domenica 5 settembre 2021

QUEL TALE CHE SCRIVEVA PER I POSTERI - 2 - geremiade in sei gemiti di Leandro Castellani


Ma torniamo al nostro scrittore. Anche lui scriveva per i posteri, eppure non se la sentiva di affrontare il giro vizioso dei recensori, dei consulenti letterari, degli agenti a servizio delle varie editrici di serie A, peraltro ridottesi a pochissime, un  paio o poco più, che ormai si contendevano lo sparuto mercato librario con i suoi annessi promozionali: sfilate, premi letterari, partecipazione ad autoincensamenti televisivi, cene eleganti, salotti buoni. No, lui, scriveva per i posteri. Ma chi sarebbero stati poi questi posteri? Avrebbero avuto il coraggio, la forza, la curiosità di andare a disseppellire i suoi testi, pubblicati in edizioni onorevoli e stimabili, ma sconsolatamente secondarie e trascurabili? Andando a recuperare le poche copie ancora in circolazione o le molte giacenti nei depositi e frettolosamente eliminate in qualche macero? O si sarebbero limitati a “pescare nel mazzo”, con l’intento di scoprire e riscoprire i grandi autori, già abbondantemente scoperti ma forse parzialmente dimenticati o eliminati da qualche esondazione? Magari uno dei suoi libri sarebbe potuto riaffiorare in superficie per puro caso, per la ricerca schiribizzosa di qualche rabdomante, o magari per motivi campanilistici (ce l’abbiamo anche noi il nostro Dante, il nostro Manzoni, il nostro Moravia!).

No, lui non aveva mai avuto la pazienza di aspettare le scoperte postume com’era avvenuto a  Lampedusa e neppure gli ottant’anni suonati come la Prato. E aveva preferito vedersele pubblicate via via le sue cose, in edizioni semplici, quasi spartane. Intendiamoci: niente self-publishing (detto in italiano: edizioni a proprie spese), quel sistema che stava fagocitando tutti i cosiddetti “scrittori della domenica”, gli illusi, gli sprovveduti, e niente case editrici fasulle che si limitavano a venderti le copie del tuo libro o farselo pagare anticipato. No, per piccoli che fossero, voleva editori seri e rigorosamente “free” - come si diceva adesso - che almeno si addossassero le spese di stampa in attesa degli ipotetici problematici guadagni.

E vedeva con legittima soddisfazione, unita a sana frustrazione, riempirsi almeno lo scaffale della propria biblioteca riservato ai libri a sua firma. Libri di ogni genere e specie, quali gli dettava la sua fantasia disordinata quanto esuberante e incontenibile. Romanzi cosiddetti “di genere” -  come trascurare il “giallo”? -, romanzi definiti “rosa”. Ma che rosa, cioè stucchevolmente languidi e consolatori, non lo erano affatto, perché si limitavano a descrivere sentimenti amori passioni moti del cuore. E poi libri impostati sui suoi ricordi, sulle tracce di se stesso ritrovate ai margini di una storia antica, di un viaggio, sul cammino di un sentiero esplorato. Tutto un mondo che aveva sofferto e descritto lungo le tappe esaltanti e insieme dolorose del suo essere scrittore. Lo avrebbero mai scoperto i cosiddetti posteri? Avrebbero mai avuto il coraggio di disseppellire le sue mille pagine nascoste in uno scatolone, in un cassetto, in un ripostiglio? Da quando esisteva Internet era molto più facile individuare un percorso, risalire lungo una traccia tenuta nascosta. Ma dubitava che qualcuno avrebbe avuto il tempo e la voglia di farlo.



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