2. Altre leggende familiari
Ci sono storie, ascoltate da bambino, circa lontani parenti mai conosciuti, storie a un passo dalla leggenda che non è facile rievocare. In esse la fantasia si mescola alla memoria. Cosa ricordiamo, cosa abbiamo frainteso e cosa abbiamo inventato strada facendo?I Buzzoni – ma si chiamavano così? – erano una famiglia venuta da lontano, forse dal Nord, che a Pesaro aveva impiantato il primo laboratorio per lavorare il vetro. A questa famiglia credo appartenesse la mamma di mia nonna, cioè la mia bisnonna, i cui fratelli avevano probabilmente dato origine ad altre schiatte di strani ma poco frequentati parenti. Fra loro un paio di eccellenti musicisti. Cugini di papà? Lola – la ricordo, piccola, tracagnotta e baffuta - suonava l’arpa nei grandi teatri lirici - la Fenice, la Scala? - e a sentire mia nonna dava il meglio di sé nel famoso “a solo” d’arpa per la serenata di Turiddo nella “Cavalleria rusticana”: oh Lola che di latte hai la camisa, si bianca e rossa comme ‘na cerasa… Applausi a scena aperta. E suo fratello, che si chiamava Aldo come mio padre, suonava il contrabbasso. Uno strumento ostico: nelle orchestrine romagnole lo chiamano il porcòn per quel suono pesante e sgradevole. Ma bisognava sentirlo! - diceva ammirato papà – Suonato da lui sembra un violino…
Ma la specialità della famiglia era… la follia, in altre parole gli scherzi atroci di cui si facevano olimpici inventori. Un giorno, da ragazzina, Lola si era finta cieca: così, camminando a tentoni e annaspando con le braccia tese davanti a sé, si era messa a urtare e rovesciare uno dopo l’altro tutti i secchi con il beverone che i fiaccherai di Firenze avevano predisposto per i loro cavalli, ai margini del viale delle Cascine. Adiratissimi i vetturini stavano per reagire ma poi: poerina, gli è cieha!!!
Ma dei loro scherzi più atroci era vittima un fantomatico “zì Carlinìn” - fratello dei musicisti, zio di mio padre o forse di mia nonna? – scherzi che venivano rievocati dalla mia ava con un certo imbarazzo. Probabilmente si trattava di un figlio un po’ “minus habens” a cui i fratelli riservavano un trattamento a dir poco sadico: “questa sera quattro soldi a chi salta la cena”, e Carlinìn digiunava. Al mattino dopo: “chi vuol fare la colazione deve pagare quattro soldi”, e Carlinìn, affamato, restituiva i quattro soldi. E ancora: “stasera a letto senza cena tanto non c’è niente da mangiare.” E Carlinìn se ne andava a dormire. Al mattino dopo, commenti divertiti dei fratelli: “le brasciòl ch’avén magnèt ier sera, el grass ce’l tirémi un sa cl’elter!”
Mio padre sosteneva, in base a questi e analoghi racconti, che zì Carlinìn fosse il meno matto della famiglia! Famiglia che, stando a queste burle a base di digiuni, non doveva nuotare nell’abbondanza, almeno sino all’ascesa sociale e professionale dei due musicisti!
L’unica rappresentante della strampalata schiatta, intima dei miei, era l’Egizia Bazigaluppi, una professoressa di disegno che aveva sposato il generale Enrico Bargossi, di lei molto più anziano, ma da lei amato e curato con straordinaria dedizione. Egizia era un’artista geniale: realizzava piatti di ceramica su disegni classici, nell’illustre tradizione dei ceramisti pesaresi. E inoltre fu lei a inventare di sana pianta l’arte, cosiddetta “tradizionale”, dei tessuti rustici, tappeti, tovaglie eccetera, disegnando i bozzetti nonché ideando e realizzando gli stessi telai, a Pesaro come a Novilara. In questo ameno paese sulle colline possedeva una casetta dove trascorreva l’estate col suo generale. Morendo, l’Egizia lasciò casetta, disegni e materiali al Pio Sodalizio “Artigiane Cristiane”. Una persona arguta, divertente, intelligentissima. Quando ero un giovinetto, già di belle speranze, mi aveva promesso: un giorno ti racconterò tutta la storia dei Buzzoni e tu la scriverai. Ma non tenne fede alla parola data, o forse fui io a tradirla. Valgano queste rare imprecise note.
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