giovedì 14 maggio 2020

STORIE DELLA SELVA - punt.7, Domiziano e il brigante


No, non gli andava bene quel governo del Papa-Re che rendeva tutti un po’ schiavi, sia pur in modo benignamente soft, con minacce più che con rappresaglie cruente. La polizia pontificia li aveva annotati da tempo nei loro libroni, Evaristo e Domiziano Castellani, probabili massoni o comunque adepti a società segrete – la Carboneria? la Giovine Italia? - che mirano alla sovversione ed alla rimozione del legittimo Governo, Tutta colpa di quel Giuseppe Mazzini che da Londra continua a far proseliti, invocando un nuovo assetto repubblicano per tutta l’Italia. Repubblica? Italia? Quante panzane, e chi ci crede? Si parla di uno strano rituale segreto, con giuramenti solenni, scambi di sangue, cerimonie iniziatiche, sottoscrizioni di denaro e così via. I due fratelli fanesi erano artigiani o forse – malignavano i gendarmi - campavano un  po’ alle spalle di quel loro congiunto più pacifico e remissivo – almeno all’apparenza, non lasciatevi ingannare! -  che, alle dipendenze del nobile Pompilio De Cuppis, si era fatta una discreta agiatezza, tanto da riuscir ad acquistare un pezzo di terra nei dintorni, la meno appetita forse, perché occupata in buona parte da quel bosco infruttuoso chiamato la Selva, buona tutt’al più per cacciarci i colombacci durante i giorni del  “passo”.
Non staremo a rifare la storia di quell’infocato 1848, con l’Europa e l’Italia in ebollizione, i milanesi in rivolta, il Piemonte sul piede di guerra, il Mazzini a capo transitorio di una piccola repubblica e inoltre quello strano figuro arrivato dalle Americhe, con la barba rossiccia e i capelli lunghi sul collo (si mormorava volesse nascondere le orecchie mozze, a punizione  per i ladri di cavalli), mazziniano convinto ma uomo di spada più che di penna, e soprattutto patriota incantatore e trascinatore, vestito con l’immancabile rossa camicia portata dall’Argentina ed esibita come una bandiera.
I due fratelli Castellani mollarono il loro pacifico congiunto alla Selva e corsero ad arruolarsi con Garibaldi che, assieme a un migliaio di uomini, muoveva alla conquista del Sud d’Italia. Poi la storia che sappiamo. Garibaldi incontra nei pressi di Teano, ai margini delle terre liberate, quel Re altrettanto barbuto disceso da Torino con la seria intenzione di fare di una terra, divisa fra tanti monarchi, un’Italia unita. E Garibaldi gli presta fede e, sacrificando la vecchia fede mazziniana, offre a quel Re, su un ipotetico piatto d’argento, quel suo Sud appena conquistato. Il sogno di molti patrioti, fra cui i due fratelli fanesi, rivoluzionari, repubblicani e forse un po’ anarchici come nella cripto-tradizione familiare, sembra momentaneamente andato in fumo. Ci rimangono male, ma i più intelligenti ritengono sia l’unica soluzione praticabile per farla finita con i vecchi stati totalitari e dispotici.
E adesso? Garibaldi non pretende nulla per sé, gli basta un po’ di terra da coltivare in riva al mar di Sardegna, su un’isoletta che  lo separerà da tutto e da tutti. Continuerà a progettare nuove imprese, come la conquista di Roma, da strappare al Papa per donarla alla nuova Italia a cui si affida, pur con qualche titubanza. Il vecchio garibaldinismo rivoluzionario e libertario non ha più ragione di esistere ma “l’eroe dei due mondi” chiede garanzie e rispetto per gli uomini che lo hanno seguito alla conquista di un regno. Che fai, Vittorio?, non me li lascerai in brache di tela i miei uomini! Guarda che quelli sono cattivi, potrebbero arrabbiarsi di brutto!
L’astuto conte torinese che ha ispirato e guidato la machiavellica operazione offre, come al solito, una soluzione spiccia: i garibaldini che si arrendono al nuovo ordine potranno essere inseriti nell’esercito ex-piemontese. Li mandiamo nel Sud, a metter giudizio alle bande di briganti più o meno borbonici.
E i due eroi fanesi? Potrebbero essere annessi anche loro al nuovo esercito italiano, con tanto di divisa con le spalline e gradi sul bavero? Domiziano accetta ed Evaristo segue docile il fratello. Cosa ci sarebbe da fare per questa nuova Italia? Elementare! Reprimere il banditismo che ha ripreso nuovo vigore, specie nel Sud, dalla Terra di Lavoro alle Puglie, alla Sicilia. Il brigantaggio fa paura, accoglie i reduci dei vecchi eserciti borbonici ma soprattutto delinquenti, grassatori, banditi. Sono un flagello per i borghi e le campagne, una scuola di violenza e sopraffazione.  Ne sanno qualcosa i due fanesi, perché i gendarmi pontifici – lo Stato della Chiesa non ancora scomparso – hanno di recente fatto fuori un pericoloso brigante conosciuto come il Passatore, così come cent’anni prima avevano fatto fuori un altro bandito pericoloso, Mason dla Blona, nato a Montemaggiore, terrore del Montefeltro e della Legazione di Ravenna. Per non parlare poi del brigantaggio nei dintorni di Roma, con i viaggiatori e i devoti pellegrini costantemente depredati. Il brigante Gasperone è finito in prigione ma quanti ce ne sono ancora in giro? Cosa di più patriottico che prendersela con i briganti?
Domiziano riceve un incarico importante: guidare le truppe ex-piemontesi nell’Alta Terra di Lavoro dove imperversa la banda guidata da un terribile brigante, terribile anche nel nome: Fuoco!, il piú scaltro, il più inafferrabile, il più spietato dei briganti su piazza. Sulla sua testa si sono accumulate grosse taglie, ma inutilmente. Un brigante, che, presso le popolazioni ignoranti, passa da eroe della resistenza borbonica, di quei briganti che non sopportano il nuovo padrone unitario ma vorrebbero risolvere i ben più gravi problemi della giustizia, della fame, della povertà, dell’istruzione. Un bandito o un eroe? E Domiziano un persecutore, un servo del nuovo ordine?  Com’è difficile capirci qualcosa e giudicare!  Domiziano non perdona. Ha ricevuto mandato di sgominare una Banda, che conta sino a centocinquanta uomini, e riuscirà a sgominarla. Della sua epica impresa conserverà come souvenir soltanto il cannocchiale del terribile capobanda. A suo tempo lo porterà con sé a Fano. Ritiratosi a vita privata i compaesani gli tributeranno i giusti onori, ma senza esagerare, come loro costume. Dimessosi dall’esercito, povero pensionato statale, Domiziano si riunirà a suo fratello Egisto e anche all’altro suo fratello, Remigio, che coltiva la Selva. Spesso va a trovarlo, ha l’impressione che quella Selva, così intricata e lussureggiante, sia un po’ l’immagine delle sue indomite battaglie per un’Italia che, attraversando cespugli e roveti non meno spinosi, sta dirigendosi stancamente verso il futuro.



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