove attorno alla gentile fanciulla ben interpretata da Kirsten Dunst. reduce dalle avventure dell’Uomo Ragno. Ma proprio mentre ci dichiariamo disponibili e ricrederci sulle virtù registiche di Sofia, il film perde quota. Attorno alla  gentile protagonista non prende vita nessun personaggio rimarcabile, forse eccezion fatta - ma in senso negativo - per la prestazione di Asia Argento nei panni della Du Barry, qui ridotta a una passeggiatrice da raccordo anulare. Le altre figurine, dal marito impotente alle dame di compagnia, al bello e insipido amante, svaniscono nel generico e anche la vita della stessa protagonista sfuma nel nulla. Quanto magniloquenti e sontuose sono le grandi scene della vita di palazzo, tanto spenti e semplicemente accennati sono gli spazi lasciati per la vicenda rivoluzionaria, volutamente tagliata fuori come un “dopo” troppo risaputo. Una scelta coraggiosa se anche la parte narrata non fosse, già per suo conto, scivolata nel generico. E allora Dieci con lode ai doviziosi produttori - sponsorizzati da papà Coppola -, dieci con lode ai costumi di Milena Canonero premiati giustamente con un Oscar. Per il resto, Sofia rimandata a ottobre.

domenica 18 giugno 2017

CRONACHE DAL GALANTATA, 4



cronache dal Galantara,  4
Ho abbandonato il mio fedele Kindle vista la possibilità di attingere alla straordinaria biblioteca circolante distribuita “apparentemente” a casaccio in ogni andito della Residenza Galantara, nonché, protetta da scatoloni in plastica, anche in alcuni angoli raggiungibili dell’annesso parco. Su ogni libro un adesivo avverte: “Leggere fa bene alla salute: prendimi, leggimi, ma... riportami !!!”
Cosa ho incontrato? Alcuni thriller alla moda che in altri momenti avrei pedissequamente recensito, fra questi una voluminosa storia, architettata alla grande e firmata da Lynda La Plante, sceneggiatrice di fiction nonchè scrittrice, dal nome che sembra finto, e invece è di una ex-attrice che se la cava benissimo. E poi uno strano libro che riunisce per l’ennesima volta la storia degli pseudo-misteri di sempre: dalla docile e pudica Nessie, serpentessa anfibia nascosta nel lago di Loch Ness in Scozia, alla scomparsa di Martin Borman, definitivamente svelata un paio d’anni dopo l’uscita di questo libro, e così via.  Ma la vera scoperta di questi giorni la devo a un volumetto portatomi da mio figlio, che ne aveva tratto un racconto per la sua serie di straordinari “Audiolibri” del mistero e del terrore, audiolibri magistralmente adattati, letti, montati e musicati da lui stesso. Il libro è un’antologia dei racconti di Maupassant, autore celebratissimo, che confesso - ad onta del mio amore per la letteratura francese - conoscevo solo di nome o poco più (confessare i propri limiti letterari non è certo una vergogna, ma neppure c’è da vantarsene). Sono racconti neri, misteriosi, fantastici e crudeli, che prendono le distanze dal realismo, dal naturalismo e da tutti gli ismi possibili e immaginabili per spiccare il volo verso altri più misteriosi e affascinanti lidi. Covando al loro interno alcune idee rivoluzionarie quanto irresistibili. Per esempio: come la nostra capacità di vedere, ascoltare, capire il mondo sia congenitamente circoscritta dai “sensi” di cui disponiamo: solo cinque e di limitate estensioni. In modo originale ripete la battuta shakespeariana: Ci sono più cose fra cielo e terra, Orazio, di quante ne contempli la nostra filosofia. Sono riflessioni e squarci impagabili. E inoltre Maupassant ribadisce in questi racconti, il valore rivoluzionario della pazzia, o follia che dir si voglia, sviluppando forse inconsapevolmente un’intuizione dello “scapigliato”  Iginio Ugo Tarchetti: chi è il pazzo fra noi? Mi fermo qui, ma -  come si vede - un femore fragile può pur servire a qualcosa. Tutto sta nell’accontentarsi.

sabato 17 giugno 2017

CRONACHE DAL GALANTARA - 3



Alcuni amici mi hanno invitato a postare i miei strampalati appunti stesi durante la mia permanenza  presso la  Residenza sanitaria Galantara a Trebbiantico di Pesaro, cioè fra il 19 aprile e il 26 maggio. Sono solo sette che riproporrò quotidianamente sul blog. Bontà loro!!! 

