Che immenso poeta il nostro Dante? Settecento anni dalla sua morte. Chi altro se non lui poteva iniziare il suo poema con un’immagine altrettanto terribile e terrificante. Analoga a quella di un romanzo horror: “era una notte buia e tempestosa!” Lui fuggiasco, incerto sul cammino e sul futuro, immerso in una selva selvaggia ed aspra e forte, senza apparente via d’uscita. Chi ce lo ha cacciato, perlomeno chi lo ha fatto arrivare sin lì? Il destino, un nemico, un amore perduto o tradito? O forse ha smarrito inconsciamente se stesso, incerto sulla sua vita e sulla sua sorte. Ed ora non sa come uscirne. Non vede e non conosce la strada. Ed ecco gli incontri. Tre belve: una lonza “leggiadra e presta molto”, un leone, un lupo. Evidente! Chi si potrebbe mai incontrare in una selva oscura? Non certo un buon samaritano alla ricerca di un miserello da soccorrere, né un pellegrino di San Giacomo a indicargli una via di scampo. E in quel tempo fuori del tempo tacciono anche gli uccellini, mimetizzati per paura dell’ignoto fra i rami, gli arbusti, le siepi più inaccessibili. In una selva oscura si possono incontrare solo bestie. Ma non quelle poetiche e dolci intercettate da Biancaneve in una selva analoga, né quelle assurde e improbabili incontrate in altra analoga selva da un’altra fanciulla fuggiasca di nome Alice. No, Dante è un uomo nel vigore degli anni, forte e renitente alle intemperie, o almeno così si illude di essere. Può imbattersi solo in tre fiere, singolari, desuete, forse riconducibili al bestiario comune dei proto-enciclopedici, quasi lo spettro autoprodotto dalla sua arte. E così farò anch’io, imprigionato nella mia selva, come lui per mia volontà. Come uscire da questa selva selvaggia? Raccontandone la storia che è quella dei personaggi che l’hanno vissuta nel corso dei secoli. La storia o meglio le storie. LEANDRO CASTELLANI
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