venerdì 23 ottobre 2015

LA CONTESSA DI KAROLYSTRIA



Nella prima parte del  mio “Umorismo e comicità”, rassegna degli umoristi del Novecento, ho citato come precursori il giornalista Luigi Arnaldo Vassallo, nome de plume Gandolin, autore di scenette buffe quanto prevedibili nonché dell’epopea di poveri travet, e Carlo Lorenzini, in arte C.Collodi, padre del personaggio più illustre della narrativa italiana, Pinocchio. Mi accorgo tardivamente di aver obliato Antonio Ghislanzoni (1824-1893). Come?! Tacciare di precursore dell’umorismo novecentesco il librettista di Giuseppe Verdi, il padre della Celeste Aida (“O terra addio, addio valle di pianti…”) ? Non si tratterà mica di quel Ghislanzoni che, nella sua carriera, compose una cinquantina di libretti d’opera, oltre a fare il paroliere per Ponchielli e Puccini, raggiungendo il top personale proprio con l’Aida del musicista di Busseto?.. E invece sì, proprio lui. Un umorista che nel suo romanzo forse più noto – almeno all’epoca – cioè “La contessa di Karolystria”, narrò l’avventura tragicomica di una nobildonna malandrina travolta in mille peripezie e imprevisti: fuga dal consorte pazzoide, scontro con banditi, travestimenti vari, incontro con gli zingari e con l’uomo più grasso del mondo, caccia all’erede di re Finimondo, con contorno di titolati vari, preti, porporati, cavalli, profittatori e così via. Penna leggera, umorismo non volgare, frequenti ammiccamenti al lettore, direttamente apostrofato qua e là in tono semiserio. Insomma un’operetta da ripescare per una lettura in piacevole allegria. E bravo Ghislanzoni ! E gli sventurati Aida e Radamès? A quelli ci ha pensato Verdi.… 
                                                                                                  
(Leandro Castellani)

giovedì 22 ottobre 2015

CENERENTOLA



Partito con lo shakespeariano “Enrico V”, di cui fu debuttante regista cinematografico nonché interprete, planato attraverso un ottimo “Amleto” in abiti ottocenteschi, dopo prove discontinuem talora ragguardevoli e talora decisamente azzardate, Kenneth Branagh è atterrato nei territori delle premiata ditta Disney per dirigere questa “Cenerentola”. Da Shakespeare a Perrault, un bel salto, non c’è che dire! Il film s’inquadra in quel filone abbastanza recente reso praticabile e appetibile dallo straordinario  sviluppo della tecnica digitale e dalla nuova era dei super-effetti speciali. Un filone che ha permesso la fioritura di un nuovo genere, la fantasy, e la riesumazione di molti “classici della fiaba”, dalla Bella addormentata a Biancaneve, a Cappuccetto Rosso, alla Bella e la bestia e così via, ogni volta con un abuso di sper-effetti e la partecipazione di grandi dive, da Angelina Jolie a Charlize Theron,  in veste di supercattive.
Anche in questa “Cenerentola” la grande supercattiva non manca ed è Cate Blanchett, come non mancano gli effetti speciali a rendere possibili le magie della Fata Madrina (Helena Bonham Carter) e la moltiplicazione delle masse.
Ma il film ha almeno due pregi: quello di aver prestato fede alla fiaba, con molta fedeltà e appena un pizzico d’ironia, e quello di non aver usato gli immancabili “effetti speciali” a fini …sovversivi, da assurdo videogioco. Merito di Kenneth Branagh, senza dubbio, ma anche – vorremmo dire soprattutto – di quel grande creatore di contesti scenografici che è il nostro Dante Ferretti, che ancora una volta dà concreta realtà a un esuberante mondo fantastico, ma trattenuto nella sfera del verosimile: quel palazzo reale grave, imponente e sfarzoso, quella scalinata un po’ corrosa dal tempo, la bicocca di Cenerentola – e quella straordinaria soffitta – in cui si mescolano ricordi e sogni. Un mondo di paesaggi, architetture, arredi, rutilante e immaginifico a cui ben si sposano dei costumi chiassosi ma non irritanti, a colori sgargianti… Dunque una rilettura piacevole, con un omaggio ai “topini” della vecchia versione a cartoni offertaci molti anni fa dalla stessa premiata ditta.  E Cate Blanchett? Fa la cattiva, come da copione.

mercoledì 21 ottobre 2015

Leandro Castellani PASSIONE le grandi storie d’amore in rima




Siamo tutti più o meno travolti dalle passioni, quelle di serie A ma anche quelle di serie B e C  e fino alla Z: per una squadra di calcio, una collezione di sottobicchieri da birra, la ricerca delle pizzerie, la visita ai musei o altro. Ma siamo tutti sfiorati dalla grande passione, quella delle storie d’amore immortali, esaltate dai poeti – primo in classifica Dante, seguito a ruota da Shakespeare – oppure dai pittori, dai romanzieri, dai musicisti, dai cineasti... Questo libro di poesie - o chiamatele filastrocche che è meglio - ne illustra ventidue, assortite fra Bibbia, romanzi celebri, poemi epici, tragedie, melodrammi lirici, e lo fa in modo irriverente e con il dovuto umorismo: ci sono i precursori Adamo ed Eva e poi Paolo e Francesca, Giulietta e Romeo, Renzo e Lucia, Cesare e Cleopatra, Sansone e Dalila, e tante celeberrime opere liriche, dalla Traviata a Rigoletto, da Carmen alla Cavalleria rusticana… Ad ogni poesiola segue una nota, un po’ dotta e un po’ divertiva: le due cose possano anche andare assieme. Un libretto da leggersi in un soffio, per confermare le nostre passioni  e divertircisi sopra…

L'UNICO PAPA' CHE HO



Sabato 24 ottobre, nel delizioso scrigno romano dell’Arciliuto, Donatella affronta da sola, senza il consueto apporto delle sue valide “Zebre a pois”, il repertorio di suo padre, un repertorio molto meno frivolo di quanto suggeriscano i titoli  - dal “Giovanotto matto” alla “Zebra a pois” - frutto di un’erudizione jazzistica e di un’ispirazione autentica a cui le mille facce di un’artista eclettico come Lelio Luttazzi, compositore, jazzista, pianista raffinato, attore e showman, hanno fatto addirittura velo.
In attesa dell’esibizione di Donatella vale la pena di rileggere le pagine, volta a volta argute, struggenti, schive e sincere, che ella ha dedicato a suo padre, “L’unico papà che ho” : “…sono appunti, pochi ricordi ma vividi, ricordi di risate, ricordi di piacevolezze fregenistiche e leggere, in cui forse il Lelio “leggero” galleggia per anni tra musica, vino buono benessere feste fan, nascondendo il tormento che quel Lelio che ama Amstrong ha sempre sofferto, proprio come soffre chi, sensibile e amante del bello, è costretto a confrontarsi con le brutture (tante) della vita.”
Un libro prezioso, leggero ma non futile, divertente ma anche struggente, ironico e disincantato, un po’ come la musica di Lelio che Donatella si accinge ancora una volta a far rivivere con la sua bella voce di duttile vocalist. Un libro ed un concerto da non perdere!