L’amore per la musica, nelle sue accezioni “plebee”,
resterà immutato nel tempo e mi aiuterà più avanti nel mettere a punto i commenti
musicali dei miei lavori. Molto selettivo nello scegliere i miei collaboratori musicisti
e rigoroso nell’aver mano libera per disporre le musiche di commento e sistemarle.
Con alcuni - o molti - di essi entrerò in particolare sintonia. Con il primo
musicista per i miei documentari e inchieste, Peppino De Luca, trombone nella
compagine jazzistico di Carletto Loffredo, con Franco Potenza, creatore e istruttore
di cori infantili, con Fabio Fabor, autore
del commento nonché della sigla di coda dell’”Orfeo in paradiso”, su mie parole
e cantata da un giovane Claudio Baglioni, con i fratelli Guido e Maurizio De
Angelis, miei musicisti di elezione per la maggior parte dei lavori da me
prodotti, con Paolo Zavallone originale musicista del mio primo film grande
schermo, con Stelvio Cipriani, poetico e sensibile musicista, autore di alcuni
miei commenti, e chissà quanti ne
dimentico – anche se non credo siano molti – per la strada, per esempio il
Maestro Daniele Paris, esimio concertista, autore delle musiche per la “Storia
della bomba atomica”.
E poi c’è l’incontro - a distanza, cioè postumo – con
Secondo Casadei, l’autore di “Romagna mia” e il reinventore della musica
popolare da ballo. A lui ho dedicato un lungo programma televisivo che, nel
1974, rilanciò il liscio, nonché una biografia scritta a più mani con molti fra
coloro che lo amarono e conobbero.
Non posso chiudere questo tuffo episodico nella musica
senza citare due autori della musica cosiddetta di serie A, sempre che in campo
musicale siano lecite queste distinzioni, L’amore per il jazz, siglato dall’amicizia
con Lino Patruno e – postumo, tramite sua figlia Donatella - con Lelio Luttazzi.
E quello incomparabile – ma poi perché incomparabile, le note non sono sempre
sette? – con il mio conterraneo Gioacchino Rossini e con il viennese Wolfgang
Amadeus Mozart. E chiudo qui altrimenti finirei per stilare un elenco musicale
lungo come una Bibbia,
Piccolo vezzo –
o vizio – personale. Durante la mia infanzia e adolescenza il vissuto non era intriso
continuamente, come ora, da musica riprodotta: radio, tv, auricolare, smartphone
eccetera. In campo musicale vigeva una sorta di self-service. Per esempio i contadini la musica se la facevano da sola.
Già sfiorite le canzoni del folklore rimediavano inventandosi la musica sulle
parole rinvenute in uno di quei fogli a basso costo venduti nei mercati delle
feste.
Self-service musicale: si canta ancora sotto la
doccia? O ci si limita ad alzare il volume del diffusore più vicino? Ricordo
che spesso, durante la mia vita attiva, venivo bonariamente portato in giro da
chi mi stava vicino per la mia abitudine di canticchiare continuamente, anche
durante il lavoro o nei momenti di attesa. Abitudine che conservo tuttora. Oggi
cantano tutti ma non canta più nessuno. Basta attaccarsi a un apparecchietto e
infilarsi due affari nelle orecchie. L’abbondanza di musica distribuita ci ha
fatto diventare poveri di musica autoriprodotta. Chi canta più? Chi fischia
più? Chi tambureggia più su un muro, su una scatola o un supporto qualsiasi?
Quel motivetto che mi piace tanto, e che fa dudu dudù!
Nessun commento:
Posta un commento