lunedì 16 novembre 2020

FARGO

 

Tre stagioni, che è come dire tre cicli, dedicati a raccontare tre storie diverse, per qualche verso apparentate al film dei fratelli Coen, che sono anche fra i produttori della serie-tv. E non solo per il titolo o per quell’orizzonte gelido, con neve e ghiaccio onnipresenti, ma anche per quell’ironia un po’ macabra evidente sin dalle prime ripetute insistenti didascalie dove si  parla di vicende rigorosamente reali, avvenute qua e là, fedelmente riproposte cambiando solo i nomi propri, insistenza che si rivela un artificio formale - ma non solo formale - per imprimere alle storie quel tanto di irrisolto, confuso, frutto di sovrapposizioni di eventi e personaggi, che è proprio delle cosiddette ”storie vere”. Altro tratto di ispirazione “fratelli Coen” è la presenza, in tutte le tre storie, di quelle ingenue quanto impegnate poliziotte che, in diversa misura, vengono sconfitte o ridimensionate da superiori protervi o cretini.

La prima delle tre stagioni si richiama da vicino ai Coen per quel personaggio interpretato da Billy Bob Thornton, ben copiato dall’analogo di “Non è un paese per vecchi”; nella seconda dominano ancora due donne, la moglie del mafioso che ne prende il ruolo e la poliziotta, abile quanto incompresa. La terza è la vicenda arruffata di due gemelli, di una truffa finanziaria, di una serie di morti per colpa di un cognome, di un tremendo manigoldo e di altro ancora. Tutte strane storie, volutamente “aperte” e parzialmente irrisolte, perché anche la realtà in fondo è sempre più o meno irresolubile, Attendiamo una quarta stagione? Sembra proprio di sì!

(Leandro Castellani)

sabato 14 novembre 2020

UNA DOPPIA VERITA'

 

Se visti e frequentati dal vero, tribunali giudici avvocati e simili sono luoghi e personaggi tutt’altro che divertenti, ma la loro rappresentazione rappresenta una delle riserve auree di cinema e tv. Cosa faremmo, noi ignari e innocenti spettatori, senza la drammatica rappresentazione dei conflitti, lotte, dibattiti e quant’altro trova ragion d’essere in quel sacro luogo deputato a dirimere tutti gli inconvenienti dell’umana convivenza? Genere inesauribile quanto fecondo. Con più o meno arte, con più o meno classe, con più o meno presenze di avvocati prestigiosi il genere giudiziario, ammannito in film e telefilm, è inesauribile, promettendo quasi sempre un intrattenimento interessante e di tutto riposo. Risparmiamoci le citazioni, da quelle illustre come ”La parola all’accusa” di Hitchock a  quelle sanamente artigianali come nei film d’ispirazione Grisham, a quelle mitiche come i telefilm con Perry Mason. Tanto, ogni volta che ci capitiamo, dopo il primo accenno  di disgusto – ancora un tribunale!!! – finiamo per esserne catturati. Lunga premessa per arrivare a parlare del film “La doppia verità”, che si presenta come tanti altri: un morto, un reo confesso, un processo. Il reo confesso è il giovanissimo figlio della vittima Belushi, l’avvocato difensore è Keanu Reeves, il giudice è un tale  sbrigativo ma attento e serioso – come tanti altri giudici di prammatica -. E c’è anche la mamma dell’assassino che è la rediviva Renée Zellweger, quasi irriconoscibile con la nuova faccia. Dibattito serrato, ben condotto, e immancabile colpo di scena sotto finale che stavolta viene adeguatamente raddoppiato nell’estremo finale. Lungi da noi svelarli tutti e due. Sarebbe crudeltà mentale.

(L.C.)

MAUPASSANT-BATTAGLIA

 

Gli incomparabili racconti di Guy de Maupassant sulla guerra franco-prussiana filtrati attraverso la matita del compianto Dino Battaglia, riuniti in elegante indispensabile volume. Battaglia scherza coi fanti e con la guerra, proiettando le storie in un’atmosfera realistica che il segno grafico rende desueta e quasi irreale, simile a un ricordo di vecchie stampe ma che si accende in minuziosi dettagli per spegnersi negli accenni grafici della matita, quasi impressionistici, o nel bianco abbacinante della campiture che agiscono da sospensione. Un artista che di Maupassant coglie gli umori, la sconfinata tristezza più che il sarcasmo antimilitarista. 


(Leandro Castellani)