lunedì 1 maggio 2023

LEANDRO CASTELLANI - FANTASTORIA D'ITALIA


”Questa mattina mi son svegliato” – per fare il verso alla canzone evergreen - con la voglia di ripensare alla storia del mio paese, cioè l’Italia, da cent’anni a questa parte, cioè da quando direttamente o indirettamente ci ho avuto qualcosa a che fare. Una specie di ricerca del mio background?  Ci posso provare, anche se l’impresa sarà ardua, spericolata e decisamente inutile.

L’Italia si sveglia dal suo malefico letargo sabaudo-fascista con la fine del sanguinoso secondo conflitto mondiale. Franata la fragile crosta di comportamenti e regole, dettate o imposte durante la ventennale parentesi del regime fascista, l’unico legame che regge  il comune sentire e le norme civili del convivere resta di fatto solo quello costruito dalla religione e dalla prassi cattolica nel corso dei secoli, sia - oppure non sia come appurato da Lorenzo Valla –  colpa della fantomatica e maldestra “donazione costantiniana” deprecata anche da Dante: “Ahi, Costantin di quanto mal fu matre…”. Non parlo della pomposa ed ermetica Chiesa dei Pontefici, delle grandi cerimonie ufficiali, quelle religiose tout-court e da ultimo quelle incamerate dallo stato italiano con un più di nastri, coccarde, bandiere e divise, ma di quel cattolicesimo diventato costume, di quella religione  profondamente penetrata, nel corso dei secoli, non solo a dettare il calendario delle feste, delle ricorrenze, persino delle indicazioni gastronomiche, ma dagli usi e costumi, nei riti e modi di essere e pensare, in altre parole nei “valori” su cui la società si è costruita. Ed è quindi logico che anche in questo secondo dopoguerra l’unica supplenza sociale e anche politica sia in prima istanza quella dei cattolici, da quei pochi formatisi nel corso della solida amministrazione austro-ungarica (vedi Alcide De Gasperi) a quelli sopravvissuti al ventennio e alle vecchie tensioni libertarie e sociali, a quelli più giovani e speranzosi nel “punto e a capo” dell’avvenire. La parte più strutturata della reazione popolare, mettendo a frutto le conquiste della Resistenza, cioè dell’estrema opposizione armata al nazifascismo, cerca di organizzarsi nel movimento comunista che, grazie anche a connivenze internazionali e il rientro di fuorusciti, è forse la prima a articolarsi in un partito moderno, con sezioni, sedi e dirigenti in carica.

Aggregando in modo approssimato e confuso forze nuove e vecchi politici di professione, il partito della Democrazia Cristiana si appropria dei vecchi nuclei di potere rimasti disponibili e, sul piano politico, continuerà per molto tempo ad avere anche un’indiscussa maggioranza nelle urne. Aggregazione fatalmente composita che cerca di gestire vecchie e nuove mentalità, il Partito della Democrazia cristiana, con uomini vecchi e nuovi, fra cui molti giovani che tentano di riorganizzare il tessuto sociale e popolare dei cattolici, anche sotto la stimolo dei comunisti. Riprende pieno vigore la vecchia Azione cattolica, cioè il cosiddetto “Laicato organizzato” sotto l’egida della Chiesa, finalmente libero d’invadere gli spazi dell’azione politica, magari travestito sotto i panni di generoso quanto disinteressato sostegno civico, come i “Comitati civici” di Luigi Gedda nelle fatali elezioni del 1948.

Ma in questo ribollente variegato panorama non va dimenticata la presenza di un drappello di giovani renitenti alla sostanziale “real politik“ della DC, in parte memori di un modernismo alla  Romolo Murri, aperti alle voci di una nuova cultura popolare che si rifà dichiaratamente ai miti di un’autoctona cultura contadina. Fra questi giovani si legge Rocco Scotellaro e si ascoltano le canzoni libertarie di Rosa Balestrieri e Giovanna Marini.  In questo clima di invocato rinnovamento può inquadrarsi le pattuglie isolate di un nuovo cattolicesimo, fondamentalmente osteggiato da quello ufficiale, la predicazione di Don Mazzolari, la comune di Don Zeno, la nuova scuola di Don Milani.  

