Di Carolina Invernizio, prolifica
scrittrice piemontese che furoreggiò nella seconda metà dell’ottocento e inizio
novecento, si conosce soprattutto “Il bacio di una morta”, grazie al cinema
popolare degli anni Cinquanta. Ma è solo una fra le cento (diconsi cento)
storie nate dalla penna di questa gentile signora decisamente grafomane.
Carolina Invernizio, se non la capostipite è certo la più popolare
rappresentante di quel “genere” che sotto vari nomi – romanzo s’appendice,
feuilleton, trivialliteratur... - rappresentò il lato più aggredibile della
narrativa ottocentesca, il controcanto popolare dei vari Alessandro Manzoni,
Tommaso Grossi, Walter Scott, Charles Dickens eccetera. Dei cento libri scritti
da Carolina ne ho letti appena una decina, e debbo dire che rappresentano il
non plus ultra di una narrativa noir e insieme romantica. Il lungo romanzo “La
felicità nel delitto”, ultima mia lettura, è un po’ il compendio di tutto un
universo popolar-borghese, ritratto per la gioia di lettori e sopratutto di
lettrici alla ricerca di forti passioni e accadimenti straordinari. Dovessimo
indicare un corrispettivo attuale dovrebbe rifarci a quelle serie televisive di
produzione spagnola o sudamericana dove, in un gioco di accadimenti
straordinari, si seguono passo passo, talora con estenuante lentezza da lumaca,
la vita e le morti di intere generazioni, tipo “Il segreto” per fare un esempio.
Un compensativo di quelle storie troppo realistiche e insulse, di quella
mancanza di fantasia, di quegli approcci aggressivi e un po’ volgarucci di
altre fiction (e romanzi) alla moda. Ma
torniamo al romanzo: raccontarlo è quasi impossibile o necessiterebbe di un
numero di pagine non inferiore a quelle occupate dal testo. Si comincia con un
delitto: una morte violenta ad opera di una dama velata, che uccide il
presumibile sposo lasciando una bimba a piangere su cadavere. Di qui si parte:
ma piovono velocemente nuovi personaggi e di ognuno di essi, con digressioni
che diventano altrettanti romanzi nel romanzo, si narrano vicende, antecedenti
ed eredi, tutti ingarbugliati in legami di sangue o di affetti. Fanciulle
bellissime, virginali quanto disgraziate, preda di giovinotti che dicono di
amarle e invece le seducono; maliarde con una doppia vita - adescatrici e
ragazze illibate -, donne di mezza età con l’animo di mezzane corruttrici
oppure di sante, perverse o consacrate al bene. E amori che durano tutta una
vita, con agnizioni e ricongiungimenti inattesi. Gli accidenti si moltiplicano,
la fantasia esuberante della Invernizio non concede tregua, ci riserva a ogni
pagina nuove sorprese. E il delitto non paga, non basta una vita di espiazione
a evitare il rimorso e il castigo. Un Dostoesky in pillole. Si rida fin che si
vuole. Ma come non riconoscere l’esuberanza delle invenzioni e la maestria nel
rappresentare un mondo di colori accesi, di passioni indomabili, di bianchi e
neri senza mezze tinte, quasi una funzione esorcizzante nei confronti della
letteratura rosa, evasiva, borghese e femminile di questa indomita piemontese?
(Leandro Castellani)
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