Vorrei
scrivere un nuovo romanzo. Ma di quelli che vanno di moda ora: con molte scene
sexy, stupri, violenze carnali o amori appassionati. E poi omosessuali, deboli
e frustrati o potenti e dominatori. Amori omosex fra maschietti e tra
femminucce. Cosa ancora? Un po’di buonismo, una shakerata di mode radical chic,
un antirazzismo così assoluto e apodittico da diventare razzista… Non
dimentichiamo i delitti e i serial killer. Già, ma il tutto dovrebbe convivere
con quel gusto per le vicende della storia, possibilmente molto trapassate, che
mi contraddistingue.
Finalmente
mi sembra d’aver trovato l’ispirazione per far incontrare le varie istanze: un
romanzo sullo “Jus primae noctis”. Idea fulgida! Quasi quasi comincio subito.
Vediamo!
Dunque
Sir Lancillotto da Lugo è il signore feudale più prepotente e sessista che
ospiti la Romagna. I suoi sottoposti, gente del contado, contadinotti ma anche
artigiani e piccoli professionisti, debbono soggiacere alla dura legge
stabilita da un suo remoto antenato e divenuta tassativa: ogni giovanetta che convoli a nozze con un
residente deve cedere il proprio pulzellaggio al locale feudatario, cioè a lui,
pena la morte praticata nei modi più atroci: squartamenti, evirazioni,
sbudellamenti, garrote, mannaie e ghigliottine.
Ed
ecco che, a nozze celebrate e benedette da apposito abate, la sposina viene
accompagnata a castello dal genitore o dallo stesso neo consorte. La consegnano
all’ingresso, ricevono regolare ricevuta poi si ritirano a piangere e disperarsi
in separata sede. La sposina sale le scale e, introdotta da apposito scudiero,
varca la soglia dell’appartamento privato a tal uopo riservato. Staziona nella
confidente attesa di essere ricevuta dal feudatario - un po’ d’educazione, che
diamine!, - qualche preliminare, magari una cenetta a lume di candela prima
della cerimonia della deflorazione. E invece no. A riceverla c’è la nutrice del
Duca, una zitellona ultraquarantenne ma piacente, dall’apparenza e dai modi
moderatamente mascolini. “Vieni, vieni, caruccia, fatti preparare. Spogliati
pure, ma un capo alla volta, con calma.” Insomma le richiede una specie di spogliarello
improvvisato, senza neanche bisogno dell’accompagnamento musicale. La tardona
segue con evidente interesse la svestizione, si umetta le labbra, freme di eccitazione
via via che le si svelano le nudità della fanciulla. “Un momento, carina, fammi
controllare se sei illibata”. Le si accosta, comincia ad accarezzarla, prima i
seni eburnei poi il pancino e poi più giù verso la vagina che spunta fra la
piccola boscaglia bruna. Già, perché nel medioevo la foresta del pube doveva
rimanere intatta e rigogliosa. La nutrice si spinge oltre, saggia la tenuta del
sesso: “Brava carina, sei proprio verginella, fatti consolare.” E la sposina deve
cedere agli abbracci birichini della nutrice.
Intanto,
con l’occhio schiacciato contro l’apposito pertugio a tal uopo praticato nella
parete, il feudatario ha spiato i preliminari amorosi della vogliosa fantesca e
insieme le procaci nudità della verginella a lui riservata e si è eccitato a
puntino, da bravo guardone professionista, tanto che arrivato al clou
dell’ispezione preliminare, a evitare il precipitare della situazione, preme l’apposito
pulsante per farsi recapitare la fanciulla senza ulteriori indugi. L’attende in
costume adamitico, già piazzato sul morbido giaciglio che si è fatto abbondantemente
irrorare di profumi. L’amplesso è immediato e la consumazione del frutto
altrettanto rapida. Qualche strilletto e, come sempre, la penetrazione, salvo
incidenti e casi particolari, è sbrigativa e abbastanza indolore. Segue un
piccolo rinfresco a base di frutta pregiate, vini liquorosi e bonbon
d’esportazione. Poi con calma il feudatario approfondisce la conoscenza carnale
che, con i necessari intervalli, si prolungherà sino al mattino successivo
quando la sposetta, rimpannucciata negli abiti nuziali e dopo il rituale
bacetto alla nutrice, verrà riconsegnata ai congiunti unitamente a una piccola
dote in dobloni, di solito proporzionale al godimento che il feudatario ne ha tratto. Questa la prassi.
Ma
erano sempre vergini le sposine? Dovevano esserlo, per almeno due motivi. Per
gli ammonimenti del santo sacerdote che raccomandava la castità e per gli
editti del feudatario che promettevano il taglio della mano o di un altro
accessorio ancor più utile in caso di riscossione anticipata da parte del
promesso sposo. Quindi tutte vergini. Al bisogno c’erano altri sistemi per far
felici i fidanzati.
Ma
ci fu un imprevisto. All’indomani della conclusione della lunga guerra con
Cesena, che aveva tenuto a lungo i guerrieri lontani dalle loro promesse, molti
dei reduci decisero quasi contemporaneamente di convolare alle agognate nozze. Per
il feudatario si prospettava un “tour de force” forse eccessivo. Come risolvere
il problema? Contingentare i matrimoni? Giovarsi di volenterosi aiutanti per il
rito delle deflorazioni? Ingerire quelle erbe preziose, di colore azzurrino,
delle quali il taumaturgo di corte vantava i prodigiosi effetti?
Il
signore ci pensò a lungo, ma non c’erano vie d’uscita e dovette assoggettarsi,
di buon grado oppure obtorto collo, alla corvée che peraltro trovava
particolarmente disponibile la solita nutrice addetta agli spogliarelli e alle
visite pre-coito.
Alla
fine del fatidico mese il Duca era stremato. Fu costretto a emettere un editto:
per ragioni di stato e di alta politica, visto l’eccessivo incremento delle
nascite nell’ultimo biennio, le stipule matrimoniali sarebbero state sospese
sino a data da destinarsi. I fidanzati venivano invitati a procrastinare cercando
legittimi piaceri in altre pratiche sessuali più sofisticate o godendo dei
vantaggi della castità. Il popolo non fu proprio d’accordo, ci furono mugugni,
tentativi di far recedere il monarca, ma niente da fare. I giovani più ardenti
tentarono di organizzare una spedizione in feudi limitrofi, svincolati dalla legge
capestro vigente nel feudo. Ci furono episodi tipo “ratto delle sabine” con
conseguente malumore fra le locali verginelle in attesa che si sentivano defraudate.
Stop!
Non ce la faccio più ad andare avanti. Sento già le critiche: vecchiume, chi se
ne frega del Medioevo. Potrei attualizzare il tutto: al posto del feudatario un
potente – industriale, banchiere, politico, produttore cinematografico –, al
posto della nutrice vogliosa la manager tutto fare del principale, di chiare
tendenze lesbiche, al posto degli sposi i precari, i lavoratori e i derelitti di ogni tempo.
Resterebbero fuori gli omosessuali di genere maschile, gli extracomunitari, i
politici di professione, i vegani. E allora: basta! Come romanziere non ci so
proprio fare!
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