Dagli ampi terrazzi della Residenza sanitaria lo sguardo scivola ad accarezzare il parco secolare e le belle colline del pesarese, sino a Novilara e Sant’Andrea in Villis. Pochi chilometri e sarei a casa mia , ma c’è di mezzo una gamba! E ho tempo di apprezzare cose nuove. Sotto al loggiato del terrazzo un uccellino ha edificato il nido, fatto di argilla, come quelli che ornavano le case coloniche negli anni della mia infanzia. In anni successivi le rondini hanno disimparato a farlo. E invece questo nido è perfetto, come quelli di una volta: dal piccolo pertugio superiore l’uccellino - che non è una rondine e neppure un passero - imbocca la sua prole con  voli costanti e frequenti. E poi, sempre dal terrazzo dove tento “i miei primi passi”, posso seguire le evoluzioni di una coppia di gatti e dei loro rampolli: due cuccioli di gattino – si può dire così ? - , uno grigio, l’altro nero con una zampa bianca, che si rincorrono e saltellano con una vitalità che certo non è la mia. Utilizzando la carrozzella, mio figlio mi conduce nel parco, fra le tracce dell’antica nobiltà ancora riscontrabili nella fontana ben restaurata, in un sedile di pietra, in qualche colonnina, nei  resti di  un sontuoso giardino all’italiana: ma le siepi di bosso sono quasi secche, resta solo visibile il disegno del giardino che fu, come una sorta di impronta in negativo. Convenientemente il parco è stato riadattato alla nuova utilizzazione, ma in modo sommario come si usa adesso, cioè senza troppo amore. Eppure, grazie alla carrozzella e a mio figlio che la guida, sono in grado di trasformare anche questo luogo in un luogo “mio”, ridisegnandovi un mio percorso, insomma appropriandomene nell’esperienza attuale e nel futuro ricordo di questi lunghi giorni, una ricchezza che, una volta conquistata, nessuno potrà più togliermi.

venerdì 16 giugno 2017

CRONACHE DAL GALANTARA - 2



cronache dal Galantara, 2
Grazie alla sollecitudine di mio figlio Aldo Emanuele posso disporre  del dispositivo Fire di Amazon con cui riesco a tenermi aggiornato in fatto di cinema e tv. Senza – purtroppo – avere la possibilità di farne la recensione. Addio! altrettanti ricordi, anche molto recenti, che se non tradotti in parole rischiano di sfuggirmi e per sempre. Tento in recupero a distanza non appena  finalmente riesco a mettere le mani su una tastiera: “Orphanage, un ottimo film spagnolo; “Cuore artico”, un singolare film francese; altro singolare film francese “Nella casa”, firmato da François Ozon e con l’ottimo Fabrice Luchini;  poi due accurate ricognizioni nella storia: “The Chosen”, sull’assassinio di Trotsky, la cui sceneggiatura ripete parole per parola l’inchiesta giudiziaria alla quale anch’io attinsi per la mia inchiesta-tv, dove rivelai – e fu la prima volta – che Jacques Mornard era Ramon Mercader; “Serajevo” racconta in modo piano ma efficace i retroscena del “complotto” per provocare scientemente lo scoppio della prima guerra mondiale: due esempi perfetti di come si possano e si debbano produrre opere del genere.  E poi c’è “The Master”, film curioso e interessante anche se un po’ ondivago e confuso, con un grande Philip Seymour Hoffman e uno strepitoso Joachin Phoenix. E poi ancora “Max Rose”, l’ultimo film del grande – posso ripetere grande? - Jerry Lewis, un ritratto umanissimo e impietoso della senilità, che forse solo i “senili” come me possono apprezzare pienamente. Mi informa mio figlio che questo ottimo film ha raggranellato critiche molto negative – o tempora o mores! Nella tv “generalista” ho occasione di vedere anche un film italiano, “Loro chi?”. Dicono che abbia un buon successo e che riscuota lode e consenso di botteghino. Che squallore!!! Fra le serie televisive fornite da Netflix non mi dispiace “Bloodline”, con due vecchi leoni come la Spacek e Sam Shepard e un andamento non travolgente ma psicologicamente stimolante, e poi “Ingovernable”, una serie messicana raccontata con quel misurato vigore che era anche caratteristica delle serie “Narcos”. Ormai tutti i paesi fanno cinema e lo sanno fare anche bene, l’importante è avere qualcosa da dire e un motivo per dirlo agli altri.

