lunedì 30 dicembre 2019

IO E LA MUSICA - 3


L’amore per la musica, nelle sue accezioni “plebee”, resterà immutato nel tempo e mi aiuterà più avanti nel mettere a punto i commenti musicali dei miei lavori. Molto selettivo nello scegliere i miei collaboratori musicisti e rigoroso nell’aver mano libera per disporre le musiche di commento e sistemarle. Con alcuni - o molti - di essi entrerò in particolare sintonia. Con il primo musicista per i miei documentari e inchieste, Peppino De Luca, trombone nella compagine jazzistico di Carletto Loffredo, con Franco Potenza, creatore e istruttore di cori infantili, con  Fabio Fabor, autore del commento nonché della sigla di coda dell’”Orfeo in paradiso”, su mie parole e cantata da un giovane Claudio Baglioni, con i fratelli Guido e Maurizio De Angelis, miei musicisti di elezione per la maggior parte dei lavori da me prodotti, con Paolo Zavallone originale musicista del mio primo film grande schermo, con Stelvio Cipriani, poetico e sensibile musicista, autore di alcuni miei commenti,  e chissà quanti ne dimentico – anche se non credo siano molti – per la strada, per esempio il Maestro Daniele Paris, esimio concertista, autore delle musiche per la “Storia della bomba atomica”.
E poi c’è l’incontro - a distanza, cioè postumo – con Secondo Casadei, l’autore di “Romagna mia” e il reinventore della musica popolare da ballo. A lui ho dedicato un lungo programma televisivo che, nel 1974, rilanciò il liscio, nonché una biografia scritta a più mani con molti fra coloro che lo amarono e conobbero.
Non posso chiudere questo tuffo episodico nella musica senza citare due autori della musica cosiddetta di serie A, sempre che in campo musicale siano lecite queste distinzioni, L’amore per il jazz, siglato dall’amicizia con Lino Patruno e – postumo, tramite sua figlia Donatella - con Lelio Luttazzi. E quello incomparabile – ma poi perché incomparabile, le note non sono sempre sette? – con il mio conterraneo Gioacchino Rossini e con il viennese Wolfgang Amadeus Mozart. E chiudo qui altrimenti finirei per stilare un elenco musicale lungo come una Bibbia,
Piccolo  vezzo – o vizio – personale. Durante la mia infanzia e adolescenza il vissuto non era intriso continuamente, come ora, da musica riprodotta: radio, tv, auricolare, smartphone eccetera. In campo musicale vigeva una sorta di self-service. Per  esempio i  contadini la musica se la facevano da sola. Già sfiorite le canzoni del folklore rimediavano inventandosi la musica sulle parole rinvenute in uno di quei fogli a basso costo venduti nei mercati delle feste.  
Self-service musicale: si canta ancora sotto la doccia? O ci si limita ad alzare il volume del diffusore più vicino? Ricordo che spesso, durante la mia vita attiva, venivo bonariamente portato in giro da chi mi stava vicino per la mia abitudine di canticchiare continuamente, anche durante il lavoro o nei momenti di attesa. Abitudine che conservo tuttora. Oggi cantano tutti ma non canta più nessuno. Basta attaccarsi a un apparecchietto e infilarsi due affari nelle orecchie. L’abbondanza di musica distribuita ci ha fatto diventare poveri di musica autoriprodotta. Chi canta più? Chi fischia più? Chi tambureggia più su un muro, su una scatola o un supporto qualsiasi? Quel motivetto che mi piace tanto, e che fa dudu dudù!

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