La
frequentazione con il cinema, sin dagli anni dell’infanzia, mi ha insegnato a
incasellare sensazioni e ricordi in quei comodi cassetti che la pubblicistica
definisce “generi”, cinematografici o di narrativa che siano. Cosa sono i
generi? Schemi narrativi su disporre una
storia. C’è il genere “giallo” – ricordo di aver conosciuto a Cattolica il creatore,
se non del “genere”, almeno del colore che poi individuò un genere per una
famosa collana editoriale, Era un signore molto simpatico, alto una spanna.
Come Danny De Vito per intendersi, incontrato molti anni dopo negli USA. Un
vero nano. Ma di giallo, cioè di polizieschi e di thriller, Corrado Tedeschi sapeva tutto, e ne bruciava come lettore, per
scegliere i testi da far tradurre, tutto quello che via via si produceva in
Inghilterra, patria ideale, e in America, patria attuale.
Torniamo
ai “generi”, un cassetto per il giallo,
un altro per l’horror. C’era l’horror a Fano? Quanto ne volevi! Quello
codificato, come la carrozzaccia dei Martinozzi che ogni notte partiva dal
retro del palazzo omonimo in via Arco d’Augusto, percorreva a galoppo sfrenato
tutto la strada, non corta ma neanche chilometrica, si buttava nel fossato fra
l’Arco sunnominato e la facciata della Chiesa di San Michele, in quel fossato,
allora chiuso da un’inferriata ma che evidentemente non era di ostacolo alla
carrozzaccia e al suo diabolico cocchiere, Come facesse poi a rientrare nella
stessa nottata alla base di partenza non è dato saperlo.
Più
avanti arrivò l’horror dei bombardamenti, delle vittime, della guerra, della
invasione e delle occupazioni, tutti horror vissuti “in diretta” si direbbe
oggi. Le nuove generazioni di oggi, fortunatamente per loro, non hanno più di
questi horror e debbono ricorrere a quelli posticci importati dagli Usa, cioè
Halloweeen, Dolcetto o scherzetto? Il nostro grande cimitero comunale non è mai
stato funestato o coinvolto da leggende orrifiche. Da noi i morti sono rispettati
e amati, basti vedere l’assiduità delle visite d’inizio novembre, la cura dei
fiori e delle luci. Non saranno i bei giardini accattivanti - e vorrei dire
invitanti - dei cimiteri tedeschi o le atmosfere zuccherose di quelli americani,
ma sono una cosa seria, oggetto di incontro e di rinnovata casta commozione.
Ma
un horror vero, di quelli da quattro soldi creati da un volonteroso e fecondo
cialtrone che si chiamava Roger Corman, avrei voluto crearlo anch’io. Horror
tutto fanese, con Dracula che spunta dai sotterranei di Vitruvio, quelli a cui
si accede da una porticina a mo’ di
edicola che interrompe le scale di Sant’Agostino. Ecco, a mezzanotte inoltrata,
la porticina si apre e una sagoma nera percorre velocemente la stretta via
Vitruvio, attraversa Piazza degli Avveduti, addossandosi alla parete del
Politeama per non rischiare di essere investito dal passaggio veloce della
carrozzaccia e poi gira per Piazza del mercato, s’inoltra nella strada che
conduce in Piazza XX settembre e là, sotto i portici del palazzo della Ragione,
sosta un po’. Ma niente passaggio di verginelle. E deve riprendere il cammino,
un tratto di corso poi via de Rusticucci, si tiene lontano da Santa Maria Nuova
per ragioni di evidente opportunità... E
qui dovrei continuare a inventare con più fantasia, incontri, agguati,
appostamenti, sorseggiamento di passanti di genere femminile, sino a quanto la
campana di un inesistente campanile, forse uno di quelli fatti crollare dai
tedeschi, lo richiama all’ovile prima che sorga il sole. Un po’ monotono come horror. No, se vi
aggiungessi spettri vari, immagini di animali fantastici risorti dai mosaici
romani nascosti nei sottosuoli di via Francesco d’Assisi, gli spiritelli malefici
usciti a fronte dai ruderi della chiesa omonimo, e poi un volo di streghe cavalcanti
le relative scope a far carosello attorno al tozzo torrione di San Pietro. Un
horror coi fiocchi, da girare una notte o forse due grazie alle nuove tecniche
digitali che possono fare a meno delle luci o usarne molto poche purchè in modo
avveduto.
(Leandro Castellani)
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