giovedì 15 giugno 2017

CRONACHE DAL GALANTARA



Alcuni amici mi hanno invitato a postare i miei strampalati appunti stesi durante la mia permanenza  presso la  Residenza sanitaria Galantara a Trebbiantico di Pesaro, cioè fra il 19 aprile e il 26 maggio. Sono solo sette che riproporrò quotidianamente sul blog. Bontà loro!!!  
cronache dal Galantara, 1
Tutto cominciò così. Esattamente un mese fa, anzi, per la cronaca, un mese e mezzo. Mi trovo a Fano,  nella casetta delle mie estati, anche se è solo primavera (spiegherò il come e perché una prossima volta). Sfioro una porta che credo chiusa. E invece è aperta. Perdo l’equilibrio, come un emerito fesso. Mi abbatto -  ripeto: letteralmente mi abbatto - sulla soglia in marmo rosa, anzi non proprio marmo ma quella bella pietra proveniente da una cava del Furlo ormai estinta. Che mi è successo? Tento il rientro a Roma  dove mi attendono improrogabili incombenze, issato sull’auto da volonterosi amici. Ma dopo qualche chilometro - e neppure tanto pochi - mia moglie al volante capisce che non ce la posso fare. Pronto Soccorso nel mitico ”Santa Croce” di Fano. Radiografia e constatazione: rottura del femore. Attimi di terrore! Ricordo che da bambino sentivo ripetere da qualcuno in famiglia: i vecchi muoiono tutti così, gli si rompe il femore e poi... Allora ci siamo! E se fosse vero? Da Fano un’ambulanza mi trasferisce al Dipartimento traumatologico presso il “San Salvatore” di Pesaro. Il giorno dopo, intervento. Mezza anestesia, cioè anestesia locale. Sento le spericolate manovre che il Primario e i suoi assistenti praticano sul mio povero arto: sono in una sala operatoria o in una  falegnameria? E mi ritrovo immobile e confinato a letto. Passa una settimana o poco meno e vengo trasferito nella Residenza Sanitaria Galantara, a Trebbiantico, il paese che attraverso ogni volta che dalla mia residenza fanese mi sposto a Pesaro: una villa settecentesca - di cui resta in vita solo una bella fontana - trasformata cent’anni fa, anno più anno meno, in un Sanatorio – ma allora si diceva tubercolosario -  ed ora casa specializzata in salvataggi riabilitativi per quelli come me. Passa un mese, terapie e fisioterapie varie: mi mettono in piedi, da una sorta di carrellone biascellare vengo promosso a un carrellino biruote e poi, finalmente conquisto una stampella. La tappa a due stampelle l’ho saltata, promosso anzitempo. Appena rientrerò in possesso del mio fedele computer posterò questa cronachetta su FB per la gioia - si fa per dire - di tutti gli amici che mi hanno fatto gli auguri. Sulla mia scrivania ho un bel bronzetto di un leone con la scritta: Iterum rudit Leo! Un motto oppure un augurio!

