domenica 17 aprile 2022

Punt.2 - Leandro Castellani - MEMORIE DI UN FABBRCANTE DI IMMAGINI

Capitolo 1


GIORNI INDIMENTICABILI 

                                  "I giorni indimenticabili della vita di un uomo sono    

                                 cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume.”

 (Ennio Flaiano)

1. Le famiglie

Forse nevicava o forse no quel 1° dicembre, forse era un limpido giorno di sole come quell’altro 1° dicembre del 1965, quando mi sposai. Uno splendido giorno di un autunno inoltrato ma ancora radioso: la bella cerimonia, fra parenti e amici, con il Nunzio apostolico, monsignor Romolo Carboni, a benedire le nozze, poi il pranzo nuziale al Ristorante Tutta Frusaglia, officiato dal famoso Gigione, al secolo Enzo Biagiotti, e poi via, partenza sulla Volkswagen rossofuoco. Prima sosta un caffè in un baretto a Cattabrighe: quando ci arrivammo – salutati genitori, parenti e amici - era già notte.

Comunque, accantonando le ipotesi metereologiche, sono nato il 1° dicembre, a Fano, “ridente cittadina sulle rive dell’Adriatico”. Raccontava mia nonna, nata ai piedi del Monte Nerone, come si divertisse a prendere in giro il consorte, fanese puro sangue, recitandogli con sommessa ironia l’adagio: “fra’l bel Metauro e la renosa Arzilla giace la bella Fano”. Non “giace” ma “sorge”, la correggeva bonario nonno Leandro…

Ma torniamo a me. Per molti anni, sino a quando misi posticce radici a Roma, pensavo che ogni città dovesse finire con il mare, che una più o meno frastagliata linea azzurra dovesse mettere lo stop ad ogni abitato e ne fosse la logica conclusione.

Papà era segretario della locale scuola d’Avviamento professionale e Scuola tecnica “Matteo Nuti” e, in carenza di docenti, insegnava anche ragioneria e computisteria, ma aveva alle spalle un’avventura giovanile d’attore, durante i fantastici anni del cinema muto, e nutriva una genuina passione per l’agricoltura a cui dava esito occupandosi del podere della nonna, la mitica nonna Penelope, dei Bartolucci di Piobbico, discendente, per vie mica tanto traverse, dal Barone di ferro Bettino Ricasoli, della cui moglie aveva perpetuato l’inconsueto nome, un nome che odiava: “Penelope, che nome brutto, non lo mettete mai a nessuna, mi raccomando.” A Piobbico, suo paese natale, mia nonna era la “sora Penelina”.

La mamma discendeva dalla nobile famiglia Bechelloni di Cetona, con un avventuroso nonno garibaldino come leggenda familiare, ed era rimasta orfana in giovanissima età a far da mamma a un fratello e tre sorelle minori. La sua leggenda familiare parlava appunto di un “nonno Cherubini”, fuggito dal seminario alla vigilia del sacerdozio per seguire l’eroe dei due mondi, un avo che al paese natale vantava vasti possedimenti di cui aveva fatto unico erede un nipote, mio nonno Galileo, perché si prendesse cura di tutti quei beni e li tramandasse ai posteri. E mio nonno aveva dovuto rinunciare a una promettente carriera nei pubblici uffici – poteva diventare il più giovane prefetto d’Italia, ricordava la mamma - per ritirarsi nel paesello toscano, ancora non assurto a “buen retiro” degli intellettuali come in tempi recenti. Oggi del suo vasto patrimonio da tramandare ai posteri, di secolo in secolo, rimane solo una targa, a Cetona, “Via Cherubini”.

 

 

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