mercoledì 8 settembre 2021

QUEL TALE CHE SCRIVEVA PER I POSTERI - 5 - geremiade in sei gemiti di Leandro Castellani

 

Qualche volta, non più di un paio, aveva ceduto alla tentazione di scrivere dei racconti a tema, dietro invito di un editore furbastro, o forse di un amico, che poi ne avrebbe raccolti una o due dozzine in uno spartano volumetto con copertina cartonata da vendere agli appassionati del genere e soprattutto alla tribù dei numerosi autori, Racconti dedicati all’amore, all’estate, al mare, ai ricordi d’infanzia nonché alle specialità gastronomiche, questi ultimi eventualmente arricchiti da minuziose e circostanziate ricette culinarie. Si era salvato - o almeno reputava di esserci riuscito - buttandosi sull’umorismo e sul grottesco, insomma scherzandoci sopra: la disfida fra cuochi assatanati, lo scontro fra due “vini bianchi” locali, tipo il Verdicchio e il Bianchello, l’elencazione dettagliata dei pesci da acchiappare e usare per il celebratissimo “brodetto”. Ma chissà se qualche lettore l’avrebbe apprezzate queste divagazioni umoristiche?  Si[LC1]  era arreso un paio di volte a tali proposte ma poi, a cose fatte e libro stampato, non  si era spinto oltre la rilettura sommaria del suo discutibile parto, non provando neppure ad avventurarsi tra i conati maldestri degli altri suoi  coautori, veri “dilettanti allo sbaraglio”. No, non ci sarebbe cascato più e non avrebbe più concesso neppure una delle sue poesie – ne aveva scritte talmente poche – a comparire in un collettivo di sfoghi sentimentali nascosti dietro uno pseudo ermetismo. Non è per questa via facile che avrebbe conquistato l’immortalità!

Nella sua città, al fine di dare lustro culturale a una stagione consacrata a un turismo balneare più o meno fiorente, si erano inventati da qualche anno una nutritissima rassegna estiva di libri e scrittori, sponsorizzati da case editrici di serie A, alle quali si accodavano quelle di media entità sorrette da cooperative di accentuato quanto indiscutibile colore politico, nel corso della quale si presentavano e mettevano in vendita tutti libri di recente generazione purché di scrittori visti alla tv, frammisti a giornalisti da talk show, di colore political correct, cioè quel rosso molto sbiadito, quasi un rosa, gradito alla borghesia benpensante e illuminata. Un successo di pubblico, poltroncine in piazza e nei luoghi più gradevoli o panoramici del luogo, ad applaudire cariatidi del cinema e della tv, assieme a giornalisti dal volto familiare, qualche politico imboscato, un attore o un’attrice come ciliegine sulla torta o gocce d’angostura. Successo che si ripeteva ogni anno, enfatizzato dalle tv locali e nazionali. Lui se ne era tenuto sempre lontano, o meglio dire, a lui lo avevano tenuto sempre lontano, quasi inquinasse di “già visto” e “già sentito” quel clima di prevista eccezionalità. Meglio così, non aveva mai fatto nulla per darsi presente e neppure per salutare qualche amico famoso cooptato in mezzo a tanti nomi. Si riservava per i posteri. Nella sua città rischiava di far la figura del “marziano a Roma” di Ennio Flajano: una presenza talmente protratta da diventare ovvia, anzi, ingombrante.


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