VI.
Basta con gli alibi. Doveva cominciare a scrivere. Aveva in mente il più bell’incipit mai incontrato. E se l’avesse usato anche lui? Questo: “Era una notte buia e tempestosa. Intabarrato in un nero mantello…” Ecco, poi si sarebbe trattato di seguire quella figura - uomo o donna che fosse – su e giù per le stradicciole della città notturna, sullo sconnesso suolo di brune tessere di pietra, flagellato dalla pioggia che a tratti diveniva tempestosa come un uragano e poi si placava in un mitraglia di gocce e poi ancora si spegneva del tutto per riprendere a breve. Senza perdere di vista la figura intabarrata che svicolava per cammini sempre più impervi, resi sdruccioli e infidi dalla pioggia. Quanto sarebbe durato l’inseguimento? Chi era costui e da cosa fuggiva? Si sarebbe prima o poi accorto il nero misterioso camminatore di essere seguito dall’uomo che scriveva per i posteri?
E poi di botto inseguito ed inseguitore si erano ritrovati in pieno sole, un sole decisamente estivo e diurno, spavaldo e irriverente, che aveva vanificato di colpo l’atmosfera terrificante dell’incipit. Dove erano finiti il buio, la pioggia, le stradette anguste, i sanpietrini trasparenti sotto lo spesso velo d’acqua? Una situazione paradossale, illogica. Non compatibile con un romanzo scritto per i posteri e destinato all’immortalità. E il realismo, la vicenda portante, la storia? avrebbe obbiettato l’ipotetico tutor.
Di storie in testa, troppe ce ne aveva il nostro scrittore, una ventina e più, pronte per essere esibite. Storie intriganti, imprevedibili, affascinanti e, al bisogno, anche macabre e orripilanti. Ne tirò fuori una a caso.
Facciamo conto che una strega, non adunca e rinsecchita come quelle della tradizione ma, al contrario, giovane e bellissima, più sirena che orrida lamia, s’innamori dell’uomo avviluppato nel nero mantello, quello dell’incipit. L’incantevole strega potrebbe rapirlo per trasportarlo, sulle ali del suo irrefrenabile desiderio, nel regno fatato di Oz. Ma lungo il cammino aereo, una via di fuga disegnata fra cielo e mare, potrebbe attenderli una minaccia, un vero e proprio agguato: il capitano Achab, Sindbad il marinaio, capitan Uncino? Tutta gente di mare.
Un giallo? Assolutamente no. Un fantasy, men che meno. Per amore dei posteri il Nostro continuò a scrivere e descrivere: un incidente metereologico, una tromba d’aria, una specie di uragano senza nome proprio. E i due viaggiatori aerei - la strega rapitrice e il misterioso rapito – che trovano rifugio nell’isola di Montecristo, zeppa di tesori perché non ancora visitata e depredata da quel tale fuggiasco dal castello d’If. E poi – ma sì, mescoliamoli pure gli scarti letterari – i tre moschettieri, che poi sono quattro, dovranno battersi, a colpi di spada fluorescente, contro strani esseri in metallo cromato, appena atterrati da un oggetto volante a forma di fisarmonica, mentre il capitano Nemo, che vuol far da paciere, sta sporgendosi a mezzo busto dalla torretta del suo sommergibile...
Perché mettere paletti di confine alla fantasia di chi scrive, evocando le spietate leggi della logica e del verosimile? I posteri avrebbero apprezzato certamente le sue storie svincolate dalla spenta e incolore realtà, attuale o trascorsa, e dalle fruste espressioni di un deprimente disagio esistenziale. O forse – povero untorello manzoniano! - sarebbe stato ignorato o ripudiato ancora una volta, quando i premi letterari andavano agli scrittori più avari di fantasia, quelli che si scrivevano addosso o pescavano fra i ricordi del proprio o altrui passato prossimo, ordinatamente trascritti secondo i desiderata dei mass media e della politica democraticamente imperante. Ce n’erano di temi freschi da scegliere: migranti a bordo di gommoni, fuggiaschi da regimi tiranni dove splendide fanciulle in burka sognavano di diventare cubiste fra uomini-sardina armati di innocui forconi. Mentre i vecchi superstiti nascondevano dietro spente metafore la loro demenza senile.
Che tristezza! I posteri non avrebbero saputo che farsene delle sue pedestri trascrizioni della realtà cosiddetta effettuale, orbata di tesori, desideri, aspirazioni, timori. Tutto doveva essere prevedibile secondo schemi rigidamente omologati? Ma allora che gusto ci sarebbe stato nell’inventare?
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