sabato 9 aprile 2022

Leandro Castellani - IL RIMORSO


 

Questa è una storia curiosa, oserei dire strampalata. Non so neppure se riuscirò a scriverla e a darle un senso compiuto. Insomma, eccola qui. Una certa sera – un anno, un mese fa o diciamo ieri – disponendomi al sonno, vado in cerca di qualcosa da leggere per agevolare l’avvento di Morfeo. Il romanzo sul comodino l’ho già finito. E senza un paio di pagine come faccio ad addormentarmi? Non basta la solita melatonina Lo so per esperienza. Finito il ciclo di sonno garantito dal “bugiardino farmaceutico” allegato alla pseudo-droga, mi sveglio e comincio a dar da matto. E allora è giocoforza che peschi un libro, nel cosiddetto scatolone delle meraviglie, dove confino i libri che mi offrono in omaggio nella speranza che li recensisca ed io che dico: grazie, lo leggerò quanto prima, non vedo l’ora. E difatti l’ora non la vedo proprio, non so se e quando saprò o vorrò rassegnarmi alla lettura, in vista di una mia nota che non ho nessuna voglia di scrivere. A meno che sia lo stesso redattore-capo a sollecitarmela: Guarda, c’è quel libro del mio amico. Non è un granché, ma lui ci tiene tanto. Basta che leggi il colophon, c’è tutto lì, non ti ci ammattire! Bastano poche righe…

Bando alle divagazioni serotine, torniamo in carreggiata. Estraggo un libro a casaccio dal terribile scatolone dei libri omaggiati dagli autori e dagli editori. Il primo che mi capita. Titolo scontato, infantile e presuntuoso: “Angoscia”, come quel  vecchio film con Ingrid Bergman, dove c’era lei che rischiava di diventare matta. E invece era tutta una congiura del marito, che poi sarebbe stato il fascinoso Charles Boyer. Allora, vediamo un po’ questa Angoscia. Di primo acchito il titolo mi farebbe pensare all’autobiografia, sincera quanto prematura, di una giovane scrivana infelice. Ma tant’è! Copertina rosa confetto, di un rosa quasi impudico. Colophon leggerino, in economia, con una sciatta foto di una bella ragazzetta bionda: l’autrice? Povero me! E leggo. Ma sin dalle prime pagine il libro mi catapulta in un orizzonte insperato: parla di mare e di sogno.

E’ la storia di Lavinia. Questo nome mi perseguita, è il titolo del mio primo libro di narrativa leggera, ed anche del secondo, una ricerca storia fatta a braccia, sulla vita della sorella dell’ultimo Duca d’Urbino. Ancora una Lavinia? Ma chi si permette ai giorni nostri di usare un nome così desueto?

Questa ulteriore Lavinia, che con le mie Lavinie c’entra poco o niente, è nata sul monte, nel casolare più depresso e abbandonato dell’Appennino e poi, in età scolare, scesa in paese, e dal paese alla città e poi dalla città alla metropoli. Ma il libro è triste, troppo triste, sembra fatto più per fugare che per favorire il sonno. E termina troppo presto, dopo appena sessanta pagine, con un finale sospeso, inquietante: l’abbandono di ogni speranza, una depressione senza via d’uscita, il desiderio di morte espresso dal netto proposito di porre fine alla vita, fatale irrevocabile decisione di quel piccolo libro dalla copertina rosa confetto, autopubblicato con i suoi risparmi da un’autrice giovanissima ma ormai delusa dalla vita. Una storia di suicidio annunciato alla fine della lunga teoria di desideri inespressi, di amori infranti, di vocazioni represse e poi invocate, alla fine di una placida o forse angosciosa – di cui il titolo  - serenità.

