Passiamo
a cose più serie: la scelta degli attori. Il personaggio di una storia, definito
in sceneggiatura nel fisico e nella psicologia, acquista la sua realtà solo quando
è impersonato da un attore. E d’altra parte è impossibile trovare un attore che
risponda al cento per cento ai desiderata della pagina ed è giusto che sia
così, anzi direi che questo è il bello. E quanto avviene di regola, salvo nel
caso che un personaggio sia scritto in partenza per un attore già predestinato a
impersonarlo. In tutti gli altri casi un personaggio diventa “quel” personaggio
in virtù dell’attore che lo incarna, interpretando le sue caratteristiche comportamentali
e anche psicologiche. Ho sempre dubitato di quei registi che cercano
spasmodicamente un attore che concretizzi al cento per cento, senza possibilità
di deviazione, tutto quello minutamene previsto in sceneggiatura o già fissato nella
propria testa. Più utile e stimolante aprirsi a un dialogo costruttivo fra quel
dato attore e il personaggio da interpretare. Nelle mie scelte ho sempre
puntato, oltre che sulla professionalità dell’attore, sulla sua capacità di
cogliere e “proporre” di un personaggio le
caratteristiche precipue, diciamo l’anima, grazie a quella “comunicativa” che
il mestiere può favorire ma non creare, chiamatela trasparenza, carisma. Lo
sguardo come specchio, come elemento basilare della famosa micromimica, che è
la capacità di esprimersi senza diventare una marionetta, usando con sobrietà volto,
sguardo e gesto per comunicare agli altri interiori stati d’animo, senza
ricorrere a quell’esasperazione tutta esteriore che chiamiamo gigioneria, senza
cioè supplire con l’esuberanza artificiosa ed esasperata dei gesti e delle
espressioni del volto, in modo esteriore, a comando. Ci sono attori forse
preparati e di mestiere che “non bucano lo schermo.” La bellezza estetica o la
bruttezza c’entrano sino a un certo punto.
Si
sceglie un attore visionando, quando disponibile, un brano del lavoro già svolto. A poco servono le
fotografie che di solito fissano in una posa standard e artificiosa un volto o
una postura. Quante ne ho viste e ricevute dalla posta! Intere agenzie fasulle
e pubblicazioni a pagamento diffondono volti di attori e sedicenti tali a
bizzeffe. Talvolta possono servire a orientare una prima scelta di massima, ma
poi con un attore devi parlarci, conoscerlo, saggiare il suo modo di muoversi,
di esprimersi, di essere. Ho sempre voluto incontrare gli attori che
rientravano nel novero delle mie scelte. Per scambiare con loro qualche battuta,
vedere come si esprimono, oltre a verificarne la dizione. Erano questi i mei
“provini”. A tali colloqui, più che agli standardizzati e spesso inutili
provini, ho affidato le mie scelte. E’ logico, direi evidente, che un regista
ricorra più volte a uno stesso attore per impersonare personaggi anche diversi,
perché lo conosce da vicino, sa quello che può dargli, la sua duttilità, oltre
che la sua professionalità. Nei miei lavori
ci sono stati molti di questi ritorni, da Raoul Grassilli, impiegato in ruoli molto
differenti fra loro, talora opposti, a Orso Maria Guerrini, impiegato in
altrettanti differenti ruoli, a Stefano Satta Flores, incontrato per un ruolo
minore e promosso protagonista nel mio lavoro successivo. Come per Franca Nuti,
incontrata per “Il muro” e che imposi
come protagonista femminile delle “Cinque giornate”. Antonio Sabato jr. per Frassati lo scelsi da
una videocassetta di un film che aveva girato in America, per quell’aria
limpida, quello sguardo sincero, trasparente. Per ragioni analoghe scelsi Patsy
Kensit dopo aver passato in rassegna numerose giovanissime nostrane dall’aria
troppo scafata. Ad altri attori puoi appoggiarti con fiducia, conscio della loro
professionalità e del loro intuito, da Pietro Biondi a Riccardo Garrone, a Sergio
Fiorentini... E gli attori amici. In certa misura lo diventano un po’ tutti.
Vivere intensamente un lavoro, un brano più o meno duraturo e intenso della tua
vita, non può non segnarti, creare una comunicazione che non puoi estinguersi
come si trattasse di spegnere un interruttore.
Ogni
film è un viaggio, o meglio una breve vita, con una gestazione, una nascita,
una crescita, momenti di dissidio e di difficoltà, gioie e dolori, e - ahimè - una
fine più o meno rapida. Un viaggio durante il quale ti accomuni con gli
attori, ma anche con i tecnici, i
collaboratori artistici, le maestranze tutti, Un viaggio vissuto insieme,
dandoci del tu quasi sempre, vivendo un’intensa comunione di vita. Poi si
finisce, con un arrivederci, con una cena,
con la speranza di una sollecita ripresa, che può verificarsi oppure no, con un
addio, per sempre?
(Leandro Castellani)
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