“Com’ero
buffo quand’ero burattino!” Già, ormai quel periodo buio se l’era lasciato alle
spalle. Avrebbe avuto la vita felice che la buona fata gli aveva promesso. Non
supponeva che all’arrivo della prima missiva, tramite Servizio Postale, indirizzata
al signor Pinocchio Di Geppetto, appena tre giorni dopo la sua trasformazione,
sarebbero iniziate le noie. L’Istituto Scolastico lamentava la sua reiterata
assenza, di cui incolpava il genitore trascurato. Ma c’era ben altro: a che titolo
si era esibito presso il teatrino del commendator Mangiafuoco? Precario,
contratto a progetto, cococò? Dov’era la sua partita IVA, il versamento dei
contributi e tutto il resto? A quale ufficio aveva esibito denunce, moduli,
ricevute e cartacce varie? E i cinque zecchini a che titolo li aveva incamerati?
Aveva evaso le tasse? Le trattenute e tutto il resto? E dov’era il contratto di
lavoro stagionale per il periodo in cui aveva prestato servizio da cane presso
il contadino? La tassa di soggiorno per la permanenza al villaggio turistico
dei balocchi?
I giandarmi,
gli odiati giandarmi se li vedeva già fuori dell’uscio, assieme all’ufficiale
giudiziario, alla polizia tributaria, agli ispettori del lavoro eccetera eccetera.
Pinocchio
raggiunse di nuovo la dimora eterea della Fata dai capelli turchini e implorò l’immediato
ripristino alla precedente condizione esistenziale, cioè il ritorno all’età
felice del burattiname. Sì, di legno, voleva essere tutto e interamente di legno,
con buona pace di babbo Geppetto a cui peraltro avrebbe risparmiato tante preoccupazioni
e nuovi guai che, alla sua età, potevano essergli fatali.
(L.C. "Dracula a Roma", Opposto ed. 2006)
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