Dunque, nato in
famiglia melomane, come buna parte delle famiglie fanesi di allora, avevo
appena imparato a leggere che già avevo appreso a memoria un paio di opere
liriche, di quelle poco adatte a un bambino, forse. Ma del resto non ne capivo
bene la trama né i suoi coinvolgimenti erotico-trasgressivi. Non sapevo che si
trattasse delle avventure di un puttaniere e violatore di fanciulle (Rigoletto)
e di una mantenuta in vena di sofferta quanto indecisa redenzione (La
traviata). Ma mi incantavano personaggi e melodie, con particolare trasporto
per le parti orchestrali e per i cori, ma senza trascurare le romanze.
A parte le
opere liriche amai da subito la musica, anche perché la mamma cantava molto bene
e sapeva suonare il piano ed io avevo avuto la fortuna di nascere, come si suol
dire, perfettamente “intonato” e con il senso, anch’esso innato, dei tempi
musicali. Ma come tutti fu poi conquistato dalle canzonette, specie quelle
pre-demenziali e stupidelle che andavano di moda allora. Su quelle
popolarissime di Armando Fragna, il mio corregionale Mario Mattoli riusciva
pure a farci dei film.
Nei miei
giovanili exploit teatral-rivistaioli fece spesso uso di canzoni, per esempio
quelle del “Quartetto Cetra” che si prestavano a diventare dei “numeri” di
pseudo-danza, promettente emulo di fantasisti da musical americani, come quelli
che si vedevano al cinema ma che purtroppo venivano brutalmente doppiati nelle
parti canore da anonime voci nostrane. A quel tempo l’inglese non lo sapeva
nessuno o quasi e i gorgheggi stranieri riuscivano ostici e noiosi, altrettante
palle al piede per i distributori nostrani. Avevano persino il coraggio di
tagliarle, almeno in parte.
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