mercoledì 29 settembre 2021

Leandro Castellani - LA VERA FALSA STORIA DI MARIA MADDALENA - seconda parte

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Seconda parte

Ma chi è Maddalena? I Vangeli ne evocano più di una con questo nome: la prostituta che rischia il linciaggio ma poi nessuno si arrischia a lanciare la prima pietra, la donna che cosparge di profumi il capo di Gesù beccandosi i rimbrotti di un apostolo tirchio, la donna orante ai piedi della croce che divide con Maria Madre di Cristo lacrime e lamenti, colei che accorre alla tomba violata ed esulta all’appello del Cristo angelicato... Qualcuno giunge ad identificarla con la sorella di Lazzaro, che il Vangelo descrive come attenta custode delle parole del divin Maestro, mentre sua sorella, l’instancabile armeggiona Marta, si disperde negli indispensabili lavori casalinghi. Ex prostituta già redenta e tornata in famiglia? Qualcuno tenta un’ipotesi ancor più azzardata: e se coincidesse con la sposina delle nozze di Cana, quella gratificata dal primo miracolo di Gesù che trasforma l’acqua in vino?

Tante Maddalene o magari sempre la stessa? A prescindere dalla costante presenza della Madre di Gesù, nel Vangelo le presenze femminili non mancano ma non abbondano certo. Ma a cosa servirebbe questa “reductio ad unum” piuttosto forzosa?

 

Anno 1978: vado su e giù per l’Europa alla ricerca dei segnali di inquietudine o, se volete, di rinascita spirituale che agitano una terra ormai parzialmente scristianizzata ma dove l’urgenza del religioso fa a capolino da ogni parte. Basta saperla scoprire. E giungo a Vézeley per visitare la grande cattedrale costruita alla sommità di una collina, solcata dal solito ghirigoro medievale di stradette. La grande cattedrale gotica, con la stupefacente “bibbia dei poveri” effigiata sul grande portale, da cui San Bernardo indisse la seconda crociata, la crociata di Luigi VII di Francia e di Corrado III di Svevia, visitata ogni anno da pellegrini e turisti. La Chiesa che, da tempo immemorabile, ospita e conserva le reliquie di Santa Maria Maddalena. Ma quale delle Maddalene?

 Visito Vèzeley nel 1978 perché, oltre alla Basilica di Santa Maria Maddalena, c’è anche Béthania, una piccola comunità fondata da un giovane, reduce sconfitto dal Sessantotto parigino. L’esperienza Bernard l’ha iniziata già da qualche anno nella capitale francese, radunando attorno a sé un piccolo cenacolo, a imitazione di quello di Loppiano in Italia, la casa dei Focolarini di Chiara Lubitch. E a Parigi il suo modesto appartamento si è gremito in fretta: drogati, prostitute, la pietosa corte dei miracoli di un sessantotto in liquidazione. Gente che non chiedeva nulla e tutto, una disponibilità totale, stressante. Bernard ha portato avanti il suo esperimento vivendolo e soffrendolo integralmente. Più tardi la sua opera - Béthania, la casa di Lazzaro morto e resuscitato, la casa di Marta e di Maria -  si è trasferita a Vézelay:  un lavoro ma soprattutto l’ascolto della parola di Gesù, “la parte migliore”.

Per due giorni visito la piccola comunità, sparsa per le vecchie casette medioevali per la collina, seguo la loro vita, attiva e orante, raccolgo le loro testimonianze. La casa di Béthania vive sotto l’egida e la protezione della grande cattedrale, per molti secoli meta di pellegrinaggi, posta sulla via di Compostela. E’ sera quando parto da Vézelay. Tornerò nella piccola città santa a distanza di circa quarant’anni. La collina è sempre la stessa, ma pettinata, fiorita, con tutte le vestigia medioevali restaurate con molto scrupolo e un po’ di fantasia. E i turisti l’invadono come e più di un tempo, alla ricerca di un souvenir, di un vecchio oggetto d’antiquariato, vero o made in Taiwan,  o semplicemente di una gita da week-end in un sito remoto, esotico.

Vorrei trovare il tempo per indagare, per chiedere della casa di Béthania, sapere se la dimora di Lazzaro e degli oranti laici esista ancora. Ma il ruolino di marcia è severo e non me lo consente.  

