Incalzate dal vento, le nuvole
solcavano il cielo veloci, prodromi di sicura tempesta. E il mare rispondeva
aggrondato. Le onde si gonfiavano sollevandosi. Seguendo il ritmo dei marosi la
piccola barca s’impennava e ripiombava giù, ogni volta evitando l’abisso. Come
la navicella di Caronte, con il suo carico di dannati verso una riva lontana,
indefinita. Verso un approdo che forse non esiste perché il vagare sulle acque
tempestose deve essere eterno per i maledetti da Dio.
Seduta a poppa, la ragazza stringeva con forza il
timone perché vento e mare non glielo strappassero via di mano. Rabbrividiva
nella sua totale nudità. La pioggia le sferzava la pelle violandone il corpo,
scorreva sui seni, s’insinuava fra i glutei. Nudo anche il giovane ai remi che
inarcava e distendeva il dorso, a ritmo sempre più veloce, alla ricerca di
un’ardua speranza di salvezza. Il remo frangeva l’acqua e, ad ogni flutto, la
prua della barca si sollevava girando a
vuoto per un breve istante, in attesa di essere riafferrata dalla nuova onda
montante. In un’era passata Gustave Dorè aveva creato nelle sue tavole
dantesche immagini altrettanto potenti: anime ignude sballottate dal fato o dal
castigo, alla deriva del mondo.
Se il mare non avesse ruggito, avrebbe
regnato il silenzio. Ma la tempesta non concedeva silenzi o meglio, tramutava i
silenzi in un muggito cupo, continuo. Dice una leggenda marinara che quell’urlo
lugubre contiene le grida d’aiuto di tutti i naviganti che hanno trovato la morte
nel mare, come un’estrema inutile invocazione di salvezza. Lo chiamano “lo
sciò”.
Altri due esseri ignudi giacevano sul
fondo della barca ed erano due corpi avvizziti di vecchi, la pelle grigia e
cascante, le vene che affioravano disegnando azzurrine geografie. La donna emetteva
un lamento smorzato, quasi un guaito, e lacrime copiose le scendevano lungo il
volto a confondersi con la salsedine del mare. L’uomo taceva: uno sguardo
severo, insondabile, su quelle acque in tormenta o forse sul nulla.
Gli sforzi del giovane vogatore erano
riusciti a strappare la feluca alla furia delle onde. La barca approdò
all’isola che era solo un ammasso di scogli, una piramide di massi gettati
laggiù, in mezzo al mare, o forse un lembo emerso da poco dalle profondità
dell’abisso, il brandello di un’Atlantide senza i suoi tesori.
I giovani trainarono la barca sulla
breve spiaggia tra gli scogli e aiutarono i due vecchi a scendere a riva... L’invereconda
nudità che i due ragazzi esibivano con grazia suonava come un’onta sui due
vecchi. La donna cercò di coprirsi i seni avvizziti, rabbrividendo umiliata, e
si affrettò a raggiungere lo scoglio più prossimo per accucciarvisi dietro come
una belva ferita, le mani incrociate sulle spalle per difendersi dal freddo che
si era fatto più intenso per quello spartiacque di roccia in mezzo al mare. Ma
il vecchio aveva rifiutato rabbiosamente ogni aiuto. Si era arrampicato di
pietra in pietra, sino al culmine, e di lì aveva preso a scrutare il mare, o il
nulla. Le acque si erano placate, come si fossero improvvisamente arrese, ed
era svanito anche il vento.
La ragazza si accostò alla vecchia:
-
Non
aver paura, mamma…
Le rispose uno sguardo smarrito,
carico di dolore. Una sofferenza discreta, schiva:
-
Figlia,
credi che tarderà molto a salire la marea?
Fu il giovane nocchiero a
risponderle, con la stesso tono smorzato di voce, come per non turbarla:
-
No,
mamma. Un’ora, forse due. Fra due ore questo scoglio sarà sommerso…
La vecchia chinò il capo:
-
Non
è bello morire così!
-
E’
la legge…
La madre sollevò il volto verso i figli
interrogandoli senza parole, solo con quello sguardo doloroso:
-
Perché?
La ragazza alzò le spalle in un gesto
d’impotenza.
-
Lo
sai, mamma. Non più genitori, non più figli. Solo noi. Noi e basta.
-
E
se volessero uccidere anche voi? Forse vogliono che il mondo finisca proprio
oggi, subito…
I due giovani non risposero. Non volevano
o non sapevano rispondere. Erano domande
più grandi di loro. Di tutto:
- L’onda comincia a salire. Pulirà il mondo…
La vecchia si è già rassegnata. Ora
non ha più freddo. Il mare si è calmato ma l’orlo della marea è già montato
sino a lambire gli scogli sommergendo di nuovo i piccoli granchi. La striscia
di sabbia è scomparsa.
