mercoledì 28 aprile 2021

IN QUARANTENA O FORSE NO

 

 

Fra i testi messi a punto e in quarantena – spero momentanea - anche due testi teatrali: “Dolores e gli specchi”, tre donne, che sono poi tre facce della stessa, s’incontrano per raccontarci la vita, la loro vita, quella più esteriore e fuggevole e quella nascosta segreta e intima. La vita di Dolores Prato, sublime scrittrice marchigiana. Un exploit per regista e interpreti. E il secondo riguarda la rielaborazione di un atto unico del mio amico di gioventù Luciano Anselmi. La storia surreale – non per nulla nata negli anni del teatro dell’assurdo, di tre evasi (da dove?) che sognano un’impresa inutile quanto impossibile. Avendo avuto il destro di essere il primo a cui Luciano lesse quel testo appena uscito dalla sua macchina da scrivere, mi son preso la libertà di rielaborarlo un po’ per renderlo fruibile a uno spettacolo bizzarro e attuale senza peraltro tradirne lo spirito e le intenzioni. E come potrei? 

Mi fermo qui ma il “carniere cartaceo” brulica di testi già messi a punto o di idee sommariamente elaborate. Qualche anno fa mi venne la tentazione – ce ne vuole di coraggio! – di comporre un centone in e-book, “Archivio della fantasia”,  che narrasse parte dei miei tanti progetti, talvolta esplicitati in una paginetta, talvolta in un soggettino, talvolta in qualcosa di più. Progetti che per qualche verso ho accarezzato e – vorrei dire – che continuano ad essermi cari. Per esempio “Amore a ritmo di can can”, la storia, tutta inventata o quasi, del povero Jacques Offenbach piovuto nella Francia della belle époque, quella della gioia di vivere e degli anarchici baffuti e dinamitardi che minacciavano quasi quotidianamente la vita dei monarchi e dei potenti. E al ritmo dell’indiavolato can can nasce e si sviluppa la storia di un amore inconfessato e un po’ triste fra il musicista e la sua giovane scoperta. Volevo farne un’operetta, poi un film, poi un racconto. Dietro suggerimento di un abile manager di talenti avevo già pensato ai protagonisti, Alberto Lionello e la Mina Mazzini dei roventi anni Settanta, bellezza ruggente e cantante inimitabile!

Seconda proposta para-storica l’avventura di un esploratore italiano non sufficientemente esplorato, specie negli anni in cui vide la luce il mio soggetto: oggi sono fiorite un paio di ricche biografie. Parlo di Giovanni Battista Belzoni, “Il cacciatore di piramide”,  questo strano e affascinante pioniere dell'archeologia - e insieme del furto archeologico - "uno degli uomini più notevoli in tutta la storia dell'egittologia", come lo definì Howard Carter, lo scopritore del tesoro di Tuthankamon. Qualche contatto con l’Egitto all’epoca della mia produzione, grande interesse per l’operazione ma nessun risultato concreto. Il soggetto è là, l’avventura di un gigante atletico che è anche uno scopritore spericolato, un affarista all’italiana, catturato e rovinato dalla bellezza. Poi “Il segreto del Marchese zingaro”, la storia di un nobile marchigiano, il marchese Adriano Colocci-Vespucci che visse alcuni anni della sua giovinezza in totale simbiosi con una carovana di zingari di cui divenne estimatore e narratore; “Questa pazza pazza musica” viaggio fra le orchestrine popolari italiane utilizzando come pretesto narrativo la vecchia novella russa delle “Dodici sedie”, ma stavolta il tesoro da trovare è nascosto in una fisarmonica; “Organizzazione CAOS”, le avventure eroicomiche di un gruppo sovversivo che fa tutto alla rovescia; “Storie di briganti”, cioè le avventure dei western italiani, da Angelillo a Fra Diavolo, ai briganti resistenti nella Marca del Sud. Tante idee da riempirne una biblioteca o da far felice una televisione matura, intelligente e appassionante. Ma – come dicono a Roma – che ve lo dic’affà!  