mercoledì 7 giugno 2017



IL PIANETA TV
Ma che cos’è? Un manuale, un saggio o una serie di variazioni autobiografiche? Nulla di tutto questo, anzi mi correggo, tutto questo e anche altro. Mentre il Pianeta Tv sta allontanandosi dalla “galassia Marconi” – secondo la storica definizione di Mc Luhan – per veleggiare verso la galassia Steve Jobs e Bill Gates, cerco di salvarne la memoria. Il tutto in  tre capitoli. Il primo:  come nasce e come si afferma questo rivoluzionario mezzo di comunicazione di massa e soprattutto come inventa e come usa quel suo singolare linguaggio fatto di immagini sonore in movimento.  Attenzione! Niente di tecnico, di gergale, insomma di complicato. Una bussola tascabile per poter capire la tv, come e cosa ci dice, come da rigoroso modello di informazione può diventare – di volta in volta – imbonitrice, adescatrice, seduttrice. E vai col secondo capitolo: una veloce cronistoria di quanto la televisione italiana ha costruito in questi sessant’anni di vita. Raccontata in modo eloquente e stimolante, senza seguire la banale “vulgata” delle rievocazioni. Ed eccoci al terzo capitolo: “Parliamo tanto di me”, come direbbe Cesare Zavattini. Ho incontrato la tv che era una bambina, ancora incerta nel muoversi e nel parlare. E anche se non da solo naturalmente, ho cercato di insegnarli a parlare, le ho fatto incontrare la Storia, non quella di mille anni fa, ma quella recente, del nostro passato prossimo. E ho inventato alcune formule di spettacolo, prima che esistesse il termine “format”. Il mio illustre predatore, l’amico Giancarlo Governi, dice che mi sono inventato addirittura  “lo specifico televisivo”. Bonta sua! Tutto questo raccontato in 167 pagine? Certo e anche di più, per esempio i pareri scanzonati su questo meraviglioso e micidiale medium, a cominciare da quello del grande attore Robert Mitchum: “Se mi piace la tv? Sì, perchè si spegne facilmente!”

sabato 3 giugno 2017



LA BALLATA DELLO SCHIOPPO E DELLA CROCE
Questa operetta appartiene a quella mia recente “produzione libraria” impegnata a sovvertire o rinnovare vecchi moduli di racconto popolare, per esempio raccontando la storia del cinema per via di strofette ironiche (“Questo pazzo cinema”) oppure mediante le scanzonate filastrocche sulle vicende di grandi amori e grandi passioni (“Passione”). Stavolta uso ancora prosa e rime per fare un po’ il verso a quei cantastorie che, cento e più anni fa, giravano per i mercati con il foglietto volante - ed erano fatti di sangue e d’amore, nefandezze e delitti, nonché vite esemplari di briganti e di santi -, per raccontare le avventure di due personaggi singolari, due “vite ribelli” a metà fra l’ottocento e i primi del secolo scorso: un brigante che terrorizza i territori del Papa-re e un profeta messianico fondatore di una repubblica di eguali. Un brigante con lo schioppo e un profeta con la croce? Ma soprattutto due rivoluzioni – più o meno azzeccate e decisamente sfortunate - contro la sopraffazione, il potere e i potenti, insomma contro chi comanda che alla fine – chissà perché? - vince sempre. Due ribellioni, distorte e folli quanto si vuole: quella di un brigante che si autonomina Duca e quella di un profeta – santo, eretico, pazzo? – che si autonomina Messia. 
(FB su Pagina+ Pass.scrittura, 29 maggio)



A Fano c’era una grande piazza:
sulla fontana sta una ragazza
fatta di bronzo, ignuda e bruna,
viene chiamata Santa Fortuna,
Santa Fortuna, aiuta i banditi!
Sono feroci, sono agguerriti
contro il potere sono ribelli
ma son pietosi coi poverelli!
Santa Fortuna, aiutali tu
sennò vedrai che ti tiran giù!
(da “La ballata dello schioppo e della croce”, ed.Annulli)
(FB su La Vecchia Fano, 31maggio)

No, non siamo ribelli, non siamo mascalzoni:
siamo tutti fratelli, né servi né padroni!
Abbiamo scritto Pace sopra i nostri stendardi,
per battere le ingiustizie che non sia troppo tardi.
Uniti nell’amore uniamo i nostri canti
e che nessuno fermi l’esercito dei santi!
(da “La ballata dello schioppo e della croce”, ed.Annulli)


