Vanno di moda. Un tempo gli spettacoli consistenti nell’esibizione di un solo eclettico artista erano riservati a personalità con la lettera maiuscola, specie a quelli che potevano puntare su diverse abilità: insieme attori, cantanti, danzatori eccetera. Ricordo l’one-man-show di Yves Montand, visto all’Olympia di Parigi. Ma poi, in carenza di “mostri” tuttofare, hanno ritrovato spazio anche i monologhi del tempo che fu, come quelli scritti da esimi autori, come Cecov (Fa male il tabacco) o Pirandello (L’uomo dal fiore in bocca). In sintesi, un tale si presenta sul palco e per un’ora circa intrattiene i convenuti raccontando loro i fatti suoi. Non solo fatti che fanno - o dovrebbero - far ridere o piangere, ma anche storie d’amore, di delitti, di passioni. Particolare successo hanno le concioni politiche, dove si critica o si lusinga il governo, si proclamano facili rivoluzioni e si svendono le idee correnti sfondando le rituali porte aperte. Artisti, ma anche opinionisti, giornalisti, polemisti, moralisti ed altri “isti” assortiti si esibiscono su un palco, grande e modesto che sia, traendone il dovuto o più spesso immeritato successo. La moda del monologo ha proliferato e prolifera soprattutto nei piccoli e microscopici teatri dell’off-off nostrano, perché rappresenta anche una comoda soluzione per risolvere uno spettacolo con un minimo di spesa nonché per evitare gli inevitabili contrasti fra compagni d’arte. Nascono compagnie formate da quattro-sei persone, che poi si riducono a due, che poi si riducono a un monologo. La morte del teatro? Ma il pubblico ci sta, nasconde la noia dietro scuse plausibili come la moda, l’impegno sociale, la condivisione politica, l’ansia palingenetica. Intendiamoci: ho visto fior di spettacoli-monologhi di prim’ordine, avvincenti quanto intriganti.
Ma sono l’eccezione.
Ma gli affabulatori autorizzati,
quelli di professione – attori autentici o “isti” sedicenti tali – non raggiungono
mai il livello di capacità affabulatoria, extra-palcoscenico, dei cosiddetti
“sola”, per usare un’espressione tipicamente romana, cioè degli imbonitori
privati, venditori di fumo con le loro mirabolanti offerte di vendite a prezzi
stracciati, di acquisizione di rare fortune, di occasioni uniche, di salvataggi
da precarie situazione di difficoltà, accreditandosi come plenipotenziari di
qualche politico nostrano o magari di qualche magnate cinese. Quanti ne ho
incontrati e ne incontro tutt’ora! La capacità affabulatoria dei “sola” non è
soltanto uno strumento per accaparrarsi qualche provento, per “combinare
l’affare”, ma è un’opera di seduzione, un modo di esibirsi fine a se stesso,
un’offerta gratuita e gratificante, liberatoria. L’invenzione, la panzana,
l’avventura personale narrata per il solo gusto di piacere, per il bisogno
irresistibile di inventarsi una personalità, un ruolo, uno spessore sociale che
non esistono. Nelle mie pubblicande memorie ho dedicato loro tutto un capitolo,
ma uno solo non bastava e ho dovuto scinderli in due.
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