 C’è ancora un seguito. Qualche anno fa, in viaggio verso Avignone per fare riprese nel palazzo dei Papi, mi raggiunge una gentile e solerte funzionaria del Turismo con un modesto dépliant che illustra un itinerario sui luoghi di Maria Maddalena, pellegrina penitente ed eremita: a cominciare dalla caverna sulla montagna de La Sainte Baume. Nella sua più recente versione la leggenda o la tradizione narrano – m’informa il depliant – che Maria Maddalena, sbarcata in Provenza, si ritirò proprio qui, in solitario eremitaggio, durante gli ultimi trent’anni della propria esistenza, dopo aver evangelizzato molte genti e paesi Ogni giorno - dice la leggenda – la Santa veniva trasportata sette volte dagli angeli fin sulla cima  della montagna, al Santo Pilone. Evidentemente la storia, o leggenda che sia, ha fatto presa. Come vorrei percorrere quell’itinerario alla ricerca della mia verità? Ma il tempo è tiranno! E anche stavolta debbo rinunciare.

 E poi ho scoperto un libro? Dove? Fra i lacerti della mia biblioteca. Mi spiego meglio, anzi è d’uopo che a questo punto racconti una nuova storia, quella della mia biblioteca. Nata già ricca e allocata in una vasta soffitta di un antico palazzo romano, poi ampliata anno dopo anno, dovrei dire giorno per giorno, con libri di ogni sorta, tenore e spessore: libri per lavorare, libri per giocare, libri per distrarmi, libri per concentrarmi… E gli omaggi, le opere dei miei conterranei, i regali graditi e no. Poi un bel giorno la catastrofe, il diluvio, la tromba d’aria, lo tsunami, la scossa tellurica.... Debbo cambiar casa. E allora, smonta le librerie, caccia tutti i libri, in ordinato disordine, in grandi scatoloni a misura di facchino. Con gli scatoloni a formar piramidi in un vasto magazzino d’affitto, un hangar aereonautico, quasi un campo di calcio. Poi il trasferimento forzoso in un contenitore di minore dimensioni, tipo campo da tennis o da calcetto. E nuovo trasferimento finale – si spera! – in un container da cantiere: qui mi arrabatto a trasformare e ridurre gli scatoloni a prova di facchino in scatoloncini a misura di vecchietto. Libri ormai mescolati alla rinfusa. Li vendo: e chi li vuole? Li regalo: e chi se li piglia?

Mi rassegno ad affrontare uno di quei lavori che in realtà non servono a niente: aprire gli scatoloni per estrarne e mettere da parte almeno i libri che considero parte inalienabile di me: la collezione di biografie degli attori, le avventure di Pinocchio in varie edizioni, i libri autografati, quelli scritti da amici e compaesani. Tutte opere da conservare in vista di una ridotta biblioteca della cui esistenza comincio ormai a dubitare, come del resto dubito ormai dell’esistenza degli  extraterrestri e dei vasti e profumati orizzonti post-mortem. Salvato quel dieci per cento irrinunciabile. E tutti gli altri? Continuino a restare in confidente attesa: di un miracolo? Di una prodigiosa moltiplicazione degli spazi disponibili? Di uno studioso appassionato o di un mecenate illuminato che rilevi tutto il resto? Di una fondazione o istituzione culturale che consideri preziosa la mia biblioteca personale?

Nel corso di questa decimazione, dall’ultimo scatolone da far fuori emerge un intruso, ancora cellofanato. Ma quando l’ho comprato, come e perché, questo libro su “Maria Maddalena”, scritto da una certa Esther De Boer? E chi è costei? Una nota in quarta di copertina m’informa: Esther De Boer è una teologa olandese che è anche una pastora evangelica.

Ecco, non essendo uno storico, né tanto meno uno studioso di  ricerche bibliche, vedrò di raccontare a mio modo le peripezie di questa santa singolare, fra intuizione e fantasia, gli unici strumenti che mi illudo ancora di possedere.

 Lasciamo perdere la speciosa identificazione di Maria Maddalena con la sposetta felice delle nozze di Cana, una cerimonia allietata dalla presenza di Gesù, con quegli invitati un po’ ubriaconi – immancabili in un pranzo da matrimonio – che reclamano altro vino e poi madri, bambini, ragazze e anziani che si lasciano travolgere dalla generale allegria. E iniziamo dalla storia di quella prostituta colta in flagrante e portata in piazza per essere lapidata, come prescrive la legge riguardo agli adulteri colti “sul fatto”. Il peccatore lo lasciano stare - ma la legge dovrebbe applicarsi anche a lui – perché probabilmente si tratta di un soldataccio romano, un militare di stanza laggiù, abituato a procurarsi una donna a prezzi ragionevoli, come tutti o quasi i militari in missione. A loro è sufficiente offrire un pasto, un paio di calze, qualche moneta d’occupazione per poi vantarne con gli amici la conquista.

