Già
detto: come regista ero molto mobile, volevo seguire la scena da vicino,
dall’interno direi, durante le prove, spiare l’attore, coglierne i lati
migliori, controllare la sua micromimica e, se del caso, evitare le sue
imperfezioni o approssimazioni recitative nella programmazione della ripresa. Altrettanto
mobile nei confronti del cameramen, a cui volevo star vicino. Nelle “riprese a
mano” dovevo addirittura guidare l’operatore sorreggendolo e indirizzandolo.
C’è
un particolare irrilevante del set che vorrei segnalare all’attenzione: “la sedia
del regista”. Nei film importanti, ma un po’ anche in tutti gli altri, la sedia
del regista è sacra, con tanto di nome stampigliato sul retro, ma comunque –
personalizzata o no - sempre indicata come riservata a lui. Sembra un
particolare insignificante, una questione di pura cortesia ma non lo è. Si
tratta di un accessorio fondamentale: proprio perché il regista è sempre in
movimento, ha bisogno di un punto di
riferimento stabile durante quei minuti o quel secondo in cui riesce a sedersi
o a depositare il copione per ritrovarlo alla bisogna, o altro. Non può ogni
volta mettersi a cercare una sedia disponibile. Perché – diciamolo subito – a
mia memoria, due volte su tre la sedia del regista, targata o meno che sia, la
trova occupata da qualcuno della troupe che pensa: tanto quella rimane sempre
vuota. E invece no, deve esser sempre vuota proprio per offrire al regista un
punto di sicuro approdo. Sembra un dettaglio ma vi assicuro che non lo è.
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