domenica 14 febbraio 2016

KAMEL DAOUD - IL CASO MEURSAULT



Basta l’incipit, cioè le prime righe, per capire che ci troviamo di fronte a un libro “diverso”: “Oggi mamma è ancora viva. Non dice  niente, ma potrebbe raccontare molte cose. Diversamente da me, che a forza di rimuginare questa storia non me la ricordo quasi più.”
Un protagonista senza nome, l’arabo”, che si confessa a uno scrittore in cerca di verità, incontrato al tavolo di un bar, fra bicchieri di vino e lunghe pause. Una confessione fatta di avanti e indietro, di pause, di remore e di autoaccuse, di domande a se stesso e al proprio passato. E pian piano emerge la vicenda, affiora dalla memoria, ma in questo modo confuso, nella ricerca di se stesso La confessione di un perdente o il vaneggiare di un mitomane? Suo fratello è stato ucciso da Meursault, come Albert Camus ha narrato ne “Lo straniero”, dove un arabo senza nome è protagonista e insieme dettaglio pleonastico di un romanzo scritto dalla parte dell’uccisore e non della vittima. Chi tenta di raccontare la storia - l’uomo del bar - è il fratello dell'ucciso, cresciuto nel ricordo di quel morto, fra le spire amorose e rancorose di una madre vissuta solo per la vendetta. Ha trascorsa la giovinezza nel tentativo di ricostruire la storia di questo ucciso, poi è riuscito a vendicarlo e ad esaudire il desiderio inconscio di sua m
adre uccidendo un francese, uno qualunque. Ed ha consumato la sua vita nell’apostasia di se stesso. Scalare un minareto per  gridare dall’alto, a tutti, “ urlare che sono libero e che Dio è una domanda, non una risposta, e che voglio incontrarlo da solo come alla nascita o alla morte”...
Il libro è anche la metafora di un popolo alla ricerca di quella misteriosa identità che si nasconde ““nel ventre delle nostre terre”. Scritto dal giornalista algerino Kamel Daoud, “Il caso Meursault”, edito in Italia da Bompiani, ha vinto il prestigioso Prix Gongourt per l’opera prima.

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