mercoledì 8 febbraio 2017

VECCHIE GLORIE




”Quartetto vecchie glorie”: così li aveva battezzati il manager che si era assunto l’onere se non di rilanciarli, almeno di farli esibire in qualche serata, naturalmente a prezzi stracciati. Sempre meglio che niente.
Franca, la stella della Radio anni Cinquanta, era passata indenne attraverso due matrimoni e un paio di convivenze “more uxorio” come si diceva ai suoi tempi. Grazie alla pensione dell’Enpals non se la passava malissimo ma neanche troppo bene. Per le nuove auspicabili serate aveva fatto rinfrescare e aggiustare dalla sartina del quartiere uno degli abiti dei giorni di gloria, lo stesso che aveva indossato quando si era piazzata prima a Sanremo, sbaragliando le concorrenti, e poi alla tv, nel revival per il trentennale della sua vittoria.
Giacomo detto Jacko faceva il barista al paese natale, in un localuccio interamente tappezzato con le foto dei suoi passati trionfi. Alla sua età, in America, Frank Sinatra e Dean Martin erano stati ancora sulla cresta dell’onda ma, si sa, l’Italia non è l’America. Conservava, a ricordo del glorioso passato, il prepotente ciuffo alla Elvis a cui non aveva mai saputo rinunciare, ravvivato dal ferro per capelli e reso corvino da apposita tintura. Con in mano la chitarra, che non aveva mai imparato a suonare, faceva ancora la sua figura, anche se doveva andarci piano con quel movimento sussultorio di anca e bacino - che continuavano a richiedergli - per non risvegliare la sciatica dormiente.
Intorno a loro – i veri big del quartetto – ruotavano gli altri due: un romagnolo, caciarone e battutista, che aveva cantato una sola volta e una sola canzone a Castrocaro nella sezione giovani di quarant’anni prima ma era sempre reperibile in loco e quindi aggregabile con poca spesa, nonché un napoletano planato da Fuorigrotta dove si era esibito come “ ’o malamente” nelle sceneggiate.
Il manager che si era inventato il quartetto, con un trascorso di fisarmonicista, agente immobiliare e autista di pullman turistici, riusciva a piazzarli in qualche festa locale, sporadiche esibizioni in ritrovi e sale da ballo riservate agli anziani, “ospitate” nelle emittenti televisive di serie C…
Arrivavano sul posto a bordo di una multipla guidata da Carlino il manager, non senza aver consumato antecedentemente un rapido spuntino a base di tramezzini. Per rifocillarsi alla grande confidavano nell’ospitalità del gestore a fine spettacolo, che invece, il più delle volte, costretto a subirli per una serata di stanca, non vedeva l’ora di liberarsi dei quattro sopravvissuti. Nei locali più giù, dove non c’era l’orchestra e neppure uno straccio di tastierista, i “quattro big” ricorrevano al playback esibendosi spudoratamente con il supporto di registrazioni vecchie di trent’anni e oltre. E gli sprovveduti avventori cascavano nell’equivoco: ma guarda un po’! Quei quattro anzianotti non avevano perduto neppure un filo di voce, sempre quella, arrangiamento d’orchestra compreso. Miracolo!
C’erano anche loro nella Rimini estiva delle cento spiagge, Bellariva, Marebello, Rivazzurra, senza soluzione di continuità sino a Riccione. “Allacciamoci nel tango”, cantava il napoletano dallo sguardo truce. E gli altri due uomini accoglievano fra le braccia, in un comico caschè, le poderose terga della cantante: Olè!

