Nella
prima parte del mio “Umorismo e
comicità”, rassegna degli umoristi del Novecento, ho citato come precursori il
giornalista Luigi Arnaldo Vassallo, nome de plume Gandolin, autore di scenette
buffe quanto prevedibili nonché dell’epopea di poveri travet, e Carlo
Lorenzini, in arte C.Collodi, padre del personaggio più illustre della
narrativa italiana, Pinocchio. Mi accorgo tardivamente di aver obliato Antonio
Ghislanzoni (1824-1893). Come?! Tacciare di precursore dell’umorismo
novecentesco il librettista di Giuseppe Verdi, il padre della Celeste Aida (“O
terra addio, addio valle di pianti…”) ? Non si tratterà mica di quel Ghislanzoni
che, nella sua carriera, compose una cinquantina di libretti d’opera, oltre a
fare il paroliere per Ponchielli e Puccini, raggiungendo il top personale proprio
con l’Aida del musicista di Busseto?.. E invece sì, proprio lui. Un umorista
che nel suo romanzo forse più noto – almeno all’epoca – cioè “La contessa di
Karolystria”, narrò l’avventura tragicomica di una nobildonna malandrina
travolta in mille peripezie e imprevisti: fuga dal consorte pazzoide, scontro
con banditi, travestimenti vari, incontro con gli zingari e con l’uomo più
grasso del mondo, caccia all’erede di re Finimondo, con contorno di titolati
vari, preti, porporati, cavalli, profittatori e così via. Penna leggera,
umorismo non volgare, frequenti ammiccamenti al lettore, direttamente apostrofato
qua e là in tono semiserio. Insomma un’operetta da ripescare per una lettura in
piacevole allegria. E bravo Ghislanzoni ! E gli sventurati Aida e Radamès? A
quelli ci ha pensato Verdi.…
venerdì 23 ottobre 2015
giovedì 22 ottobre 2015
CENERENTOLA
Partito
con lo shakespeariano “Enrico V”, di cui fu debuttante regista cinematografico
nonché interprete, planato attraverso un ottimo “Amleto” in abiti
ottocenteschi, dopo prove discontinuem talora ragguardevoli e talora decisamente
azzardate, Kenneth Branagh è atterrato nei territori delle premiata ditta
Disney per dirigere questa “Cenerentola”. Da Shakespeare a Perrault, un bel
salto, non c’è che dire! Il film s’inquadra in quel filone abbastanza recente
reso praticabile e appetibile dallo straordinario sviluppo della tecnica digitale e dalla nuova
era dei super-effetti speciali. Un filone che ha permesso la fioritura di un
nuovo genere, la fantasy, e la riesumazione di molti “classici della fiaba”,
dalla Bella addormentata a Biancaneve, a Cappuccetto Rosso, alla Bella e la
bestia e così via, ogni volta con un abuso di sper-effetti e la partecipazione
di grandi dive, da Angelina Jolie a Charlize Theron, in veste di supercattive.
Anche
in questa “Cenerentola” la grande supercattiva non manca ed è Cate Blanchett,
come non mancano gli effetti speciali a rendere possibili le magie della Fata Madrina
(Helena Bonham Carter) e la moltiplicazione delle masse.
Ma
il film ha almeno due pregi: quello di aver prestato fede alla fiaba, con molta
fedeltà e appena un pizzico d’ironia, e quello di non aver usato gli
immancabili “effetti speciali” a fini …sovversivi, da assurdo videogioco.
Merito di Kenneth Branagh, senza dubbio, ma anche – vorremmo dire soprattutto –
di quel grande creatore di contesti scenografici che è il nostro Dante Ferretti,
che ancora una volta dà concreta realtà a un esuberante mondo fantastico, ma
trattenuto nella sfera del verosimile: quel palazzo reale grave, imponente e
sfarzoso, quella scalinata un po’ corrosa dal tempo, la bicocca di Cenerentola
– e quella straordinaria soffitta – in cui si mescolano ricordi e sogni. Un
mondo di paesaggi, architetture, arredi, rutilante e immaginifico a cui ben si
sposano dei costumi chiassosi ma non irritanti, a colori sgargianti… Dunque una
rilettura piacevole, con un omaggio ai “topini” della vecchia versione a cartoni
offertaci molti anni fa dalla stessa premiata ditta. E Cate Blanchett? Fa la cattiva, come da
copione.
mercoledì 21 ottobre 2015
Leandro Castellani PASSIONE le grandi storie d’amore in rima
Siamo
tutti più o meno travolti dalle passioni, quelle di serie A ma anche quelle di
serie B e C e fino alla Z: per una
squadra di calcio, una collezione di sottobicchieri da birra, la ricerca delle
pizzerie, la visita ai musei o altro. Ma siamo tutti sfiorati dalla grande
passione, quella delle storie d’amore immortali, esaltate dai poeti – primo in
classifica Dante, seguito a ruota da Shakespeare – oppure dai pittori, dai
romanzieri, dai musicisti, dai cineasti... Questo libro di poesie - o
chiamatele filastrocche che è meglio - ne illustra ventidue, assortite fra
Bibbia, romanzi celebri, poemi epici, tragedie, melodrammi lirici, e lo fa in
modo irriverente e con il dovuto umorismo: ci sono i precursori Adamo ed Eva e
poi Paolo e Francesca, Giulietta e Romeo, Renzo e Lucia, Cesare e Cleopatra,
Sansone e Dalila, e tante celeberrime opere liriche, dalla Traviata a
Rigoletto, da Carmen alla Cavalleria rusticana… Ad ogni poesiola segue una
nota, un po’ dotta e un po’ divertiva: le due cose possano anche andare
assieme. Un libretto da leggersi in un soffio, per confermare le nostre
passioni e divertircisi sopra…
L'UNICO PAPA' CHE HO
Sabato
24 ottobre, nel delizioso scrigno romano dell’Arciliuto, Donatella affronta da
sola, senza il consueto apporto delle sue valide “Zebre a pois”, il repertorio
di suo padre, un repertorio molto meno frivolo di quanto suggeriscano i titoli - dal “Giovanotto matto” alla “Zebra a pois” -
frutto di un’erudizione jazzistica e di un’ispirazione autentica a cui le mille
facce di un’artista eclettico come Lelio Luttazzi, compositore, jazzista,
pianista raffinato, attore e showman, hanno fatto addirittura velo.
In
attesa dell’esibizione di Donatella vale la pena di rileggere le pagine, volta
a volta argute, struggenti, schive e sincere, che ella ha dedicato a suo padre,
“L’unico papà che ho” : “…sono appunti, pochi ricordi ma vividi, ricordi di
risate, ricordi di piacevolezze fregenistiche e leggere, in cui forse il Lelio
“leggero” galleggia per anni tra musica, vino buono benessere feste fan,
nascondendo il tormento che quel Lelio che ama Amstrong ha sempre sofferto,
proprio come soffre chi, sensibile e amante del bello, è costretto a
confrontarsi con le brutture (tante) della vita.”
Un
libro prezioso, leggero ma non futile, divertente ma anche struggente, ironico
e disincantato, un po’ come la musica di Lelio che Donatella si accinge ancora
una volta a far rivivere con la sua bella voce di duttile vocalist. Un libro ed
un concerto da non perdere!
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