venerdì 21 ottobre 2016

CAROLINA E LE STORIE



Di Carolina Invernizio, prolifica scrittrice piemontese che furoreggiò nella seconda metà dell’ottocento e inizio novecento, si conosce soprattutto “Il bacio di una morta”, grazie al cinema popolare degli anni Cinquanta. Ma è solo una fra le cento (diconsi cento) storie nate dalla penna di questa gentile signora decisamente grafomane. Carolina Invernizio, se non la capostipite è certo la più popolare rappresentante di quel “genere” che sotto vari nomi – romanzo s’appendice, feuilleton, trivialliteratur... - rappresentò il lato più aggredibile della narrativa ottocentesca, il controcanto popolare dei vari Alessandro Manzoni, Tommaso Grossi, Walter Scott, Charles Dickens eccetera. Dei cento libri scritti da Carolina ne ho letti appena una decina, e debbo dire che rappresentano il non plus ultra di una narrativa noir e insieme romantica. Il lungo romanzo “La felicità nel delitto”, ultima mia lettura, è un po’ il compendio di tutto un universo popolar-borghese, ritratto per la gioia di lettori e sopratutto di lettrici alla ricerca di forti passioni e accadimenti straordinari. Dovessimo indicare un corrispettivo attuale dovrebbe rifarci a quelle serie televisive di produzione spagnola o sudamericana dove, in un gioco di accadimenti straordinari, si seguono passo passo, talora con estenuante lentezza da lumaca, la vita e le morti di intere generazioni, tipo “Il segreto” per fare un esempio. Un compensativo di quelle storie troppo realistiche e insulse, di quella mancanza di fantasia, di quegli approcci aggressivi e un po’ volgarucci di altre fiction (e romanzi) alla  moda. Ma torniamo al romanzo: raccontarlo è quasi impossibile o necessiterebbe di un numero di pagine non inferiore a quelle occupate dal testo. Si comincia con un delitto: una morte violenta ad opera di una dama velata, che uccide il presumibile sposo lasciando una bimba a piangere su cadavere. Di qui si parte: ma piovono velocemente nuovi personaggi e di ognuno di essi, con digressioni che diventano altrettanti romanzi nel romanzo, si narrano vicende, antecedenti ed eredi, tutti ingarbugliati in legami di sangue o di affetti. Fanciulle bellissime, virginali quanto disgraziate, preda di giovinotti che dicono di amarle e invece le seducono; maliarde con una doppia vita - adescatrici e ragazze illibate -, donne di mezza età con l’animo di mezzane corruttrici oppure di sante, perverse o consacrate al bene. E amori che durano tutta una vita, con agnizioni e ricongiungimenti inattesi. Gli accidenti si moltiplicano, la fantasia esuberante della Invernizio non concede tregua, ci riserva a ogni pagina nuove sorprese. E il delitto non paga, non basta una vita di espiazione a evitare il rimorso e il castigo. Un Dostoesky in pillole. Si rida fin che si vuole. Ma come non riconoscere l’esuberanza delle invenzioni e la maestria nel rappresentare un mondo di colori accesi, di passioni indomabili, di bianchi e neri senza mezze tinte, quasi una funzione esorcizzante nei confronti della letteratura rosa, evasiva, borghese e femminile di questa indomita piemontese? 
(Leandro Castellani)

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