Insomma ogni volta che mi appropinquo alla realtà storica, per un fatto o un personaggio singolare e magari non stimato, la mia voglia d’inventare non si doma. Non riesco a spingermi in ricerche precise e minuziose, perlomeno non oltre il necessario. Fatti e persone debbo immergerli in avventure inventate da me o quasi, spinto a farli giocare come meravigliose marionette – absit iniuria verbis – nel mio grande teatro dei fatti e della storia. Le ricerche, i libri scritti da storici – di cui sono appassionato lettore – non sono terreno per me. Preferiscono accostarmi ai personaggi del passato, remoti e più o meno prossimi, grandi o piccoli che siano, per via d’intuizione, alla ricerca di un’avvertita immediata sintonia con le loro passioni e i loro comportamenti. E vorrei che il lettore mi seguisse nelle mie scoperte e nei miei innamoramenti.

Per il momento la smetto, altrimenti non vorrei che il mio “pezzo” diventasse una Treccani dei sogni perduti. Ma come diceva Corrado alla tv: “E non finisce qui!” 

LEANDRO CASTELLANI

domenica 25 aprile 2021

E FINALMENTE PASSIAMO AGLI INEDITI

 Primo fra tutti la mia chiacchierata e battagliata autobiografia, “La valigia di Hiroshima”. L’ho stesa di getto un paio di anni fa, talora utilizzando i miei appunti già piazzati su Facebook. Poi mi sono accorto che veniva troppo lunga, densa di cose vicende e persone che in fondo potevano interessare solo me, e ho provveduto ad una sostanziosa quasi drastica potatura, e inoltre a sciacquare i miei panni, non nell’Arno di manzoniana memoria ma nel più familiare Metauro, se non addirittura nel torrente sotto casa, l’Arzilla. E’ una storia ragionata  spero piacevole, di quello che ho vissuto, di quello che ho fatto e di quello che ho tentato d fare.

Altro momentaneo inedito, l’ultimo “scritto” emerso dalla mia tastierina. Titolo: “Per una selva oscura”. Dante c’entra assai poco, ma non posso escluderlo, dato che Dante c’entra sempre, in tutto. Ho infilato una dopo l’altra le vicende della gente che, nel corso dei secoli, ha calcato la terra dove abito attualmente e che ha disegnato la mia infanzia. Una selva “selvaggia ed aspra e forte” sino a un certo punto, a qualche chilometro da Fano. Le storie-racconto – tutte sportivamente inventate o quasi - dei colonizzatori e degli abitanti della mia terra: un cartaginese scampato alla battaglia del Metauro, una strega molto sui-generis, un cavaliere al seguito di Antonello da Carignano, un intendente rapito dai saraceni e tornato dopo un lungo esilio a morire nella sua terra, un mio antenato cacciatore di banditi, un alieno marziano con la vocazione dell’ambientalista. Racconti tutti annodati fra loro come una catena di favole.

E passiamo al recupero di inediti momentaneamente o definitivamente abbandonati. “Visti e conosciuti” (titolo molto provvisorio) contiene tutta una serie di ritratti o di semplici appunti su molti dei personaggi incontrati via via durante la mia carriera e legati a me per un momento di vita, per un ricordo, per un attimo di partecipazione, reale o ideale. Potrebbero catturare qualche lettore? Su Facebook c’è chi mi dice di sì, ma è tutta gente in qualche modo partecipe del mio mondo o del mio lavoro. Ma gli altri?

Ho interrotto e abbandonato una sorta di lunga biografia, modicamente romanzata, di un personaggio illustre quanto un po’ scomodo,  Guglielmo Marconi, il Cristoforo Colombo di un nuovo continente, quello che attualmente ci ospita, il primo uomo a far superare ai segnali, al suono e forse all’immagine le barriere dello spazio, all’origine della civiltà informatica. Qualche anno fa gli dedicai in fretta e furia – c’era un anniversario che rischiava di scadere - un romanzo radiofonico, anche diretto da me, in ben sessantacinque puntate – diconsi 65 – nel quale, forse per la prima volta, si tentava di rendere vicino – e commestibile - un personaggio relegato ai ricordi di un passato politicamente un po’ inquinato. Sarebbe stato facile trarne un romanzo tutto da leggere. Ma non credo che lo porterò avanti, mi spaventa il numero delle pagine.

LEANDRO CASTELLANI