La ragazza passa una mano leggera sul
capo di sua madre. Come un pudica carezza o un pudico congedo:
-
Lo
sai, mamma, se solo avessimo potuto…
-
Andate!
E’ il commiato. Arroccato sul culmine
dello scoglio più alto il vecchio guarda dinanzi a sé, come impietrito:
-
E
lui?
-
Lasciatelo,
non saprà mai accettare…
La sagoma del padre si erge sprezzante
contro il cielo. Un presagio sinistro, quasi una maledizione. La ragazza vuol tentare
un ultimo saluto:
-
Padre!
Ma il vecchio non sembra udire il
richiamo, o forse non vuole prestarvi ascolto. Resta immobile e svettante, lo
sguardo fisso dinanzi a sé, come una tragica polena, roccia anch’esso. Il sole
sta salendo e il suoi raggi si stanno facendo implacabili.
Il ragazzo prende per mano la
sorella, per ricordarle che è l’ora. Lei vorrebbe fermarsi ancora ma lui la
strattona verso la barca che si è già sollevata di un buon palmo. La marea sta
montando velocemente:
-
Addio,
figli miei, andate!
Liberata dall’approdo, la barca sta scivolando
in acqua. Qualche colpo di remi. Alle loro spalle il mare ribolle, spinto dalla
forza che sale dal profondo degli abissi. L’isolotto di scogli sta rimpicciolendo.
Dalla cima della piccola rupe, il vecchio gira lentamente il capo verso la
navicella che se ne va via. Collera, dolore, disperazione:
-
Io…
vi odio!
Il livello del mare sale ancora.
Un gabbiano volava alto, planando con
le grandi ali aperte che fendevano l’aria. Una falcata senza fine verso il
mare, mentre si spandeva nell’aria quel suo gracidio fastidioso, petulante, lugubre.
Ormai il sole era a mezzogiorno del
cielo e i vapori del calore rendevano tremuli e indefiniti i confini fra mare e
terra.
Sulla lunga striscia di sabbia
rovente, al di là delle onde, la ragazza riposava stremata, come una gemma
preziosa adagiata su un manto di velluto. Volgeva il capo in su, riparandosi la
fronte con la mano e socchiudendo gli occhi per resistere ai raggi del sole
mentre, poco lontano, suo fratello dormiva accanto alla barca, sfinito per il
lungo remare.
Il gabbiano proseguì il volo. Un
battito d’ali e una nuova lunga planata interrotta da un tuffo rapido per
ghermire un pesce che si era spinto in superficie.
Il mare era divenuto una tavola. Al
largo, ai confini dell’orizzonte, una roccia appena affiorante ne increspava appena
la superficie. Ancora pochi minuti e le acque sarebbero tornate perfettamente
immobili, senza brividi.
L’ampia scogliera delimitava quella
bava di sabbia gialla dove la loro barca si era arenata, facendole da quinta e
da confine.
Un grosso granchio rosa ruppe la
serena cadenza della risacca e riguadagnò la riva per raggiungere un faraglione
piazzato fra sabbia e onda.
Da dietro la compatta barriera di
granito che chiudeva la riva fece capolino il volto di un bimbo, sei anni,
forse sette, oltre la soglia di quella prima fanciullezza morbida e paffuta. Le
sue fattezze sembravano anticipare per qualche verso l’impronta dell’adulto già
leggibile in filigrana in quel corpicino ancora esile, con la pancia
prominente, il sesso rattrappito fra i genitali, i glutei rotondi, a contrasto con
il volto scavato, magro, le occhiaie profonde: un profilo arcigno, spigoloso,
duro, cattivo. Dice la leggenda che un bimbo può anche essere il figlio del
diavolo.
Anche il gabbiano che planava verso
la riva sembrò spaventarsi per quell’apparizione improvvisa e il suo volo ebbe
un’impennata, un colpo d’ali. Riprese quota per una nuova direzione.
La ragazza si era sollevata dalla
sabbia, di scatto. Forse il gracidio del gabbiano o quell’apparizione ostile.
Si deterse i seni e il pube, impregnati di sabbia. Il granchio rosa stava
sfiorandole la coscia, ma lei non si ritrasse. La sua attenzione era tutta sul
bambino che le si stava avvicinando, sempre sorridendo in quel modo strano,
maligno. Un bambino. Come? Perché? Ma non erano scomparsi dal mondo tutti i
bambini?
-
Lo
sai, mamma. Non più genitori, non più figli. Solo noi. Noi e basta.
Com’era riuscito quel bimbo a
sfuggire al nuovo ordine, a sottrarsi alla legge? Portava in sé il marchio
della morte o quella di un’impronunciabile speranza?
La massa infocata del sole divampava
enorme a incendiare il mondo, sino a cancellarlo.
Noi, gli ultimi.
(Leandro Castellani, 1968)
Nessun commento:
Posta un commento