Oggi
ho ritrovato un mio “pezzullo” scritto alla veneranda età di vent’anni e pubblicato
sul periodico “Frusaglia”, nato dalla passione di in gruppo di amici, primi fra
tutti Enzo Amadei, direttore responsabile, e Luciano Anselmi principale
sostenitore. E’ un “pezzullo” sempliciotto, un po’ ingenuo, già malato di esuberanza
verbale. Ve lo ripropongo tal quale, scusate la presunzione:
“Eccomi
qua a strofinare la mia penna su un candido foglio di carta. E’ strano: basta
appoggiare il pennino sul bianco che subito gli vien voglia di partire per i
suoi buffi ghirigori che infilzano i pensieri come farfalle sulla tavoletta
dell’entomologo. Un pensiero rosa ed ecco una frase frizzante, scoppiettante,
zeppa di parole grassocce e spiritose, con la faccia sudata dal ridere, un
pensiero nero ed ecco una composta teoria di parole in abito scuro e cappello
duro; un pensiero grigio, d’ordinaria amministrazione e subito un drappello di
parole curve sulla destra, perfettamente allineate, con il metro pieghevole
nella tasca sinistra e le tavole per i logaritmi nel taschino interno della
giacca. Poi vi sono i pensieri che odorano di gelsomino, quelli primaverili col
vestito fantasia, i pensieri amorosi, a volte timidi, con le ciglia basse, a
volte audaci con un mazzo di garofani rossi in mano e le vocali vibranti
tenerezza. E’ un grande miracolo quello dei pensieri che s’infilzano sulla
carta bianca, docili, obbedienti come scolaretti. (...)
Con
la macchina da scrivere mi comporto così. Scrivo senza guardare mai il foglio,
ma solo la tastiera bianca con il mio dito medio che vi intreccia sopra una
specie di danza, una benedizione continua. Non so scrivere in altro modo: la
mano sinistra si solleva solo ogni tanto per premere il tasto delle maiuscole
col pollice o per far scorrere ad ogni riga il carrello con uno strano fruscio
metallico. E la mano destra balla sulla tastiera per seguire il dito medio che
batte: perché scrivo con un dito solo, ma vado veloce lo stesso. Ora ho
cambiato il foglio e intanto ho pensato una storiella. Se il mio dito medio si
innamorasse di una lettera? Mettiamo dell’A, o della Z. Infatti per me le
lettere hanno ciascuna un volto. L’A, per esempio, me la immagino, anzi la
vedo, come una ragazza formosa, dai capelli rossi, la Z come una piccola
ragazza bruna, dagli occhi profondi di quel nero che a tratti sembra azzurro e
a volte ha dei riflessi di metallo. E in mezzo all’alfabeto tutta una
repubblica di brutte e belle figure. La G è antipatica come un ministro, uno di
quelli che fanno vedere al cinema o sui giornali e che sembrano alti tre metri
sullo schermo del cinemascope e invece non è vero, la D è una massaia con la
borsa della spesa, la L un giocatore di calcio, la F fa la 1° liceale, se
quest’anno è promossa, un altr’anno va in seconda. Non ditemi perché: non
saprei spiegarlo, ma solo che ci pensi un poco me le vedo così. Immaginiamo
dunque che il mio dito medio si innamori della A o della Z. La danza che
intreccia sulla tastiera avrebbe fine ed esso se ne starebbe per ore con la sua
lettera preferita: AAAAAAA oppure ZZZZZZZ. La letteratura sarebbe rovinata ma
il dito medio della mia mano destra sarebbe felice. E invece no: strepita,
incalza, martella, corre, fa il diavolo a quattro sulla tastiera, incrocia
benedizioni e crea parole rosse o nere sulla carta bianca.”
(Leandro Castellani)
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