“Il mestiere più antico del mondo”, pessimo luogo comune ovvero frase fritta e rifritta. Basta muoversi lungo le strade consolari, i raccordi stradali, gli anditi privilegiati, per vedersele a sera o a notte, accanto a un copertone bruciato, offrirsi provocanti all’automobilista o al passante. Donne un po’ ammaccate e distrutte, a fine carriera, o gazzelle nere piovute dal continente africano che ostentano cosce sode, gambe lunghe e seni prosperosi, il tutto in mostra quanto più possibile. Talora un vecchio prete romagnolo le raccatta - o meglio, le accoglieva - prospettando loro una difficile ma appagante vita alternativa. Più ascose, ma a tiro di cellulare, le puttane di lusso, più scaltre, quasi manager del sesso, come le cosiddette escort, renitenti ad ogni pentimento, o come le ninfomani che di una passione insaziabile hanno fatto un mestiere.

A quale di queste categorie appartiene la Maria che viene da Magdala, dunque una migrante, anche se Magdala non è lontana e non ci vuole un gommone per raggiungere la terra promessa. Colta in flagrante dai soliti farisei, gli uomini senza macchia e senza paura, gli insindacabili “sepolcri imbiancati”. La trascinano in piazza, bella e un po’ discinta,  e cominciano a darsi da fare per raccogliere sassi e pietre, pronti a compiere il pio linciaggio. Ma Gesù li fredda con una dei suoi assiomi  inoppugnabili: Chi è senza peccato… Figurarsi se non lo capiscono al volo… E la ragazza di Magdala, è salva e insieme confusa e redenta. Gesù ha compiuto il miracolo, uno di quelli che non si vedono, senza testimoni, anche perché i carnefici se la sono svignata.

Ma più avanti il prodigio verrà in qualche modo citato  dall’evangelista Luca quando annota che ai piedi della Croce del Golgota c’era anche la ragazza di Magdala da cui Gesù aveva cacciato “sette demoni”. Liberata dalla schiavitù demoniaca che l’aveva  indotta a un turpe mestiere o ad una cieca passione, Maria Maddalena aveva iniziato la nuova vita. Quando la ritroviamo ai piedi della croce è già una discepola del Cristo, la stampella di Maria madre di Gesù, accanto a Maria di Cleofe e Maria Salomè. Le “tre Marie”, le future regine degli zingari della Camargue, banalmente destinate a condividere il logo del nostro panettone pasquale.

Anche nei Vangeli le varie e diverse Marie si confondono. Gli evangelisti sono dei biografi un po’ inesperti, raccontano solo i fatti salienti, i gesti, gli episodi che più si sono scolpiti nella loro memoria, un po’ come fanno  - o meglio come facevano – i partecipanti alle antiche veglie contadine attorno al camino, nelle notti invernali, o fuori sull’aia, durante quelle estive dedicate alla sfogliatura del granturco, donne di mezza età, ragazzi imberbi, fanciulle da marito o vecchi mezzadri col cappellaccio calcato in testa e i baffoni profumati di vino. Tutto vero, tutto indiscutibile, ma i raccordi tra i fatti, i luoghi, le date, le circostanze, la consecutio temporum?

Torna in campo Maria Maddalena? Solo se accettiamo che la peccatrice salvata dal linciaggio e la sorella di Lazzaro siano la stessa persona. Torniamo a Betania, la città dove vive Lazzaro, l’amico di Gesù, ormai decisamente tornato alla vita e alla salute.  A cena nella casa di un lebbroso sanato, oltre a Gesù con i suoi fedelissimi, ci sono anche il redivivo con le due sorelle, Marta, l’indefessa ospitale casalinga, e Maria - la peccatrice pentita ? - tornata a vivere con i suoi dopo una prima giovinezza scapigliata, ormai docile e confusa, che forse continua a scontare le sue colpe. Ed ecco che, a un certo punto del convito, Maria si allontana e torna con un vaso di balsamo, un aroma, “un vero  nardo assai prezioso”, lo definisce l’evangelista Giovanni. Maria dissuggella il flacone - e subito la casa si riempie di intenso profumo -, ne versa il contenuto sui piedi di Gesù che poi prende ad asciugare con la sua lunga chioma. E assistiamo alla rabbiosa reazione di Giuda Iscariota, cassiere del gruppo nonché futuro traditore, che prende a inveire contro la ragazza dandole della “scioperata” e sprecona: che hai fatto? Un unguento tanto prezioso doveva valere almeno trecento denari. Un rimbrotto in malafede, Giuda si è fatto sfuggire un tesoretto dalle sue rapaci mani di ladro. Ma Gesù è pronto a bloccarlo: quello di Maria è stato un atto d’amore, un gesto preveggente, precorre già la mia morte. Ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura.

