Nel
2005, poco prima che venisse celebrato il sessantesimo anniversario della
liberazione dei campi di sterminio nell'ex campo di Mauthausen, Enric Marco venne
smascherato pubblicamente da uno storico, Benito Bermejo, che scoprì come il
sedicente sopravvissuto non fosse mai stato internato a Flossenbürg. Un vero e
proprio scoop che sconvolse l'opinione pubblica e il mondo intero.
La vicenda può apparirci un po’
lontana, riguardando un novantenne che ha vissuto le vicende della Spagna franchista,
della guerra e dell’età di transizione verso la democrazia, ma Javier Cercas,
professore di letteratura spagnola e saggista, tratteggia in modo esemplare la
figura di questo “splendido” impostore” che deve la sua credibilità e fama al
fatto di essere un sopravvissuto ai campi di sterminio nazista ma che, una
volta scoperta la menzogna, cade nel generale discredito nonostante continui disperatamente
a tentar di accreditarsi quale anarchico
della prim’ora, antifranchista, deportato,
sindacalista… insomma quale eroe. Ma l’interesse precipuo delle quattrocento pagine de
“L’impostore”, edito da Guanda, consiste nella sua particolare struttura. Il
libro è scandito in varie parti, nelle quali ricostruzione, analisi,
discussione e dibattito si alternano e interferiscono. Cercas parla a lungo
delle sue esitazioni e remore prima di votarsi a un’impresa del genere - ricostruire
la storia di un’impostura - ma alla fine intraprende la ricerca con la
diffidenza e la minuziosità di un archeologo: l’incontro con Enric Marco, la pedissequa
ricostruzione della sua vita pubblica e privata, poi la disamina dei documenti,
l’impegno per comprendere e forse giustificare quella splendida menzogna. Incombe
sull’autore lo lezione di Cervantes con il suo “Don Chisciotte”, storia di un
buonuomo che a cinquant’anni suonati decide di intraprendere la via del sogno per
inventarsi nuovo e diverso. Un mitomane? Affascinato suo malgrado dal
personaggio di questo novantenne, efficace e imprevedibile affabulatore, vittima
e un po’ stregato dalla vasta eco ottenuta sui media, l’autore non si perita di
porre continuamente in crisi il personaggio e la sua stessa ricerca. Così il
libro torna ad essere la storia di un’indagine, una vita ricostruita per via di
ipotesi. Cercas ci conduce lungo questo impervio cammino, districandosi fra i
suoi dubbi e i suoi incontri, verso una conclusione aperta: “la realtà uccide e
la finzione salva”.
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