sabato 16 aprile 2016

LUI E' TORNATO




Il film è un colossale pasticcio, non si capisce bene se voluto o venuto fuori per sbaglio, ma non si può ignorarlo. Tratto da un libro dello scrittore tedesco Timur Vermes, che suscitò reazioni e scalpore ma vendette duemilioni e mezzo di copie nella sola Germania, il film evita la relativa linearità del testo da cui è tratto per avventurarsi in un racconto fatto per ellissi, per suggestioni, evitando troppe spiegazioni e note a margine: Hitler resuscita tra i cespugli fioriti di una tranquilla zona residenziale della Berlino di oggi, dove si suppone si trovasse il bunker in cui si suicidò nel 1945, e si aggira un po’ sperduto fra la gente. Suscita ironie, confuso per un qualche bontempone che abbia avuto la faccia tosta di indossare abiti desueti e di sfidare sia il rancoroso ricordo di qualche vecchio che la beffarda ironia delle nuove generazioni. Si propone di tornare alla testa della nazione, vuole ricominciare da capo la scalata politica? Un giornalista-tv messo alla porta dal suo redattore pensa di farne il personaggio per un film televisivo trascrivendo in termini di racconto la storia del suo ritrovamento  e il senso della sua presenza. E nel nostro film cronaca e ricostruzione si alterneranno in maniera pressoché casuale: quando quell’anziano con baffetti a toppa e divisa è proprio Hitler e quando è semplicemente un attore, anzi una comparsa? Quando il suo mentore giornalista è se stesso e quando è l’attore che lo interpreta? Alla fine Hitler, i cui deliranti interventi razzisti, nazionalisti e antisemiti vengono accolti alla rovescio, come una satira caustica contro il nazismo, precipiterà dall’alto di un moderno grattacielo. Ma no, finzione, è sola una scena del film e tutto finisce con una festa di fine lavorazione. E invece no, ancora un rovesciamento: si tratta soltanto del vaniloquio di un cronista pazzo rinchiuso in manicomio (ricordate la conclusione posticcia del “Gabinetto del Dottor Caligari”?) Dunque una bella e voluta confusione che attutisce il senso del film, inteso come una icona mediatica della società tedesca contemporanea, nella quale la critica a un presente imbastardito e problematico viene corretta quando potrebbe farsi troppo audace. Di qui la programmatica rinuncia a ispirarsi al libro di Vermes per una pedissequa trascrizione cinematografica e la scelta di una riproposta sui generis, quasi estemporanea, che ricorre anche a moduli documentaristici, usa frammenti di repertorio e di telegiornale, e addirittura tecniche da candid camera per fissare le reazioni spontanee della gente, in un voluto centone. Un film di destra o di una generica sinistra?  
Da notare il doppiaggio, particolarmente sciatto e approssimato: si doveva e poteva far di meglio.  

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