 E arriviamo al culmine della vicenda di Maria di Magdala, la  visita al Santo sepolcro di Cristo, il giorno dopo la Sua crocefissione, con relativa sorpresa: i guardiani scomparsi, la tomba vuota, il lenzuolo abbandonato sulla pietra. Ma poco lontano c’è quell’essere soffuso di una strana luce incorporea che si fa riconoscere, elevandola a prima testimone della sua Resurrezione. Poi la grande notizia sollecitamente rivelata agli increduli discepoli di Gesù che, presi da “timore e tremore”, attendono. E Gesù di nuovo fra loro. La speranza di nuovo accesa. Si rinnova la consuetudine di vita fra Gesù, sua madre, Maria Maddalena, gli apostoli messaggeri del nuovo verbo, in una nuova comunione che si prolungherà per quaranta giorni. Poi la dipartita o meglio l’ascesa. Da ora in poi è il seme della “parola” che dovrà germogliare e dare i suoi frutti.

Quando iniziò la persecuzione dei cristiani? Quando i discepoli iniziarono a predicare e testimoniare nei diversi paesi la nuova novella? Quando la nuova setta cominciò ad essere un pericolo per l’ordine costituito che, in vario modo e misura, reggeva i paesi dell’orbe conosciuto? La persecuzione dell’imperatore Domiziano raggiunse anche Efeso dove la Madonna aveva trovato rifugio nella casa costruita da Giovanni, a cui Gesù l’aveva affidata eleggendolo a figlio prediletto. Ma si trattava di Giovanni oppure di Maria Maddalena come propone la nostra storica olandese?

 E qui si apre un nuovo mistero, a patto di accettare una tesi audace proposta  da Ramon K. Jusino nel 1998. E se tutto quanto i Vangeli annotano circa il giovane Giovanni, “il discepolo amato” che Gesù sembra prediligere in modo particolare e che vuole sempre vicino a sé, in posizione preferenziale rispetto agli altri, colmandolo di effusioni, infine il discepolo al quale dall’alto della croce avrebbe affidato sua madre, non fosse che una trasformazione misogina e cautelare del personaggio di Maria Maddalena? Lei la preferita, lei la depositaria delle sue ultime parole, lei la prima testimone della sua Resurrezione? Lei, “l’apostola degli apostoli", come verrà celebrata nella liturgia bizantina. C’è di più. Un Vangelo apocrifo conosciuto come il “Vangelo secondo Maria” mostra delle evidenti analogie con il Vangelo di Giovanni, l’unico Vangelo che, nella formulazione, negli incontri riferiti e nella “filosofia”, si distingue e prende le distanze dagli altri tre Vangeli detti  appunto “sinottici”. Dunque? Una santa congiura misogina, antifemminista antelitteram, per celare l’amore particolare e la comunione non solo di spirito che legava Gesù alla Maddalena?

Nella casa che ospitava  Maria, ad Efeso, non viveva anche Maria Maddalena? Da Efeso, dopo la morte e l’Assunzione in cielo della Madre di Gesù, negli anni della prima persecuzione, morto anche Giovanni, rientrato dall’isola di Patmos dove, all’età di cento anni, aveva scritto il suo Vangelo nonchè l’Apocalisse, l’abbandono della dimora e la fuga per sfuggire alla dura persecuzione dell’Imperatore Domiziano. Verso dove?

Una tradizione, suffragata dalla solita “Legenda aurea”, racconta come Maria Maddalena, insieme ai fratelli e altri discepoli, sia partita dalla Palestina per approdare a Saintes-Maries-de-la-Mer dopo un viaggio periglioso, nonostante la barca fosse ingovernabile, destinato al naufragio se non fosse stato toccata dalla Grazia. E l’approdo nella terra degli zingari, la Camargue,  e poi, dopo il tempo della permanenza fra quel popolo accogliente o in parte ostile – chissà mai? – il tempo del ritiro, alla ricerca di quel luogo oscuro e solitario, fra le aquile e i cinghiali, che la Maddalena troverà  sugli orridi della Provenza. E poi?

