mercoledì 2 marzo 2016

IGINIO UGO TARCHETTI - FOSCA



Ci sono etichette utili per incasellare gli avvenimenti della storia e/o della letteratura: Rinascimento, Romanticismo, Verismo ecc. E ci sono etichette che rischiano di riassumere e talvolta omologare temperamenti diversi e differenti valori. Per quella sorta di “riassunto tipo Bignami” che ognuno di noi ha in testa Scapigliatura vuol dire una sorta di Romanticismo a oltranza, il margine estremo per bohémiens parigini made in Milano e il nome  che si cita è quello di Arrigo Boito. Eppure quanti scrittori dotati di una propria individualità e forse in attesa di adeguata riscoperta, da Antonio Ghislanzoni a Iginio Ugo Tarchetti, entrambi prolifici autori e di opere insospettabili, a volte decisamente trasgressive. Ghislanzoni con i suoi imprevedibili e rocamboleschi romanzi d’avventure nonché i libretti d’opera per Verdi e Ponchielli,  Tarchetti scrittore poeta e giornalista con i suoi racconti fantastici e umoristici, dove si scoprono, ma rivissuti in modo originale, echi di E.T.A. Hoffmann e Edgar Allan Poe,
Di Iginio Ugo Tarchetti abbiamo riletto quello che viene considerato il suo capolavoro, cioè “Fosca”, pubblicato postumo e concluso dalla penna dell’amico Salvatore Farina, storia di tre destini legati da un amour fou, quello di Giorgio per Clara, bellissima, e quello di Fosca, non gradevole d’aspetto ma in grado di esercitare un fascino perverso, per Giorgio. Amore intriso di nevrosi e di isterismo, amore che distrugge e si autodistrugge. Giorgio è appunto stretto tra i due fuochi rappresentati dalle due donne amate e dai loro caratteri antitetici, sottolineati allusivamente dai loro nomi. Il romanzo è un capolavoro nell’analisi sottile e spietata dei sentimenti, uno studio raffinato di psicologie morbose e contorte che, in un certo senso, sembra preludere al decadentismo dannunziano. Un romanzo che va riletto al di fuori delle etichette e degli anni, in questo caso trascorsi invano, data la sua corrosiva modernità.

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