Che bel libro! Non me ne sono accorto ed è già arrivata l’alba. E la melatonina non aveva fatto effetto, Oppure l’avevo lasciata sul comodino, accanto alla  sveglietta e alla bottiglietta di minerale. Corro alla prima pagina dopo il retro di copertina, dove l’autore o l’autrice di un libro in omaggio, oltre alla dedica ossequiosa quanto banale, sono solito appuntare il proprio indirizzo e numero telefonico: hai visto mai che quel critico sufficientemente famoso magari lo legge e vuole contattarmi? E infatti ho visto giusto. Nel colophon di quel libro un po’ dozzinale, probabilmente autoprodotto o edito da una falsa editrice ansiosa di venderne un certo numero di copie fra parenti amici ed estimatori, c’è assieme alla foto una breve nota biografica dell’autrice, età venticinque anni, una biondina abbastanza carina, che ha aggiunto a mano un indirizzo e un numero telefonico. Beh, adesso le telefono, chissà che sorpresa! Le dirò che mi è proprio piaciuto e che, se lei è d’accordo, vorrei fare una scheda da sottoporre a un qualche produttore o rete televisiva. Ma la smetta di sventolare assurdi propositi suicidi! Mezzucci infantili!

Mi costringo a ricorrere al cellulare. Che peraltro, contrariamente ai miei colleghi, ai miei familiari, ai miei amici, insomma contrariamente a tutti, uso molto di rado. Un  ultimo imbarazzo e, in questo breve lasso di tempo sospeso, controllo l’anno di stampa del volumetto rosa. Quando me l’hanno passato? Un mese, forse due? E la sorpresa è quasi imbarazzante. Come può essere? Ho lasciato intonso quel libro per oltre …trent’anni! Sì, sono trent’anni che quel libro mi  stato trepidamente offerto dall’autrice, bionda e un po’ sognante come appare nella piccola foto in risguardo di copertina. Trent’anni e più: che ne sarà stato di quella ragazza? Ormai sarà una signora che ha sicuramente rivoluzionato il suo destino, con annesso desiderio di morte, e dato un indirizzo alla sua vita e ai suoi perché. Famosa non lo è diventata, come quella sua opera di debutto poteva promettere. Mi sfiora un rimorso: una mia lunga, entusiastica recensione, avrebbe potuto esserle utile? Lanciare la sua carriera di originale e dirompente scrittrice? Che strada avrà scelto, che vita avrà affrontato? Avrà placato le sue ansie e costruito una bella famiglia? Trovato un compagno, un amore? O forse, ormai cinquantenne, sarà ancora alla ricerca del suo perché? Telefonarle?

Le telefono ma nessuno risponde. Numero inesistente. Era prevedibile. Chissà, forse si trattava di una di quelle linee telefoniche fisse che la civiltà del duemila ha fatto scomparire. Un numero morto. E se fosse morta anche lei? La sua giovinezza, le sue promesse, la sua capacità di donare poesia? Ad essere lei stessa poesia? E se, fedele a quella singolare autobiografia, avesse messo in atto quella prematura e sciocca decisione estrema? Se si fosse uccisa? E se fossi stato la sua inutile e disperata ultima ancora di salvezza in un mondo che sembrava respingerla? Potrei fare ricerche. Ci sono stati suicidi trent’anni fa, o forse dieci o forse molti anni più tardi, nella città dell’autrice? O altrove? Ricerca impossibile. Ci vorrebbe un fior d’investigatore ed io d’investigatori conosco solo quelli dei romanzi – quasi sempre stranieri o, se italiani, in lizza per qualche inutile Premio Letterario – i romanzi che sono precettato a recensire da questa o da quell’editrice importante. Qualche frettolosa ricerca, ma quel nome non dice nulla, nè a me né ad altri. Forse potrebbe averlo cambiato, oppure ormai avrebbe il cognome del suo fantomatico consorte. Ma poi lo avrà avuto o  forse lo ha ancora un consorte? Come vorrei conoscere cosa ne è stato di lei, aiutarla a ricostruire i sui sogni, a inverare la sua verità. Sono passati trent’anni, ma che importa? Eppure so che non potrò più farlo, né oggi né mai. Mi resterà un inutile rimorso. E spero soltanto che anche quel libro fresco di gioventù e di speranze possa svanire di nuovo dentro lo scatolone dei libri scartati, sparire anch’esso, magari dopo la mia morte, per mano del solito “pulisco cantine”, sempre che i “pulisco cantine” esisteranno ancora.

Leandro Castellani

N,B. Si tratta di una novella di pura invenzione 

 

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