E poi c’è il mio piccolo quadretto a olio che mi ricorda la conclusione gloriosa dell’avventura,  con Maria, l’ex-peccatrice di Magdala, il teschio di una penitenza  mai interrotta e la croce del suo Salvatore.

Quando conoscerò la vera storia di Maria Maddalena? La saprò mai? E perché poi saperla, se basta questa inquietante ricognizione a placare l’ansia di conoscere? O ad accrescerla?

Leandro Castellani

Leandro Castellani - LA VERA FALSA STORIA DI MARIA MADDALENA - prima parte

 Mi è simpatica questa Santa Maria Maddalena. Ho un quadretto secentesco che la rappresenta, seminuda, capelli fluenti, viso  bellissimo, autosegregata – chissà perché - in un antro scuro: una grotta, una spelonca, un romitorio? Accanto a sé, su quella roccia un po’ foggiata “stile opera lirica” – che grandi scenografi questi pittori antichi! – c’è un libro e un teschio vuoto: un memento mortis, come quello raccattato da Amleto sulle tombe violate di Danimarca? Ne ottenni una spiegazione molti anni fa.

Anni Sessanta: tornavo in macchina, con mia moglie, da una spedizione a Marsiglia, dove aveva intervistato un vecchio operatore cinematografico su una sua storia curiosa risalente al lontano 1934.  Georges Mejat era stato incaricato dalle “Attualità Cinematografiche FOX Movietone” di fare riprese d’attualità, lui come tanti altri di vari cinegiornali, per l’avvenimento del giorno: la discesa del re di Jugoslavia, Alessandro I, dal piroscafo sul suolo di Francia dove, ad attenderlo sulla banchina, c’era una carrozza con a bordo il ministro degli Esteri francese, Louis Barthou. Visita ufficiale, marea di folla. Il nostro operatore immortala il tutto, poi corre via per rifornirsi di nuova pellicola perché il caricatore della sua piccola cinepresa portatile ormai è quasi vuoto. Sta facendosi largo fra la folla quando vede un uomo armato di pistola sbucare fuori dalla ressa, puntare l’arma e sparare sulla carrozza, uccidendo il re e ferendo il ministro,  per poi venire prontamente –  ma fuori tempo massimo – colpito dalla sciabola di un ufficiale a cavallo della scorta. Ma intanto Mejat è  riuscito a filmare l’attentato con gli ultimi metri di pellicola della sua cinepresa. Una ripresa  eccezionale che gli procurerà se non la fama, il lavoro per tutta la vita. Eccolo a Marsiglia, ormai anziano, rievocare per me la storia di quel reportage, indicarmi i luoghi, descrivermi i dettagli. Intervista che arricchirà il mio programma storico “Marsiglia 1934: tecnica di un assassinio politico” in onda nel luglio del 1969.

Finita la spedizione marsigliese mi avvio a rientrare in patria. Ma lungo il viaggio di ritorno una parca indicazione sulla guida mi pone un dilemma. Usare la strada di pianura, piana e agevole, o tentare quella delle Alpi che - assicura la stessa guida - passa proprio accanto alla grotta-romitorio di Santa Maria Maddalena? Preferisco la seconda, anche se siamo in inverno e c’è la neve. Viaggio rischioso, la strada è infida e costeggia il dirupo, la mia auto  rischia di slittare. Ma riesco a farcela, tanto da concedermi una breve sosta al culmine del passo. Santa Maria Maddalena evidentemente mi protegge, anche se non riesco ad individuarne il rifugio.

Saperne di più. Leggiucchio qua e là. La bibliografia è vasta ma non straripante. C’è chi afferma che questa Maddalena eremita sia proprio quella del Vangelo, cioè Maria di Magdala, la prostituta pentita, forse la stessa a cui Gesù si rivelerà poi, celato sotto vesti angeliche, eleggendola a prima testimone della sua Resurrezione. Maria Maddalena, con Maria di Cleofe, Maria Salomè e la Madre di Gesù, presenti sul Calvario, ai piedi della Croce, e più tardi in fuga da una terra ostile a bordo di un natante che, alla merce’ dei venti e delle onde, giungerà sino alle coste di Francia, approdando sul terreno paludoso della Camargue, la patria adottiva degli zingari (Rom, Sinti e Manouches). La “Legenda Aurea”,   composta da Jacopo da Varagine nel sec. XIII, narra appunto che nella terra dei gitani approdarono, nel 48 dC., su una zattera senza remi né vele, i primi esuli dalla Palestina, sfuggiti alla persecuzione: Maria Maddalena, con la sorella Marta di Betania e il fratello Lazzaro il resuscitato da Cristo - che diventerà il primo vescovo di Marsiglia – e inoltre Maria Jacobi, parente di Maria di Nazareth, e Maria Salomé, tutte testimoni della morte e resurrezione di Cristo.

