Uno dei sentimenti che accompagnano la fine di un corso di studi, specie se un po’ sopportati o subiti, è il pensiero che quello o quell’altro libro potrò archiviarli e non mi occuperò più di trigonometria o di chimica, libero finalmente di seguire la mia indole forse un po’ repressa. Non so se avete mai provato un sentimento del genere, io sì. Cambiare strada! Ai miei tempi io lo feci lasciandomi alle spalle l’onorata licenza di Liceo Scientifico per tornare alle Lettere, con il conforto di mia madre e di mio cugino Lando. Un sentimento analogo - o forse profondamente diverso - mi conforta e mi culla oggi avendo preso la decisione di pianarla con la mia ansia di tradurre in libri ogni mia fantasia per poi offrirli a qualche volonteroso quanto avventato editore. Basta, ho dato alle stampe oltre cinquanta libri e voglio che il mio ultimo sia proprio questo: “Storia del mondo in versi e versacci.” Cosa pretendere di più? Riassumere la storia del modo in x pagine, dalla nostra Terra che naviga nello spazio alle prospettive del futuro a venire. E poi allegarci gli altri “versi e versacci” che scrissi oltre mezzo secolo fa per narrare, o meglio rinarrare, la storia di Robinson Crusoe, già narrata da mio padre in un film muto nel 1920. Robinson, l’eroe della rinuncia ad ogni consorzio umano, lo schiavo o forse il padrone del suo destino: gran finale per l’avventura letteraria di Leandro Castellani. Spero che in un futuro più o meno remoto, individuate da qualche avventuroso disseppellitore negli archivi o in qualche biblioteca, le mie opere, ormai fuori diritti, saranno la scoperta del secolo: ma di quale secolo? Tutte da rileggere tutte da ristampare in edizione lusso e su carta patinata le opere di questo Leandro Castellani, grande autore di x secoli fa. E giù a scrivere recensioni, a indire convegni di studio, a promuovere edizioni popolari e scolastiche eccetera eccetera. E i registi e gli sceneggiatori giù a riscoprirmi, anche se i miei libri, nati molto spesso ai margine del mio lavoro, puntano sulla parola e non sono troppo adatti a volgarizzazioni cinetelevisive. (continua)
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