La grande festa di fine estate, organizzata da Comune, Pro-loco, Associazioni e Sponsor vari, si svolge nel grande piazzale intitolato al riminese Federico Fellini, il regista che ha saputo esportare nel mondo quell’allegria tinta di malinconia, quell’umorismo grassoccio e insieme coinvolgente tipico della gente di Romagna.
Sul palco, prima del vero clou, il più atteso, costituito dall’esibizione dell’orchestra di Giò Caramelli, che avrebbe coinvolto e stravolto locali e forestieri, stanziali e turisti nel grande valzer collettivo, sfilavano vedette di seconda categoria, smargiassi complessini rock, un arruffato rapper nostrano, più ermetico e indecifrabile dei colleghi d’oltre oceano, e soprattutto imitatori che riproponevano gli sculettamenti del Celentano preistorico o la voce nasale di Ramazzotti o il farfugliamento rabbioso di Beppe Grillo.
In bella posizione, il quartetto “Vecchie glorie” faceva vibrare di commozione i più anziani e scatenava sorprendenti confronti. Hai visto come è ridotta la Franca? E pensare che ha tre anni meno di me. Ma già, con quella vita! E Jacko, sempre bell’uomo, solo che ha esagerato con la tintura, due sopracciglia alla Mefisto! Biavati è sempre lui, simpatico e sfiatato, tira fuori più voce quando vende la frutta a Lugo, al mercato. E quel terrone cosa ci sta a fare in mezzo a quegli altri, chi l’ha mai visto?…
Al quartetto “Vecchie glorie” si alternavano, in un gioco un po’ perverso, le esibizioni della Musica Arabita, cioè arrabbiata, venuta dalla città di Fano: strumenti bizzarri ricavati da vecchi bidoni di vernice o da latte di pomodoro, violini di legno con dischetti metallici da far sfrigolare, ciucciotti da infante in funzione di kazoo, putitù e caccavelle fatte in casa. E un’allegria travolgente nell’eseguire vecchi motivi orecchiabili a tempo di marcetta e di valzerone. 
Negli stand tutto attorno al piazzale un drappello di rubiconde arzdore ammanniva piadine e alcuni omoni baffuti, cappello e capparella “stile Passatore”, mescevano sangiovese offerto dall’organizzazione. E mentre Franca, alternandosi con l’Arabita alla ribalta, ripeteva il suo invito ad allacciarsi nel tango e l’Elvis nostrano agitava ciuffo e chitarra, il popolo si divideva fra un’attenzione distratta alle attrazioni musicali e la ressa per ottenere il dovuto omaggio enologico-gastronomico.
Poi il “quartetto” e la banda fanese avrebbero ceduto il palco ai tecnici della grande Orchestra già in procinto di stendere cavi e microfoni.
L’atmosfera scombinata, caotica, spossante della grande festa di fine estate. Orchestre strampalate, stand gastronomici, esibizione di vecchie glorie canore, bambini con la nausea per i troppi gelati, palloncini che volano in cielo, ragazze accaldate, donnone dai piedi doloranti, gente del luogo e turisti stranieri omologati dal desiderio di ridere e divertirsi.

A fine festa non trovarono più il manager ad aspettarli col pulmino. Lo attesero con impazienza, stanchi e stremati dopo una serata particolarmente impegnativa. Non c’era più l’età per questi tour de force.
Ne ebbero la conferma dal gestore della grande festa: il loro manager se n’era già andato almeno da un’ora, appena ricevuto il saldo della serata. Scappato sul trabiccolo con i loro soldi, non solo quelli della festa ma dell’intera tournée, sempre trattenuti nell’attesa di “fare i conti tutti insieme e per benino”. Come avevano fatto a fidarsi? Tanto ingenui alla loro età? E sì che ne avevano già viste di cotte e di crude nella vita.
Il romagnolo fu il primo a prendere congedo. Io, sai che vi dico? Me ne torno a Lugo, tanto una macchina che mi dà un passaggio fino casa la trovo. Gli altri tre si avviarono con i piedi doloranti verso la stazione ferroviaria. Lungo il cammino si fermarono a un forno appena aperto per farsi un maritozzo con sopra la glassa. E si distesero esausti sulle panchine della sala d’aspetto, dopo aver consultato il tabellone per controllare l’orario delle partenze. Per il treno di Franca mancava solo un’ora, gli altri due avrebbero dovuto attendere il mattino dopo.
Accompagnarono la loro “diva” sino al binario. Abbracci e baci su entrambe le gote sudaticce. A Jacko la tinta era ceduta per il caldo e un filo come di nerofumo gli aveva imbrattato le occhiaie, tipo scettico blu. E il napoletano, più che un “malamente” sembrava un pezzente, serrato in un insondabile mutismo.
Ci proveremo ancora? Meglio di no, a che serve? Non ti sei accorto che la gente non ci ama più? Ama i propri ricordi e noi rischiamo addirittura di distruggerli. Facciamo danno. Non vedo l’ora di rivedere i miei nipotini. Sai, ne ho due. Carini da morire. A Pierino gli ho regalato una chitarrina. E tu? Sono sola, ma ho delle buone amiche. Giochiamo a burraco tutti i sabati. Allora ciao, però è stato bello.     

(Leandro Castellani)