Degli zingari mi avevano insufflato sin dall’infanzia un’immagine decisamente negativa. Zingari! Calderai a tempo perso ma ladroni a tempo pieno, maestri nel rubare non solo rame ma qualsiasi metallo e anche oggetto lasciato in giro, non tutelato, fuori casa, sull’aia e per i campi, o magari dentro casa sfidando porte e soprattutto finestre. Zingari: abbronzati come e più dei siciliani, nomadi dai baffoni, con i capelli lunghi sul collo e un cerchietto d’oro appeso all’orecchio. E le donne? Tutte streghe, cartomanti, indovine e fattucchiere, con lunghe gonne una sull’altra, a strisciare e spazzolare il terreno, e le chiome untuose racchiuse in altrettanti untuosi fazzoletti multicolori. E non parliamo dei bambini, sporchi, mocciosi, nudi come vermi e coi genitali al vento, ma già abili e arruolati alla scuola di ladrocinio. Queste le diapositive del ricordo.

Molti anni più tardi mi capitò un’avventura destinata a cancellare queste sgradevoli immagini infantili, per altro coriacee e resistenti. Conobbi un prestigioso attore americano, Frank Latimore,  cooptato dai nostri “peplum” e dai “cappa e spada” cinematografici, con famiglia al seguito. Sua moglie era la figlia del più illustre dittatore di un lontano paese malese. Una signora gentile, con un paio di figlioletti ben curati, che si mostrava innamorata della cucina romana, in particolare dei supplì – riso e ragù con mozzarella in polpette fritte – che si portava sempre appresso in fagottelli di carta gialla e dispensava generosamente ad amici e colleghi del marito. Ma lasciano i supplì e torniamo in carreggiata!

Dunque l’attore americano fuori patria mi propose di occuparmi della storia degli zingari, un popolo ignorato perché arroccato dietro tradizioni millenarie. Se ne poteva trarre una succosa serie televisiva. Mi lascio convincere, mi procuro libri, vi trovo di che correggere i ricordi infantili e – cammina cammina – vado ad imbattermi nella lontana avventura di un mio conterraneo, il marchese Adriano Colocci-Vespucci, nato a Jesi nel 1855. Il quale, appena trentenne, a caccia di gloria, si arruola come volontario nell’esercito bulgaro in arme contro la Persia. Valore ampiamente dimostrato in un’azione di guerra nelle gole di Dragoman, al termine della quale si guadagna una decorazione e la nomina ad aiutante del Principe Alessandro di Battemberg. Ma a guerra conclusa il nostro marchese, assieme a un gruppo di reduci sbandati, si unisce a una carovana di zingari per attraversare il paese sconosciuto e procedere oltre, verso casa. Dopo i primi giorni di reciproca diffidenza, si stabilisce fra zingari ed ex-militari una certa familiarità. Perché via via, lungo le molte tappe, Adriano è riuscito ad afferrare il senso della vita nomade e a comprendere il significato di abitudini, usi e costumi tanto diversi dai suoi. Forse – finiscono per ammettere gli stessi zingari - nessun “gadjo” ha fatto altrettanto sino ad allora. Per completare il quadro idilliaco, Adriano s’innamora di una zingara diciannovenne, Smeragia, dalla quale è teneramente riamato. E in una notte fiorita di stelle, sotto il cielo di un paese ignoto, il marchese marchigiano si unisce con il rito di sangue alla ragazza, entrando così a far parte della sua tribù: cambia anche nome e diventa lo zingaro Baro.

Mentre la carovana continua la sua difficile traversata in un territorio sconvolto dalla guerra, Adriano  - diventato lo zingaro Baro – si prodiga in varie occasioni per salvare i compagni dalle minacce turche e macedoni, mettendo in campo la sua esperienza di militare e le sue doti di valoroso.

