mercoledì 28 febbraio 2024

LEANDRO CASTELLANI - CINEMA E BIBBIA (1994)

 

 

 


In un singolare e-book - PARLIAMO DI CINEMA - edito secolo fa ma tuttora presente su Amazon, raccolsi una serie di saggi di varia estensione, scritti tra il 1995 e il 2000 per prestigiose riviste di cultura o per importanti seminari e convegni. Li riprodurrò da oggi in ordine di stesura

 

CINEMA E BIBBIA

(1994)


La La
"biblia pauperum" - i grandi cicli d'affreschi delle nostre chiese romaniche, quelli di un anonimo pittore o quelli di Giotto -; le storie della creazione e del peccato originale scolpite sugli stipiti della Cattedrale di Chartres; le sacre rappresentazioni di Oberammergau o di Cantiano, con quei popolani vestiti da guerrieri e il garzone del macellaio che interpreta Cristo, i presepi napoletani del settecento, densi di artigiani pastori contadini e la Sacra Famiglia riparata da un rudere romano sotto un cielo gremito di stelle e di angeli.

Tutte espressioni di un'arte popolare - cioè per molti, per la gente - che da sempre e su vari livelli di consapevole espressività, è servita a raccontare o ricordare l'episodica del sacro, a destare la commozione, cioè ad incidere sull'emotività, nel senso più nobile del termine, a "edificare" e dar "buoni frutti". Ogni artista - blasonato, anonimo o naif - mescola in un personalissimo tutt'uno il messaggio della Bibbia con la propria visione di uomo, il momento storico che sta vivendo con i sentimenti della gente, i giudizi e i pregiudizi dei contemporanei.

L'arte popolare ha da sempre "dato una mano", in questa forma singolare, all'evangelizzazione e alla catechesi.

E il cinema? Anche il cinema è un'arte popolare - cioè, ripetiamolo a scanso d'equivoci, "per molti" - ma quando si avvicina ai temi del sacro lo fa talvolta per illustrare, commuovere, talvolta per sconcertare, per scandalizzare addirittura.

Già, perché c'è una differenza: il Presepe, gli affreschi medievali, i cicli pittorici della Riforma tridentina, le sacre rappresentazioni popolari nascono nell'alveo di una cultura fortemente impregnata di valori cristiani, di cui l'artista è portavoce consapevole, investito in vario modo e a vario titolo in un compito di vera e propria evangelizzazione. Anche nelle realizzazioni più personali e forse devianti non c'è mai netta opposizione o un intento dissacratorio.

Il cinema nasce in un contesto culturale variegato, si nutre di una visione del mondo e della vita talora assai lontana da quelli che uno spirito religioso reputa autentici valori, il chè non può non influenzare in vario modo le stesse rappresentazioni del sacro che la cosiddetta Settima Arte tenta di dare e che talora con tali valori possono entrare persino in conflitto.

Cecil B.De Mille, autore dei Dieci comandamenti (1956) e iniziatore ufficiale del ciclo biblico-hollywoodiano, scopre nelle storie del Vecchio Testamento, già frequentate sin dagli anni del "muto", una miniera inesauribile, l'occasione per una sorta di "meravigliosa"telenovela antelitteram, con quelle Tavole della Legge scolpite da un divino raggio laser e quelle acque del Mar Rosso che si ritirano, in maniera così prodigiosa, al comando del "mago" Mosè per consentire il passaggio del popolo di Dio e poi ripiombare sull'esercito egiziano.

Ma come negare il fatto che film come questo - vecchio ormai di quasi quarant'anni - abbiano contribuito efficacemente a far conoscere pagine dell'Antico Testamento non troppo frequentate dal mondo cattolico; come negare il tentativo un po' magniloquente ma non insincero di "commuovere" lo spettatore e farlo riflettere in qualche modo sul lungo dialogo fra l'uomo e il suo Creatore? E come non avvertire che la forma di religiosità a cui quel film si richiamava fosse strettamente imparentata con la religiosità popolare in essere negli stessi anni, dal gusto delle immagini sacre agli atteggiamenti della statuaria religiosa, e così via? Dunque un'incidenza sul sentimento e sul costume religioso non troppo dissimile dalle forme paraliturgiche e d'arte sacra dello stesso momento storico ma forse più eloquente ed efficace. Eppure, se si eccettuano le incursioni che risalgono agli anni del muto, o l'episodio De Mille, nonchè la Bibbia illustrata di De Laurentiis ed ora la Bibbia-Bernabei, il cinema non ha mai raccontato troppo dell'Antico Testamento...

E forse nessuna di queste pagine filmate è stata in grado di incidere profondamente sullo spettatore tanto da costituire un'autentica esperienza religiosa, proprio perché nessun autore a tutt'oggi ha saputo o voluto ripercorrere sino in fondo il cammino dell'anonimo scalpellino medioevale: riconoscere, attraverso un lavoro fatto preghiera, il messaggio biblico nel proprio presente. Si è rimasti sempre sul piano di un' "illustrazione" più o meno corretta e "doverosa", ma comunque declinata al "passato remoto".

