giovedì 7 maggio 2020

STORIE DELLA SELVA - punt.1, prefazione


Costretto a un isolamento forzato per colpa dell’insidioso virus e successivi decreti presidenziali, attesi le ultime due settimane che mi separavano  dal varo della sospirata “fase due” (4 maggio 2020) per buttare giù di getto le mie “storie della Selva” utilizzando un cammino, iniziato anni prima, forse senza rendermene conto, con la pubblicazione della prima di queste storie e delle ultime due ambientate negli anni della seconda guerra mondiale. Le altre sono di mia recente invenzione e stesura, ma la colpa è del virus. Naturalmente, non avendo a disposizione i volumi della mia quasi defunta biblioteca, ho dovuto supplire con la fantasia a una più seria e meditata ricerca storica. E sono nate le pagine che parlano della mitica battaglia del Metauro e poi quelle suggeritemi malamente dalle memorie familiari e soprattutto dalle impressioni e suggestioni infantili.
La Selva è il nome popolare di un boschetto di circa tre ettari che la mia famiglia possiede da svariate generazioni, in cui con i miei andavamo a passare le nostre estate, nonché il luogo dove trascorremmo, sfollati da Fano, il lungo periodo della seconda guerra mondiale. A quel tempo sembrava - ed era - lontanissima dalla realtà cittadina: strade precarie, acqua da attingere a un pozzo lontano da casa, niente luce elettrica, la luce era quella del sole, cui suppliva, a sera e in inverno, una misera candela, un lume a petrolio o la mefitica comparsa di un lume acetilene.  I viaggi alla Selva erano un’avventura estiva da ricordare e attendere con  trepidazione ed eccitazione. Mio padre con la motocicletta Sertum con la nonna sul sellino posteriore, mia madre mia sorella ed io sulle biciclette e a piedi l’ultima scalata. Oggi la Selva è divenuta talmente vicina alla città, con la frazione del Fenile, allora di poche case, cresciuta sino a diventare un civettuolo agglomerato, completo di chiesa, supermercato, servizio medico, banca  eccetera. Tanto che da un paio d’anni, dopo il mio divorzio da Roma,  ne ho fatto la mia stabile residenza, anche se tuttora in attesa di sistemazione a causa di drammatiche incombenze  sopravvenute. Ma rimane tuttora un luogo magico, ideale per chi come me abbia voglia di  partire in viaggio con la fantasia.
Due settimane prima dell’attesissima – e vana? – seconda fase, quindici giorni, il tempo che servirebbe a uno scrittore vero – dichiamo Balzac, di cui ho appena letto una sostanziosa biografia  – per scrivere più di un romanzo. Ma io non dovrei essere uno scrittore vero, visto che mi manca la costanza. O forse la voglia di gettarmi in un’impresa del genere. O forse il talento. Qualcosa però sarei riuscire a scrivere, per esempio una serie di storie, chiamiamole novelle racconti fantasie o quello che vi pare, racchiuse entro una cornice comune, tratta dal vero o perlomeno da plausibili ricordi. Mio bis-bisnonno che scopre la tomba di un uomo preistorico ai margini del bosco di famiglia, il saggio che ci presta uno scongiuro per fugare i pericoli della guerra... Quante storie potrebbe evocare quella piccola macchia, a tre chilometri dal maggior centro abitato, che i locali chiamavano pomposamente la Selva? Storie di secoli passati, o forse fantasie di un autore in cerca di soggetti.
(Leandro Castellani)

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