Finalmente la tribù giunge integra e salva alle sponde del Bosforo. Qui la comunità di vita fra il nobile europeo e i suoi compagni zingari entra in crisi: quella folle insensata avventura non può continuare per sempre. L’ex-marchese decide dì imbarcarsi per l’Italia e naturalmente vorrebbe portare con sé la sua sposa. Altro sogno impossibile. Che fare? Ripudiare il suo passato aristocratico  o il suo presente zingaresco? Ahimè, vincerà il passato, il ritorno. Ma per tutta la sua vita il Marchese redivivo rimarrà legato, con la mente e col cuore, a quel sogno giovanile e a quel popolo generoso e indomito che ha avuto la fortuna di conoscere. Tornato in patria, mentre riuscirà a scalare importanti cariche civili ed a riconquistare un’invidiabile posizione sociale, ma conserverà  gelosamente inviolato il suo segreto, senza mai dimenticare né ripudiare la sua grande giornata zingaresca. Descriverà usi e costumi del popolo errante in un’opera che verrà reputata d’eccezionale interesse. E continuerà per tutta la vita, ogni volta che gli giunge notizia del transito di una tribù nelle sue terre o in quelle finitime, a correre loro incontro per accoglierli e assisterli, come per riafferrarsi al suo sogno svanito. 

Questa l’avventura del Conte: non avrebbe meritato un lungo racconto televisivo? Crollate le mie abiette immagini infantili? Dovevo cambiare prospettiva: considerare gli “zingari” non più un ammasso di sporchi cialtroni, ladri di professione, ma coraggiosi e indomiti difensori della tradizione degli erranti in un mondo sempre più stanziale. Con un solo approdo nell’inquieta Camargue, terra di paludi e di cavalli selvaggi. Di cui le tre Marie, giunte un bel giorno dal  mare, erano diventate le Sante privilegiate, le patrone di un mondo zingaresco – a chiamarlo gitano suona meglio -  che ancora ogni anno – almeno credo sia così - le celebra e le ricorda.

 Ma la mia Santa Maria Maddalena cos’ha a che fare con le tre sante zingare? E se questa Maria di Magdala era una di loro tre, come  poi era finita sull’eremo montuoso con un teschio accanto? Bisognerebbe chiederlo a Jacopo da Varagine – al secolo Giacomo da Varazze – che dedicò tutta la sua vita a ricostruire, con  molta scrupolosa attenzione e non poca fantasia, la storia, o meglio la “leggenda d’oro” di una miriade di santi, molti dei quali espunti dall’attuale martirologio dopo il Concilio Vaticano II.

Rivolgiamoci ad altri storici, meno patentati - o forse più, hai visto mai? - Un trio di studiosi inglesi, truccati da storici, (Michael Baident, Richard Leigh e Henry Lincoln) hanno tentato di colorire e completare la vicenda, beccandosi ovviamente l’accusa di blasfemia da parte cattolica. Dopo la Crocefissione che sembra metter fine non solo a una vita ma a un itinerario di salvezza, e dopo quella Resurrezione un po’ misteriosa, quando la Maddalena, tornata alla tomba per visitare il Cristo morto, scorge un angelo in cui ravvisa il Cristo risorto che la invita a raggiungerlo in Galilea, per  quaranta giorni Gesù resterà ancora con Maddalena e gli altri discepoli, per ascendere poi definitivamente verso il cielo. E solo allora – raccontano  i disinvolti storici inglesi -  Maddalena, incinta di Gesù, di cui è stata la sposa, deciderà di navigare verso un lido lontano per mettere in salvo dalle persecuzioni il futuro nascituro, vale a dire il Graal, il sangue di Cristo.

Su questa poetica quanto spericolata e blasfema versione, nonché sulla relativa leggenda del fantomatico Priorato di Sion, un certo scrittore americano, Dan Brown, ha poi elucubrato una serie di romanzi fanta-biblici che gli hanno portato successo e fortuna. Ma del resto, negli ultimi vent’anni la fantastoria biblica ha fatto seguaci: Gesù finto morto, fuggito in India, nel Nepal o a Shrinagar, dove defunge alla tenera età di 120 anni. O addirittura mai esistito ma semplicemente  costruito “a ritroso” legando fra loro le numerose profezie del Vecchio Testamento, come affermava lo storico svizzero Emilio Bossi, in un suo libro del 1904.

Anche l’esodo delle tre Marie fa parte di queste leggende? Comunque l’approdo delle tre Marie – Maria di Magdala, Maria Jacobi e Maria Salomè – sulla sponda infida della Camargue lega l’Oriente alla Francia e fa da preludio al ritiro di Maria Maddalena sul romitorio in cima alla montagna della Sainte Baume, dove  chiudere il suo cammino di espiazione e penitenza. 

 

giovedì 9 settembre 2021

QUEL TALE CHE SCRIVEVA PER I POSTERI - 6 - geremiade in sei gemiti di Leandro Castellani



VI.

