29 ore per non morire. Numero uno
di una serie annunciata che dovrebbe comporsi di vicende allucinate e
allucinanti racchiuse nel giro di 29 ore, insomma una sorta di sconvolgente
“conto alla rovescia” verso la nemesi della novantanovesima ora. Non conoscendo
la prolifica quanto giovane autrice il nostro primo pensiero di lettore era che
si trattasse di un thriller americano puntualmente tradotto. Poi ci siamo resi
conto che l’operazione era inversa: thriller di autrice italiana ma ambientato
a New York e costruito pedissequamente sulla falsariga degli autori statunitensi
di successo. Insomma un’opera esportabile negli USA per essere re-importata in
Italia per quelli che amano il thriller statunitense. Scusate il gioco di
parole. Il romanzo è scritto con quella progressione drammatica, carica di
suspense, che caratterizza le opere del genere. Anche lo stile e il moduli del
racconto sono immediatamente riconducibili a quelli USA. Non si risparmiano
particolari d’obbligo come le mutilazioni e le torture, i serial killer
psicopatici, gli hacker tuttofare, i talk show, i poliziotti disinvolti. Tutto
ruota attorno a due figure femminili, una fotoreporter d’assalto e una profiler
della Polizia, abbastanza simili fra loro: donne decisioniste e un po’
mascoline. Cosa dire di questo thriller? Non si può dirne male perché assolve
in modo egregio il compito di fornire una lettura suggestiva e intrigante, non
se ne può dire troppo bene perché questo clone di un modello americano
conserva, nonostante le soluzioni impreviste, qualcosa di scontato, un deja-vue
per citare una delle chiavi della storia.
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