lunedì 6 settembre 2021

QUEL TALE CHE SCRIVEVA PER I POSTERI - 3 - geremiade in sei gemiti di Leandro Castellani

 


III.

Continuava a scrivere per i posteri. Da qualche tempo aveva  smesso di andare a caccia di editrici volonterose. Aveva preferito raccogliere quanto scriveva in cartelle dattiloscritte stampate via via dal computer. Tanto valeva che i volonterosi posteri ce li andassero a cercare i suoi scritti in qualche fondo di biblioteca a cui lui stesso oppure suo figlio li avrebbe fatti omaggio.

Un po’ si pentiva di essersi comportato in modo così elusivo, quasi sprezzante, negli anni trascorsi ahimè troppo velocemente. Se avesse fraternizzato maggiormente con scrittori ed editori, frequentato quelli che contavano nel mondo della cultura, lusingato gli ignorantissimi curatori di qualche rubrica, i suoi scritti sarebbero potuto uscire in edizioni rilegate con copertine rutilanti ed essere letti da critici letterari super impegnati che certo non si sarebbero limitati a esplorare la “quarta” di copertina e a brucare a caso qualche pagina per appuntarsi una frasetta citabile. Si era comportato così anche in altri campi, come quello di narratore per immagini al quale aveva dedicato gran parte della vita. Si era sempre fermato sulla soglia del potere, contrario – e anche un po’ schifato – di certe mode e di certe benemerenze, magari acquisite e accettate ma subito contestate.

Continuava a scrivere per i posteri. A cominciare dall’autobiografia, la summa della sua vita, ricca e sufficientemente esauriente: vi dava atto della sua infanzia, a partire dai cosiddetti primi vagiti, e poi il ricordo dei suoi genitori, del paese natale, e poi ancora - o subito dopo - il curricolo delle fatiche per conquistarsi una  posizione, gli incontri, le cose, gli ambienti, le persone. Un’autobiografia con i fiocchi, non come quelle messe assieme dai cosiddetti ghost-writer a servizio di un cantante, di un attorucolo di successo, un telefantasista, un registuzzo.  Una biografia verace che, all’occorrenza, potesse anche servire come eloquente lezione di vita. Per chi, per qualcuno? Ma sarebbe rimasta inedita. A lui era bastato scriverla, come un sorta di lieta onesta confessione di sé a se stesso, un recupero del tempo vissuto o perduto. Non avrebbe mai raggiunto il successo della “Recherche”  del grande Marcel Proust, libro – anzi, serie di libri -  che non aveva mai letto ma dai “sentito dire” aveva supposto trattarsi di un’autobiografia estenuante, inquinata da un certo grado di perversione. Chissà mai se era così.

Aveva un fulgido esempio di come andavano le cose. Anche per le storie del cinema era accaduto lo stesso. Per anni ed anni si erano limitate a ricordare e celebrare solo i film che, alla loro prima uscita, avevano avuto l’onore di un certo successo, favorito da un’adeguata promozione, stimati, recensiti, premiati e incensati. O magari bollati come “maledetti” e sanamente iconoclasti, rivoluzionari e trasgressivi. Per le storie del cinema, anche quelle redatte da seri studiosi, tutti gli altri film non esistevano. Film di genere, film di mestieranti, fatti con pochi soldi per sfruttare un filone, un comicaccio, un fattaccio, film per divertire ed emozionare. O diretti da un signor nessuno. Chi l’aveva mai vista tutta questa roba? Più tardi arrivarono i cineclub e più tardi ancora arrivarono le videocassette – frutto della rivoluzione tecnologica - che fornirono a molti la possibilità di visionare film mai visti, ripescati in qualche fondo di magazzino, e questi film, trovati  un po’ a caso, fecero capire agli studiosi onesti  che l’intera storia del cinema non poteva ridursi ai cento film osannati a suo tempo dalla stampa o nel ricordo dei critici sopravvissuti. Anche quelli,  rivisti finalmente con occhi disincantati, apparivano molto meno “pietre miliari” denunciando l’usura del tempo. Mentre c’erano tanti film, visti da pochi o disprezzati o non presi in considerazione, che erano importanti o comunque documenti indispensabili per capire il tempo. E gli storici del cinema dovevano ricominciare da capo.

 

Sarebbe avvenuto così anche per la narrativa e la letteratura in genere? Best seller di un tempo – magari di pochi anni prima - che mostravano le falsarighe adottate, le moralità stantie, l’ipocrita ossequio alla moda, con una saggia quanto procace distribuzione di violenza ed erotismo, neppure celata dietro le pruderies una volta d’obbligo, ormai schifati, da non prendersi neppure in considerazione. E invece modesti libri, stampati da volonterose editrici, ripescati nel mazzo e riportati agli onori della ribalta letteraria. E lui, che aveva scritto per i posteri, assurto nel novero degli autori che contano. Chissà se negli spazi iperuranici nei quali a quel tempo sarebbe ormai approdato avrebbe mai potuto arrivare l’eco del casuale ma provvidenziale ritrovamento dei suoi inediti, e anche dei suoi editi ma scarsamente acquistati e diffusi, le manifestazioni postume in suo onore e, perché no, la collocazione di un busto scultoreo nei giardinetti del paese nonché la targa sulla sua casa natale, sempre che, a quel tempo, la stessa fosse sopravvissuta agli eventi bellici e alle calamità naturali. Nel suo caso la casa natale non esisteva più, crollata sotto le bombe della seconda guerra mondiale e poi sostituita da un funzionale quanto anonimo palazzetto. Una triste metafora?  

Nessun commento:

Posta un commento