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Fa parte del cosiddetto “laicato cattolico” anche la FUCI, ovvero la “Federazione Universitaria Cattolica Italiana”, così come il gruppo dei Laureati cattolici, non provenienti se non in minima parte, da esperienze compiute nel ventennio, che, nel panorama univoco dell’ACI, costituiscono luoghi privilegiati e non allineati: sono questi i luoghi deputati dove si formano i giovani, aperti alle nuove esperienze che condividono e talora anticipano. Assistente ecclesiastico d’eccezione della FUCI romana anche quel don Luigi Montini – già responsabile di importanti incarichi vaticani e futuro Paolo VI – e che insieme ad Aldo Moro, costituirà il punto più alto del “compromesso” fra le anime vecchie e nuove, ma anche altri irriducibili poi fatalmente spinti ai margini, come Dossetti, La Pira e altri. Quelli che tenteranno, e in parte riusciranno, a insufflare nuove tensioni e urgente nell’apparentemente monolitico partito politico dei cattolici ma anche quelli più disponibili alla cosiddetta “diaspora” verso partiti e organizzazioni di decisa sinistra.

In un congresso federale tenuto a Bologna negli anni Cinquanta la FUCI si farà direttamente ed esplicitamente carico di rappresentare nuove istanze sociali sottoscrivendo alcune mozioni, approvate all’unanimità, in cui si riconosce come una cultura cattolica popolare che riscopra i “valori” della vecchia civiltà contadina, nata cattolica, sia la base da cui partire per rifiutare la vetusta cultura borghese ed elitaria. Nell’alveo di queste spinte nascerà in quegli anni anche la televisione italiana con intenti chiaramente pedagogici: si tratta di riscoprire i valori dell’autentica civiltà nazionale educando il popolo e fornendogli gli strumenti per una rapida e completa emancipazione dal privilegio e dalla cultura dei “pochi”. Il generoso tentativo di Filiberto Guala, suffragato anche dagli esuli dei cosiddetti catto-comunisti rientrati nei ranghi ma inquieti, naufragherà ben presto con le sue dimissioni. Il papato profetico di Giovanni XXIII tenterà, con l’indizione del Concilio Vaticano II, quella saldatura fra chiesa e “segni dei tempi”, che ormai viene invocata e non solo da Padre Chenu. Ma molte speranze verranno un po’ troppo sbrigativamente composte da Paolo VI, amico della FUCI, del fucino Moro, e dell’intellighenzia cattolica post-fascista, ma prudente verso “passi avanti” troppo rischiosi.

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In questo periodo di disagio e incertezze pre e post conciliari si colloca il mio impegno con la FUCI e il suo quindicinale “Ricerca”. Nel paese sono brevi anni di ormai sopita sopravvivenza di un impegno cattolico-sociale – anche con una cointeressenza della sinistra alla sua gestione - mentre continuano le “diaspore” fra gli intellettuali e, nelle università, resistono certi postumi risorgimentali di marca massonica con i radicali di Marco Pannella.

La cultura popolare cattolica tenterà di rifugiarsi fra i cosiddetti catto-comunisti – peraltro sempre più emarginati - mentre  alcuni degli intenti di riscoperta di una cultura popolare vengono almeno in parte ereditati e promossi da una giovane televisione di tipo   pedagogico che - purtroppo - troverà troppo presto omologazioni di tipo commerciale sui già ben collaudati modelli  americani. Il boom delle importazione di prodotti statunitensi, la trasmigrazione degli abitanti fra Nord e Sud per il consolidamento dei grandi gruppi industriali a cui peraltro si deve il cosiddetto miracolo o boom economico, l’omologazione dei modelli di sussistenza con       la decrescita degli usi e costumi del tradizionali modi di vita: il secolare “costume” cattolico sarà destinato a scomparire nel corso di un paio di generazioni successive portandosi dietro fatalmente usi costumi e valori. 

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Non ho spiegato tutto, ma qualcosa forse sì. E siamo giunti ai nostri giorni, al cosiddetto presente: distrutti gli “storici” valori assieme al venir meno e al mutare di usi e costumi centenari, sostanzialmente abbandonati e ridicolizzati, via libera a quelli che una volta venivano sentiti e indicati come vizi o peccarti sociali, come l’indissolubilità del matrimonio, la castità, il dispiegarsi dell’anno scandito dalla liturgia e la sacralità di alcune Feste come Natale e Pasqua e così via, il tentativo dei pochi interpreti di decise proposte spinto verso l’inane ribellismo o l’ascesi mistica. La macropolitica ormai esclusivamente in mano ai potenti e ai patriarchi del .denaro e della speculazione, l’iniziava sociale spenta sotto l’unico valore del denaro e della speculazione, la totale scomparsa di valori nei miti delle giovani generazioni, a meno che non si tratti di valori indotti e di desideri creati a bella posta. Il potere di pochi potenti “scientificamente” esercitato, nel disorientamento totale camuffato da imposizioni segrete e nascoste. Un tempo di rovinose attese, con valori irrecuperabili e destini almeno apparentemente ineluttabili. Un tentativo di fare un po’ di luce, il mio, o un vaniloquio dettato da considerazioni del momento?

 

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