Costretto a un isolamento forzato per colpa dell’insidioso
virus e successivi decreti presidenziali, attesi le ultime due settimane che mi
separavano dal varo della sospirata “fase
due” (4 maggio 2020) per buttare giù di getto le mie “storie della Selva” utilizzando
un cammino, iniziato anni prima, forse senza rendermene conto, con la
pubblicazione della prima di queste storie e delle ultime due ambientate negli
anni della seconda guerra mondiale. Le altre sono di mia recente invenzione e stesura,
ma la colpa è del virus. Naturalmente, non avendo a disposizione i volumi della
mia quasi defunta biblioteca, ho dovuto supplire con la fantasia a una più
seria e meditata ricerca storica. E sono nate le pagine che parlano della mitica
battaglia del Metauro e poi quelle suggeritemi malamente dalle memorie
familiari e soprattutto dalle impressioni e suggestioni infantili.
La Selva è il nome popolare di un boschetto di circa
tre ettari che la mia famiglia possiede da svariate generazioni, in cui con i
miei andavamo a passare le nostre estate, nonché il luogo dove trascorremmo,
sfollati da Fano, il lungo periodo della seconda guerra mondiale. A quel tempo sembrava
- ed era - lontanissima dalla realtà cittadina: strade precarie, acqua da
attingere a un pozzo lontano da casa, niente luce elettrica, la luce era quella
del sole, cui suppliva, a sera e in inverno, una misera candela, un lume a
petrolio o la mefitica comparsa di un lume acetilene. I viaggi alla Selva erano un’avventura estiva
da ricordare e attendere con trepidazione ed eccitazione. Mio padre con la
motocicletta Sertum con la nonna sul sellino posteriore, mia madre mia sorella
ed io sulle biciclette e a piedi l’ultima scalata. Oggi la Selva è divenuta
talmente vicina alla città, con la frazione del Fenile, allora di poche case, cresciuta
sino a diventare un civettuolo agglomerato, completo di chiesa, supermercato,
servizio medico, banca eccetera. Tanto
che da un paio d’anni, dopo il mio divorzio da Roma, ne ho fatto la mia stabile residenza, anche se
tuttora in attesa di sistemazione a causa di drammatiche incombenze sopravvenute. Ma rimane tuttora un luogo
magico, ideale per chi come me abbia voglia di
partire in viaggio con la fantasia.
Due settimane prima dell’attesissima – e vana? –
seconda fase, quindici giorni, il tempo che servirebbe a uno scrittore vero –
dichiamo Balzac, di cui ho appena letto una sostanziosa biografia – per scrivere più di un romanzo. Ma io non dovrei
essere uno scrittore vero, visto che mi manca la costanza. O forse la voglia di
gettarmi in un’impresa del genere. O forse il talento. Qualcosa però sarei
riuscire a scrivere, per esempio una serie di storie, chiamiamole novelle
racconti fantasie o quello che vi pare, racchiuse entro una cornice comune,
tratta dal vero o perlomeno da plausibili ricordi. Mio bis-bisnonno che scopre
la tomba di un uomo preistorico ai margini del bosco di famiglia, il saggio che
ci presta uno scongiuro per fugare i pericoli della guerra... Quante storie
potrebbe evocare quella piccola macchia, a tre chilometri dal maggior centro
abitato, che i locali chiamavano pomposamente la Selva? Storie di secoli
passati, o forse fantasie di un autore in cerca di soggetti.
(Leandro Castellani)
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