Diabolico
Dumas, questo scrittore un po’ mulatto (sua nonna era una “schiava” africana di
Haiti) ma più francese dei francesi, facile ad essere catturato dalle imprese
straordinarie sino a farsi cronista fuori ordinanza di un splendido
avventuriero come il nostro Garibaldi, a cui fornisce armi munizioni e camicie
rosse per la sua spedizione, impagabile creatore di avventure che inventa e
scrive senza temere di mettere al lavoro un piccolo esercito di familiari, Ghost
writers ante litteram. Innumerevoli i personaggi che hanno varcato le sue pagine
per scavalcare gli anni e diventare eroi del cinema e più tardi della
televisione, catturando adulti e bambini. Non so se i critici rigorosi, i
letterati doc, con l’eccezione di Giorgio Manganelli e Umberto Eco, continuino ancora a storcere il naso di
fronte ai suoi romanzi, ma so che, grazie anche ai media, le sue invenzioni
hanno conquistato quell’immortalità abbastanza ostica da espugnare da parte di
scrittori che hanno il grave demerito di piacere a tutti. Fra la vasta schiera
delle sue creazioni, due tengono il primato in fatto di ristampe e adattamenti
in immagini, “I tre moschettieri” e “Il conte di Montecristo”. Il primo narra
una storia, abbastanza pasticciata e inverosimile, accaduta ai tempi di Luigi
XIII, quando il grande Richelieu la fa da padrone e la bella regina Anna si
mostra un po’ troppo compiacente con un nobile inglese, per cui al pasticcio
debbono porvi riparo i tre audaci e fedelissimi moschettieri che, a loro volta,
passano in subordine rispetto al quarto intruso, l’immortale D’Artagnan, un
miles gloriosus che non vive di millantato credito ma ci sa fare davvero. Ma se
possibile il fascino di D’Artagnan passa in seconda linea rispetto a quello di
Edmond Dantès, futuro Conte di Montecristo, giovane marinaio annientato dai
nemici e beffato dalla sorte. E il momento topico, la scena madre, quella del recluso nel cartello d’If
raggiunto da un altro recluso che... ha
sbagliato percorso e anziché scavarsi una via d’uscita è finito nella cella
altrui. Parlo del misterioso abate Faria, il personaggio più singolare della
narrativa d’avventura, mentore e pedagogo del giovane marinaio piuttosto
ignorantello che trasformerà in un erudito signore, pronto ad affrontare, una
volta sfuggito dal carcere, sia il destino che i rivali. Anticipando
l’espediente di Papillon, Dantès ci riesce. Per inciso dirò che è stato questo
romanzo, letto quand’ero poco più che un bambino, a conquistato per primo la mia
fantasia, soprattutto nella prima parte, sino alla conquista del tesoro
dell’isola di Montecristo, che permetterà al marinaio di trasformarsi in un
Conte e architettare tutta una serie di arzigogolate vendette. Grande Dumas,
macchina prodigiosa di immagini e di avventure!
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