Basta con gli alibi. Doveva cominciare a scrivere. Aveva in mente il più bell’incipit mai incontrato. E se l’avesse usato anche lui?  Questo: “Era una notte buia e tempestosa. Intabarrato in un nero mantello…” Ecco, poi si sarebbe trattato di seguire quella figura - uomo o donna che fosse – su e giù per le stradicciole della città notturna, sullo sconnesso suolo di brune tessere di pietra, flagellato dalla pioggia che a tratti diveniva tempestosa come un uragano e poi si placava in un mitraglia di gocce e poi ancora si spegneva del tutto per riprendere a breve. Senza perdere di vista la figura intabarrata che svicolava per cammini sempre più impervi, resi sdruccioli e infidi dalla pioggia. Quanto sarebbe durato l’inseguimento? Chi era costui e da cosa fuggiva? Si sarebbe prima o poi accorto il nero misterioso camminatore di essere seguito dall’uomo che scriveva per i posteri?

E poi di botto inseguito ed inseguitore si erano ritrovati in pieno sole, un sole decisamente estivo e diurno, spavaldo e irriverente, che aveva vanificato di colpo l’atmosfera terrificante dell’incipit. Dove erano finiti il buio, la pioggia, le stradette anguste, i sanpietrini trasparenti sotto lo spesso velo d’acqua? Una situazione paradossale, illogica. Non compatibile con un romanzo scritto per i posteri e destinato all’immortalità. E il realismo, la vicenda portante, la storia? avrebbe obbiettato l’ipotetico tutor.

Di storie in testa, troppe ce ne aveva il nostro scrittore, una ventina e più, pronte per essere esibite. Storie intriganti, imprevedibili, affascinanti e, al bisogno, anche macabre e orripilanti. Ne tirò fuori una a caso.

Facciamo conto che una strega, non adunca e rinsecchita come quelle della tradizione ma, al contrario, giovane e bellissima, più sirena che orrida lamia, s’innamori dell’uomo avviluppato nel nero mantello, quello dell’incipit. L’incantevole strega potrebbe rapirlo per trasportarlo, sulle ali del suo irrefrenabile desiderio, nel regno fatato di Oz. Ma lungo il cammino aereo, una via di fuga disegnata fra cielo e mare, potrebbe attenderli una minaccia, un vero e proprio agguato: il capitano Achab, Sindbad il marinaio, capitan Uncino? Tutta gente di mare.

Un giallo? Assolutamente no. Un fantasy, men che meno. Per amore dei posteri il Nostro continuò a scrivere e descrivere: un incidente metereologico, una tromba d’aria, una specie di uragano senza nome proprio. E i due viaggiatori aerei - la strega rapitrice e il misterioso rapito – che trovano rifugio nell’isola di Montecristo, zeppa di tesori perché non ancora visitata e depredata da quel tale fuggiasco dal castello d’If. E poi – ma sì, mescoliamoli pure gli scarti letterari – i tre moschettieri, che poi sono quattro,  dovranno battersi, a colpi di spada fluorescente, contro strani esseri in metallo cromato, appena atterrati da un oggetto volante a forma di fisarmonica, mentre il capitano Nemo, che vuol far da paciere, sta sporgendosi a mezzo busto dalla torretta del suo sommergibile...

Perché mettere paletti di confine alla fantasia di chi scrive, evocando le spietate leggi della logica e del verosimile? I posteri avrebbero apprezzato certamente le sue storie svincolate dalla spenta e incolore realtà, attuale o trascorsa, e dalle fruste espressioni di un deprimente disagio esistenziale. O forse – povero untorello manzoniano!  - sarebbe stato ignorato o ripudiato ancora una volta, quando i premi letterari andavano agli scrittori più avari di fantasia, quelli che si scrivevano addosso o pescavano fra i  ricordi del proprio o altrui passato prossimo, ordinatamente trascritti secondo i desiderata dei mass media e della politica democraticamente imperante. Ce n’erano di temi freschi da scegliere: migranti a bordo di gommoni, fuggiaschi da regimi tiranni dove splendide fanciulle in burka sognavano di diventare cubiste fra uomini-sardina armati di innocui forconi. Mentre i  vecchi superstiti nascondevano dietro spente metafore la loro demenza senile.

Che tristezza! I posteri  non avrebbero saputo che farsene delle sue pedestri trascrizioni della realtà cosiddetta effettuale, orbata di tesori, desideri, aspirazioni, timori. Tutto doveva essere prevedibile secondo schemi rigidamente omologati? Ma allora che gusto ci sarebbe stato nell’inventare?