Più fecondi e vissuti gli interventi sul Nuovo Testamento, sul Vangelo. Ogni regista, anche il più "decorativo" e meno problematico, nel momento in cui si appresta ad affrontare la vita di Cristo, non può fare a meno di rivolgersi la domanda: chi è Gesù per me? E il quesito si ripercuote fatalmente sullo spettatore, anche sul più "lontano" e distratto, lo rimette in discussione, lo interroga.

Certo, con differenti accentuazioni. Ma anche nelle espressioni cinematografiche più fredde o di maniera il racconto della vita di Cristo può trasformarsi in esperienza autenticamente religiosa. E' quanto accade del resto durante le "sacre rappresentazioni popolari" ancora in vita, anche nelle più goffe e ingenue. Si ha un bell'essere "distaccati" e "superiori" di fronte alla precarietà della messa in scena, all'approssimazione dei costumi, alla goffaggine degli interpreti. Sia pure per un solo istante quella "rappresentazione" può trasformarsi in "evocazione" di una vicenda più grande, dell'evento salvifico, del sacrificio di Cristo. E allora la commozione sgorga spontanea e irrefrenabile. E con la commozione, la riflessione, il richiamo ai significati profondi, la richiesta prepotente di una revisione di vita e di pensieri.

Allo stesso titolo direi che ogni film su Gesù può costituire, nel suo complesso o in alcuni momenti di grazia, un'esperienza religiosa.

Intanto perchè propone ad ognuno di noi il confronto fra quel Gesù e il "nostro": il Gesù raccontato dal regista può anche inizialmente sconcertarci, addirittura irritarci - perchè quel volto, quei gesti, quel contesto insolito? - ma poi ci forza a rileggere e ripensare parole, episodi, azioni che conosciamo da sempre e dunque abbiamo sistemato - e forse rimosso - in una visione di maniera, come una consuetudine ereditata dall'infanzia che non coinvolge più il nostro travaglio quotidiano di adulti.

In questo senso si potrebbe affermare per assurdo che le rappresentazioni più "povere", o approssimative o infedeli, possono rivelarsi le più feconde, perché ci obbligano a rimettere in discussione e dunque a ripensare e rivivere il "nostro" Gesù.

La prova del nove? Due "vite di Cristo" narrate dal cinema, entrambe interessanti e valide: Zeffirelli fa ritrovare alle cosiddette "anime pie" i momenti topici, i volti, gli atteggiamenti, addirittura la tradizione iconografica a cui siamo stati adusi, dagli anni della Riforma tridentina sino alla vigilia del Vaticano II. Accarezza e blandisce il nostro spirito con una buona dose di commozione, rinfrescando i ricordi catechistici giovanili. Al contrario, collocando attorno a un Cristo enigmatico i volti dei nostri contemporanei poveri, il mondo degli "esclusi", il "Gesù" di Pasolini ci sconcerta forse, ma ci impegna e ci chiama in causa.

Lo stesso valore provocatorio che possono avere per un giovane le sequenze di Jesus Christ Superstar, un Gesù fratello e amico riscoperto a ritmo di rock, o addirittura alcune pagine del “blasfemo” Ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese.

Il fatto che i film sulla Bibbia, e sulla vita di Gesù in particolare, punteggino tutta la storia del cinema nel suo arco ormai secolare, è una riprova dell'interesse per una tematica che continua ad essere centrale per l'esperienza umana, un'occasione ricorrente di richiamo a valori che certo non tutti gli artisti interpretano e vivono allo stesso modo ma da cui si sentono comunque interpellati. E l'incidenza di questi film ha pur sempre una cifra positiva, provoca un impatto che non si può non chiamare religioso, nel senso di un richiamo a una scala di valori assai lontani da quelli che il nostro tempo - e l'arte che ne celebra i fasti - ha posto ai vertici della sua gerarchia: il successo, il denaro, il sesso, l'effimero, la violenza come legge del più forte nei rapporti fra gli uomini e fra le nazioni. Ogni film su Cristo invita in qualche modo lo spettatore a porsi una serie di perché: perché la violenza, perché il sesso, perché il denaro, perché il successo, perché la legge del più forte?, quindi a rimettere intimamente in discussione tali "punti di mira". Gesù abita fra noi? E' la stessa domanda che si poneva Giotto. E rispondeva ritrovando Gesù nel proprio tempo, in mezzo alla città degli uomini, fra le torri della civiltà dei comuni.

La conclusione è prossima al punto di partenza. Il film a tema religioso o biblico - espressione di quel linguaggio popolare che è il cinema - talvolta è puro e semplice tentativo d'illustrazione, più o meno sincero, talora ricerca vissuta e sofferta, talora proposta o provocazione polemica. E dunque, volta a volta, può istruirci, stimolarci, provocarci, scandalizzarci forse. Ma ogni provocazione che rompa la scorza inerte dell'indifferenza ha una valenza religiosa. O potrebbe averla. 

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